Arresti arbitrari e privazione di libertà nelle manifestazioni a Guadalajara, Messico

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Da giovedì le proteste per la morte di Giovanni López per mano della polizia incendiano lo stato messicano di Jalisco. Almeno cento manifestanti sono stati arrestati in maniera arbitraria, per ore di vari di loro non si è saputo più nulla.

di Caterina Morbiato – Galleria fotografica di Carolina Jiménez Morales

Giovanni López aveva 30 anni e faceva il muratore. Viveva a Ixtlahuacán de los Membrillos, un comune di Guadalajara, la seconda città più popolosa del Messico e capitale dello stato di Jalisco. Quando una decina di poliziotti municipali l’hanno arrestato, a quanto pare per non indossare la mascherina, suo fratello Christian ha filmato la scena con il cellulare.

Nel video si sente una donna rassicurare il ragazzo —“Vanni, stai tranquillo”— mentre gli agenti lo immobilizzano e lo costringono a salire sulla pattuglia. “Se lo uccidete sappiamo che siete stati voi”, ripete Christian.  

Era la notte di lunedì 4 maggio. Il giorno dopo Giovanni era morto.

Per la sua famiglia hanno avuto inizio le bugie e i depistaggi: quel carosello macabro tipico di tante uccisioni commesse dalle forze dell’ordine e molto simile in tanti paesi del mondo. Lo racconta Christian in una video-intervista rilasciata al quotidiano Reforma, in cui spiega che la polizia aveva detto che suo fratello dovevano cercarlo all’ospedale perché il suo stato di salute era grave.

Giovanni però era già morto per un trauma cranico-encefalico. Il suo corpo, inoltre, presentava segni di tortura e un colpo d’arma da fuoco gli attraversava una gamba.

Sono iniziate anche le minacce: il video della detenzione non doveva essere diffuso, pena la morte. Quella video-testimonianza —l’unico strumento di difesa che i suoi familiari avevano al momento dell’arresto e che speravano servisse da deterrente per ulteriori violenze— é stato finalmente condiviso mercoledì scorso. Dopo un mese dalla morte di Giovanni, le autorità locali non avevano ancora aperto nessuna indagine né licenziato nessun poliziotto coinvolto nel caso.

La notizia, diventata subito virale, ha generato un’ondata di rabbia e indignazione che é esplosa anche grazie alle proteste per l’omicidio di George Floyd che da giorni attraversavano varie città degli Stati Uniti. A Guadalajara centinaia di persone hanno deciso di manifestare per esigere giustizia per Giovanni López e denunciare gli abusi delle forze armate.

Per l’omicidio del giovane i manifestanti accusano anche Enrique Alfaro, governatore di Jalisco. Le rigide misure sanitarie imposte nello stato per contenere i contagi di Covid-19 prevedono sanzioni e l’utilizzo delle forze dell’ordine per il loro compimento. In un contesto in cui la brutalità della polizia é una pratica tanto consolidata come impune, una disposizione di questo genere può trasformarsi in una licenza di morte.   

Come racconta un reportage molto dettagliato pubblicato a inizio maggio dal portale informativo Pie de Página, Jalisco é segnato da una lunga tradizione di tortura documentata, tra gli altri, dal Centro de Justicia para la Paz y el Desarrollo nel dossier “La impunidad interminable: la tortura en Jalisco 2010-2016”.

Dalle manifestazioni avvenute il 28 maggio 2004 contro il terzo vertice dei capi di Stato dell’Unione Europea, dell’America latina e dei Caraibi, ad oggi, le vessazioni fisiche, sessuali, psichiche inflitte dai diversi corpi di polizia di Jalisco ai cittadini si sono mantenute intatte nel tempo e fanno dello stato un tra i più torturatori del paese.

