Com’è andata la parodia venezuelana della Baia dei Porci?

Maduro

Non ci sono più i golpisti di una volta, ironizzava qualche tempo fa un amico. Una battuta che certo fa sorridere quando si pensa a Juan Guaidó e ai suoi sgangherati tentativi sostenuti dagli Stati Uniti per rovesciare il governo di Nicolás Maduro. Fa sorridere, sì, ma con la tristezza scolpita in volto. Perché il Venezuela oggi fa male. Non solo a chi è stato vicino al processo bolivariano. Ma anche a chi avverte i pericoli per l’intera regione dell’eventuale scoppio di una guerra civile o di un’invasione in piena regola. Uno scenario mediorientale. O solo il protrarsi indefinito di un’impasse politica nazionale ed internazionale che sta consumando il Paese. Lentamente. Letteralmente. In un tunnel asfissiante senza vie d’uscita in vista mentre fuori rimbomba, ipocrita, la spettacolarizzazione silenziosa della cosiddetta comunità internazionale. Unione e stampa europea in primis.      

Il Venezuela è anche una ferita aperta nel cuore della sinistra latinoamericana. Un tema che divide in modo bieco e manicheo partiti, movimenti e sensibilità politiche diverse, terminando spesso in logorroici quanto inutili proclami, manifesti o comunicati a favore o contro l’attuale governo, i cui echi, di tanto in tanto, raggiungono anche i media alternativi nostrani. E si può scommettere che passerà del tempo, come nel caso del socialismo cubano, prima che si possa discutere lucidamente e con serenità dell’intera vicenda bolivariana e del socialismo del XXI secolo. Ma questa, comunque, al momento è un’altra storia. 

Su L’America Latina Marco Dalla Stella ha già raccontato, a caldo, la storia breve del fallimento annunciato dell’Operazione Gideon. In questo reportage, pubblicato originalmente nel portale della rivista Nueva Sociedad, presentiamo un approfondimento. L’autore è Manuel Sutherland, un economista marxista venezuelano direttore del Centro de Investigación y Formación Obrera (CIFO). Da sempre critico delle politiche economiche dei governi bolivariani sulle quali ha scritto numerosi articoli e saggi, qui ci racconta invece i dettagli surreali della parodia venezuelana della Baia dei Porci. [Daniele Benzi]       

Com’è andata la parodia venezuelana della Baia dei Porci?

L’incursione di ex-militari e civili, prodotto di un contratto tra settori dell’opposizione e un’impresa di sicurezza con sede a Miami, presuppone un’assurda azione armata contro il governo di Nicolás Maduro per conto terzi. Allo stesso tempo, queste azioni così improvvisate non solo sono contrarie a una soluzione pacifica, ma finiscono anche per rafforzare le politiche più repressive del governo venezuelano, in un contesto di permanente decomposizione sociale e istituzionale del paese.

Se volessi andare in Venezuela, non lo farei di nascosto (…) non manderei un piccolo gruppo.

No, no. Manderei un esercito (…) e si chiamerebbe invasione.

Donald Trump

di Manuel Sutherland da Nueva Sociedad

traduzione di Manuela Loi e Alice Fanti

Il mese di maggio ha travolto il Venezuela con una crisi di enormi dimensioni. Con il salario minimo in dollari più basso del pianeta (circa 5 dollari al mese), la povertà estrema continua a crescere. All’interno di questo scenario drammatico sono circolate notizie allarmanti, come quella del massacro dei reclusi nel carcere di Guanare (cui si è aggiunto un incendio in un penitenziario di Valencia dove sono morte 66 persone) e di un lungo conflitto a fuoco tra gruppi delinquenziali dotati di armamenti militari, nella zona nord dell’esteso quartiere popolare di Petare. La benzina, un tempo quasi gratuita, è ora introvabile e migliaia di persone devono fare code anche di 5 giorni per poter fare il pieno (adesso la benzina arriva di contrabbando dalla Colombia al Venezuela). Infine, un blackout nazionale di diverse ore che ha interessato 17 stati e ha portato a un rigido razionamento del servizio elettrico in molte parti del paese.

