Tre anni senza verità e senza giustizia per Mario Paciolla

di Gianpaolo Contestabile e Simone Ferrari, da Il Manifesto

Il 16 luglio del 2020 i genitori di Mario Paciolla ricevono una chiamata dalle Nazioni Unite durante la quale gli viene comunicato in modo sbrigativo che loro figlio si è suicidato e gli chiedono se gli interessa avere in dietro la salma. Paciolla lavorava nella Missione di Pace dell’Onu in Colombia e quel 16 luglio avrebbe dovuto iniziare il lungo viaggio di ritorno a casa dalla sua famiglia: “Mario era tutto proiettato al futuro” dicono i genitori “l’ultimo atto che compie è l’acquisto di un biglietto per ritornare a casa, una procedura complessa poiché prevedeva vari cambi e diverse autorizzazioni. L’ultimo scambio con le istituzioni locali è stata una mail all’Ambasciata, dopo l’acquisto del biglietto, per avvertire che lui stava lasciando la Colombia”. Secondo i genitori Anna e Giuseppe, durante le videochiamate nei giorni antecedenti al 16 luglio il cooperante delle Nazioni Unite aveva manifestato preoccupazione e paura e “la necessità di allontanarsi al più presto dalla Colombia”.

              Nonostante la prima autopsia eseguita dalle autorità colombiane propendesse per l’ipotesi del suicidio, sono emersi fin da subito dettagli importanti che contraddicevano questo scenario. La possibilità di svolgere ulteriori analisi medico legali è stata ostacolata da diversi tentativi di depistaggio. Gli agenti della polizia locale accorsi nella casa di Mario dopo la sua morte sono finiti sotto indagine per aver lasciato che il capo della sicurezza dell’Onu, Christian Thompson, ripulisse l’appartamento. Anna e Giuseppe hanno scritto una lettera alle Nazioni Unite per avere spiegazioni sui comportamenti anomali dell’organizzazione: “la mancata informazione all’Ambasciata italiana della morte di un proprio cittadino, la fretta con la quale è stata fatta pulizia non con comune detergente ma con la candeggina affinché ogni traccia potesse essere eliminata nell’appartamento in fitto a Mario e dove il suo corpo è stato rinvenuto, e quantomeno darci spiegazioni sugli oggetti appartenuti a Mario e gettati in discarica, delle sue agende personali che non sono state ritrovate”.

              Nonostante il corpo di Mario sia stato rimpatriato in Italia in condizioni precarie, il medico legale Vittorio Fineschi ha svolto una seconda autopsia dalla quale emergono molteplici dettagli che non coincidono con l’ipotesi del suicidio. Le ferite post mortem, la posizione della sedia su cui si sarebbe impiccato, lo strangolamento previo alla morte per asfissia, l’altezza della grata a cui è stato appeso il lenzuolo, il tipo di nodo, l’assenza di macchie di sangue nonostante le ferite e gli esiti degli esami tossicologici fanno concludere al dottor Fineschi che con “ragionevole certezza” Mario non si è suicidato. Nonostante ciò, la procura di Roma, che aveva avviato un’indagine per omicidio contro ignoti, a maggio di quest’anno ha chiesto l’archiviazione per assenza di elementi. A opporsi all’archiviazione, non solo la famiglia di Mario ma anche amici e attivisti che hanno organizzato un flash mob fuori dal tribunale. Le legali della famiglia, Emanuela Motta e Alessandra Ballerini, si sono opposte all’archiviazione e chiedono che vengano prese in considerazione le incongruenze di tipo scientifico e medico, e gli aspetti che “non sono assolutamente spiegabili con il suicidio”.

              “Alla luce di questi fatti” dichiarano Anna e Giuseppe “il silenzio assordante dell’ONU ci insinua molti sospetti e umanamente ci addolora”.  Secondo i genitori, il movente della morte di Paciolla va ricercato nel suo contesto lavorativo, cioè nella Missione delle Nazioni Unite che in questi anni è stata al centro di aspre polemiche. In primis, sono emersi i legami del capo della Missione, Carlos Ruiz Massieu, con la potente famiglia messicana che ha favorito la sua ascesa come diplomatico e che negli anni è stata invischiata in scandali legati al narcotraffico, il riciclaggio di denaro, la corruzione e diversi omicidi. La famiglia De Gortari – Ruiz Massieu rappresenta l’élite politica messicana che ha governato il paese per decenni nel contesto della violazione sistematica dei diritti umani e la sparizione forzata di migliaia di civili. Ruiz Massieu è diventato anche il bersaglio principale di diverse denunce anonime provenienti dall’interno della Missione dell’Onu in cui si descrive un clima organizzativo caratterizzato da abusi di potere, uso improprio delle risorse e molestie sessuali. Stride anche non siano stati presi provvedimenti nei confronti di Cristian Thompson, l’ex militare, consulente della sicurezza per imprese e per l’agenzia statunitense Usaid, che ha infranto i protocolli interni dell’Onu ripulendo la scena del presunto crimine e ha fatto sparire gli effetti personali di Mario. Thompson continua a lavorare nella Missione ed è stato spostato dalla località di San Vincente del Caguán alla capitale Bogotá, dove ora si occupa di gestire la sicurezza a livello nazionale. Sulla sua scrivania passano le mail di tutte le squadre della Missione che lavorano in Colombia.

              Alla luce dei depistaggi, della lentezza del sistema giudiziario e del silenzio delle Nazioni Unite, la lotta per la verità e la giustizia e diventata in questi tre anni una battaglia civile portata avanti dalla famiglia di Mario e dagli attivisti che li sostengono. L’impegno incessante di amici e familiari durante l’ultimo anno, raccontano Anna e Giuseppe, ha permesso “l’incontro con il presidente Mattarella, i tanti banner apposti nelle Case Comunali, l’aula studio nell’istituto Orientale a lui dedicata, la targa affissa dal Comune di Napoli nel Kobe Park, la collana di letteratura colombiana edita da Cafiero e Marotta, il grande murale di Mario ritratto da Jorit al liceo Elio Vittorini, l’edicola dismessa rivestita con articoli di Mario, la copertina dedicata a Mario della rivista Confronti, le panchine arancioni di Latina e Ronchi dei Legionari”. I genitori di Paciolla continuano a percorrere associazioni e istituti scolastici in tutto il Paese per parlare dell’impegno di Mario, oltre a battersi per la libertà d’informazione collaborando con la campagna Articolo 21 e la Federazione Nazionale Stampa Italiana.

“Molto è stato realizzato in collaborazione con il collettivo Giustizia per Mario Paciolla ma anche con il comune di Napoli, Gesco imprese sociali, tantissime associazioni locali, il mondo del basket, la gente comune che ci ha seguito e dimostrato vicinanza e affetto” raccontano Anna e Giuseppe che hanno un’agenda fittissima per tutto il 2024 “Ad ottobre ci sarà la premiazione per il concorso di poesia e prosa indetto per le scuole, a novembre l’assegnazione di un premio alla memoria di Mario istituito dal festival Del Cinema dei Diritti Umani e dall’associazione Un Ponte per”. Il loro impegno ricorda la storia dei movimenti latinoamericani di familiari di persone vittime di violenza statale e violazioni dei diritti umani. La loro forza e perseveranza nella lotta per chiedere verità e giustizia, ma anche per diffondere una cultura della pace e una coscienza civile e politica di resistenza, li rende un esempio di attivismo. Il miglior modo sicuramente per mantenere viva la presenza di Mario, ricordare la sua storia e portare avanti i suoi ideali di solidarietà. 

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