CITTÁ DEL MESSICO. 2 maggio 2019.
L’auditorio é ricolmo di corpi, macchine fotografiche, microfoni e treppiedi. La cerimonia non é ancora iniziata e già fa troppo caldo, l’ossigeno scarseggia; all’esterno una discreta schiera di giornalisti preme per entrare. Sul palco c’è un lungo tavolo ricoperto d’un drappo nero con sopra i cartellini coi nomi delle partecipanti e ai piedi due umide composizioni floreali. Poi c’è un grande schermo con la foto di una targa che dice:
“Io sono cittadina del mondo, la cittadina del cielo, quella che passa dal sorriso al pianto, dal dolore alla speranza, dalla solitudine amica all’incontro felice con le mie uguali, donne di carne ed ossa che amiamo la vita e soprattutto le nostre vite. Siamo, insomma, tutte donne di un tempo senza tempo che abitiamo a partire da ora e nella memoria”
La targa é circondata da fiori. Nella foto non si vede ma sta vicino a un telefono pubblico, il posto dove é stato trovato il corpo senza vita di Lesvy Berlín Osorio Rivera il 3 maggio del 2017. Il telefono pubblico si trova a poche centinaia di metri da questo auditorio, nella Facoltà di Ingegneria dell’Università Nazionale Autonoma del Messico.
Lesvy Berlín aveva 22 anni quando Jorge Luis González Hernández, suo compagno all’epoca, la uccise. Dal momento del ritrovamento del corpo, le autorità trattarono il caso come un suicidio e non come un femminicidio. Di Lesvy venne detto che beveva, si drogava, che aveva abbandonato gli studi. La sua rivittimizzazione fu sfacciata e violenta. Due anni fa ne avevamo scritto qui.
Oggi la Procura Generale di Giustizia, attraverso la sua rappresentante Ernestina Godoy, ha chiesto pubblicamente scusa alla sua famiglia per la negligenza e l’abuso delle istituzioni, per non aver condotto le indagini in maniera rigorosa, per aver ostruito e ritardato l’accesso alla giustizia e alla verità.
“La morte di Lesvy é un crimine che ci indegna e ci mette in discussione come città, é stato un crimine investigato male e presentato male di fronte ai giudici. Un crimine che rischiava di rimanere impune e che succede in un clima di violenza generalizzata contro le donne —ha detto Godoy—. Al momento dei fatti la famiglia di Lesvy si trovó ad avere a che fare con delle autorità chiuse, insensibili, stigmatizzanti, incapaci di identificare e correggere in maniera opportuna i loro errori, incapaci di mettersi dal lato delle vittime e farsi carico della loro causa”.
Le scuse sono state presentate in seguito alla raccomandazione emessa un anno fa dalla Commissione dei Diritti Umani di Città del Messico.
“Quello che continuerò a ripetere é che oggi non dovremmo essere qui ad ascoltare delle scuse pubbliche —ha ribadito Araceli Osorio Martínez, madre di Lesvy, quando é stato il suo momento di prendere la parola—. No. Oggi molte di voi dovrebbero andare a lezione e stare sicure in classe, correre per il corridoio per incontrare un’amica, abbracciarla e stare insieme durante l’intervallo. Dovreste poter uscire di casa con la sicurezza di tornarci, magari stanche per aver attraversato la città, ma in tempo e al sicuro. E non dovremmo fare lezioni di difesa personale, dovremmo invece andare a una lezione di ballo, andare a prendere un gelato”.
La memoria collettiva é un vincolo sociale. Oggi ricordiamo Lesvy, ricordiamo questi due anni in cui Araceli, la sua famiglia, e tante persone solidali hanno insistito con tenacia per ottenere giustizia nel caso del femminicidio di Lesvy. Vogliamo però anche ricordare che oggi non dovremmo star scrivendo queste parole, perché questa violenza non é normale.