In questo mare magnum, tra il 3 e il 4 maggio è venuta fuori una strana notizia: la Polizia e l’Esercito hanno bloccato due piccole lance con a bordo civili (tra cui 2 statunitensi) e militari disertori, muniti di armi di alto calibro per combattere il governo di Nicolás Maduro. Tale sorprendente informazione ha lasciato di stucco l’opposizione democratica impegnata per la pace e per una risoluzione negoziata della crisi politica. La rapida neutralizzazione delle due imbarcazioni ha offerto al governo una sorta di piccola “Baia dei Porci” che, sfruttata dall’apparato mediatico delle sinistre bolivariane, è stata presentata come un’impresa storica i cui protagonisti, degli umili pescatori, appartenenti alla milizia[1], hanno respinto l’invasione e catturato i mercenari.

L’ala dell’opposizione che insiste sulla legittimità della presidenza di Juan Guaidó, “riconosciuta da più di 50 paesi”, si è trovata disorientata. All’inizio si era parlato di una messinscena, un vile montaggio da parte della narcodittatura. Poco dopo si è detto che la narcotirannia aveva massacrato valorosi combattenti per la libertà. Più tardi hanno commentato che l’operazione fosse una farsa, ma che avrebbero difeso i diritti umani delle persone che avevano commesso un errore. Alla fine hanno dichiarato che questa presunta “invasione” è stata organizzata ed eseguita da Diosdado Cabello, presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente, con l’obiettivo di incolpare l’opposizione.

Cos’è successo veramente? Quali conseguenze ha portato questa nuova avventura paramilitare? Vediamo.

Dal 23 gennaio 2019, giorno nel quale il deputato e presidente dell’Assemblea Nazionale Juan Guaidó si è autoproclamato presidente della Repubblica (ad interim) durante un meeting popolare in Piazza Giovanni Paolo II, si è verificato un incremento del discorso militarista da parte dell’ala più estremista dell’opposizione, costantemente incitata da Donald Trump e dalle insinuazioni che “tutte le opzioni sono già state prese in esame”. La via elettorale e la lotta democratica contro il regime chavista sono state considerate come collaborazioniste e vigliacche. Bisognava agire immediatamente in maniera diretta, il popolo è allo stremo.

Secondo i sondaggi di febbraio 2019, Guaidó aveva l’80% del consenso popolare. I governi alleati degli Stati Uniti hanno plaudito immediatamente e il giovane varghese[2] è apparso sulle copertine di giornali e riviste di tutto il mondo. Il 23 febbraio avrebbe dovuto rappresentare una specie di punto di rottura: gli aiuti umanitari internazionali che si trovavano in Brasile, ma soprattutto in Colombia, sarebbero entrati nel paese a tutti i costi. Quattro camion avrebbero fatto il loro ingresso con equipaggiamento medico di base e cibo provenienti da Cúcuta. Il piano prevedeva che la gente prendesse d’assalto i camion e che l’Esercito si unisse all’insurrezione popolare. Erano stati contattati militari di basso rango per coinvolgerli nella ribellione. Questa operazione si è rivelata un insuccesso totale: non si è riusciti a far entrare neppure uno scatolone di cibo, in una frontiera dove esiste un diffuso contrabbando di autocisterne che trasportano benzina e prodotti alimentari.

Nonostante si credesse che il tentato omicidio di Maduro con un drone carico di esplosivo, il 4 agosto 2018 nell’Avenida Bolivar, sarebbe stato l’ultimo attentato sovversivo, il 30 aprile 2019 ci siamo risvegliati con un tentativo di colpo di Stato da parte di Guaidó, con la novità della liberazione di Leopoldo López, leader di Voluntad Popular. Il giovane “presidente” assicurava di aver occupato o comunque di trovarsi presso la base aerea La Carlota, situata nel cuore di Caracas. Circondato da un piccolo gruppo di civili e militari di basso rango, Guaidó ha parlato di un’insurrezione militare, di una sollevazione. Poche ore dopo, e senza un solo sparo, la rivolta è stata sedata. Molti dei militari si sono consegnati dicendo di essere stati ingannati, mentre altri si sono rifugiati quello stesso pomeriggio presso ambasciate straniere.

Nessuno si è assunto la responsabilità dell’imbarazzante coup d’état, ampiamente ridicolizzato sulle reti sociali. Nel 2018 avevamo già assistito al massacro del gruppo armato capeggiato da Óscar Pérez, ex-comandante di polizia celebre per aver sparato contro il Tribunale Supremo di Giustizia e aver rubato armi di grande calibro nel Fuerte de Paramacay. La sottovalutazione del potere militare e di polizia del governo bolivariano è veramente impressionante.