Le proteste, iniziate giovedì, sono state dure: varie auto-pattuglie sono state bruciate, il portone del Municipio é stato abbattuto, un agente é stato dato alle fiamme, i manifestanti sono stati attaccati con gas lacrimogeno. A Città del Messico un gruppo di manifestanti ha protestato venerdì davanti alla sede del governo di Jalisco. Durante una delle cariche, una ragazza minorenne è stata travolta da vari agenti antisommossa che si sono poi accaniti su di lei provocandole una contusione cranica. É stata fortunatamente dimessa dall’ospedale la sera del sabato.

A Guadalajara la manifestazioni sono continuate fino a ieri con un alto numero di manifestanti arrestati arbitrariamente sia prima che durante le azioni di protesta e la denuncia di persone infiltrate per provocare danni ai manifestanti; i media locali hanno documentato arresti fatti da presunte forze dell’ordine in borghese che caricavano i manifestanti su pick-up prive di targa. 

Molti arrestati hanno denunciato maltrattamenti, privazione di oggetti personali —come il telefono— e di essere state rilasciate in zone periferiche della città senza la possibilità di comunicare. Tra giovedì e venerdì si sono perse le tracce di molte delle persone arrestate e dalle reti sociali é iniziata una campagna spontanea e autogestita per cercare di localizzarle. 

La paura di una nuova Ayotzinapa

Durante le prime ore di sabato mancavano ancora all’appello una trentina di manifestanti. La loro condizione di desaparecidos —di persona scomparsa, di cui i familiari e le persone care non sanno dove si trovi, come sta, se é o meno in vita— ha provocato paura. 

Secondo il dossier sul ritrovamento di fosse comuni clandestine e sparizioni in Messico (Informe sobre Localización de Fosas Clandestinas y Desapariciones en México) presentato dal Ministero dell’Interno a gennaio, nel paese ci sono 61,637 persone desaparecidas. 

Sempre d’accordo ai dati ufficiali, lo stato di Jalisco é quello che a livello nazionale ha riportato la maggior quantità di persone desaparecidas durante il 2019: 2,100. Nello stesso anno 275 donne e 212 bambini e bambine sono sparite in Jalisco. Di nuovo: il maggior numero di casi in tutto il Messico.

É anche per questo che nei social, così come nelle conversazioni tra amici, si é diffuso l’allarme e il nome di Ayotzinapa ha iniziato a prendere corpo. Cosí tante persone fatte sparire nel nulla, per così tante ore e dopo essersi scontrate con le forze di polizia porta inevitabilmente a creare un nesso con quello che successe la notte del 26 e 27 settembre del 2014 nella cittadina di Iguala, nello stato meridionale di Guerrero. 

Quella notte 43 studenti della Escuela Normal Rural “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa vennero fatti sparire grazie alla complicità delle autorità politiche, della polizia, dell’esercito e di gruppi criminali che operano in Guerrero. Il caso rimane ancora aperto e, nonostante le implacabili manifestazioni dei genitori dei giovani studenti, anche durante l’attuale governo di Andrés Manuel López Obrador le indagini non sembrano avanzare in maniera efficace.

A consolidare la paura sono state però le dichiarazioni fatte ieri da Enrique Alfaro in un messaggio diffuso via Twitter in cui afferma di non aver dato l’ordine di arrestare i manifestanti e che sarebbero stati gruppi del crimine organizzato ad attaccare, prelevare e far sparire i giovani. Nello stato di Jalisco opera il Cártel Jalisco Nueva Generación (CJNG), uno dei gruppi più influenti del crimine organizzato messicano. 

Lentamente durante la giornata di sabato i manifestanti desaparecidos hanno iniziato ad apparire, anche se per molti non si è ancora confermata la scarcerazione. Secondo la lista di monitoraggio che si è attivata per tracciare le persone scomparse, ancora di tre non si hanno notizie.

Al momento per la morte di Giovanni López sono stati arrestati tre poliziotti di Ixtlahuacán de los Membrillos, la cittadina che fino a poco più di un mese fa era la sua casa. 

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