Nei precedenti interventi militari degli Stati Uniti in America Latina, compresa la Baia dei Porci, gli ufficiali di Washington avevano categoricamente negato la loro partecipazione, almeno in un primo momento. Allo stesso modo, nel caso dell’operazione illegale di finanziamento della guerra terrorista dei “contras” in Nicaragua negli anni ‘80, Washington aveva negato il suo coinvolgimento finché  l’appaltatore della CIA Eugene Hasenfus venne abbattuto mentre viaggiava su una aereo che trasportava armi.

Il copione è sempre lo stesso, cioè ricorrere a una categorica smentita, anche se sembra impossibile pensare che gli Stati Uniti, al di là della loro partecipazione, non fossero a conoscenza del contratto firmato a Miami che “legalizzava” l’invasione (esisteva letteralmente un contratto commerciale). Bisogna ricordare che Washington ha accusato Maduro di narcoterrorismo e ha messo una taglia sulla sua cattura: 15 milioni di dollari.

Il contratto è rimasto segreto finché Clíver Alcalá Cordones, maggiore generale in pensione, ha parlato chiaramente della sua esistenza alla fine di marzo 2020. Tutto ciò dopo che questo militare vicino a Chávez, nonché uno dei disertori di più alto grado, è stato sorpreso dalla polizia colombiana con una notevole quantità di armi, e dopo l’offerta di 10 milioni di dollari da parte dell’Agenzia Federale Antidroga statunitense (DEA, dalla sigla in inglese) per la sua cattura, dati i suoi legami con i cartelli della droga in Venezuela. La reazione immediata è stata quella di caricare un video sulle reti sociali nel quale ha ammesso di aver armato e addestrato in Colombia un comando di venezuelani ribelli per rovesciare il regime.

Nel suo resoconto, Alcalá Cordones ha parlato di un contratto firmato da Guaidó e da uno statunitense proprietario di un’impresa di sicurezza che aveva addestrato truppe venezuelane in Colombia. Alcuni giorni dopo, Cabello racconta che erano a conoscenza di tutte queste operazioni sovversive e che l’imprenditore statunitense è niente meno che Jordan Goudreau.

Goudreau era stato contrattato nel febbraio 2019 per gestire il servizio di sicurezza del concerto di Cúcuta finanziato dal milionario britannico Richard Branson. L’impresa Silvercorp si è incaricata del servizio di sicurezza dei meeting politici di Trump. Una relazione così ravvicinata gli ha permesso di essere raccomandato dalla Casa Bianca per offrire il medesimo servizio al concerto e prestare consulenza a Guaidó nella sua lotta per rovesciare Maduro. Goudreau è molto abile con le reti sociali ed è finito alla ribalta mediatica per lo strampalato suggerimento di “collocare nelle scuole poliziotti antiterroristi vestiti da maestri”. L’imprenditore mediatico ha anche avuto la delicatezza di minacciare di morte la giornalista venezuelana Erika Ortega affermando in un tweet, che ha provocato la chiusura del suo profilo, che i mercenari sono pagati per uccidere, ma che loro avrebbero potuto farlo gratuitamente.

Durante un’operazione in Giamaica alla fine del 2019, questo veterano delle Forze Speciali degli Stati Uniti aveva già integrato altri due ex-berretti verdi ed ex-compagni di squadra, Airan Berry e Luke Denman, entrambi statunitensi attualmente detenuti in seguito all’incursione militare fallita. In questa occasione, Goudreau li ha persuasi di quanto sarebbe stata facile e redditizia l’operazione contro Maduro. È risaputo che il contratto firmato a quanto pare da Guaidó in persona veniva mostrato ad alcune persone dell’accampamento diretto da Goudreau in Giamaica come un’invitante offerta lavorativa. Quando è stato chiesto a Goudreau quale fosse il suo piano, ha detto che si proponeva di sferrare un attacco armato in Venezuela per catturare e/o eliminare obiettivi di alto valore. È un fatto ben conosciuto che un soldato veterano che stava per essere reclutato si è mostrato molto scettico verso l’offerta di Goudreau, poiché la Silvercorp in quel momento non possedeva neanche una mitragliatrice, il che è normale visto che questa impresa (costituita nel 2018) fornisce servizi di sicurezza per eventi pubblici e non compie operazioni militari. È piuttosto verosimile la voce secondo la quale la CIA, venuta a sapere dell’operazione che Goudreau stava pianificando in Giamaica, abbia avvertito in numerose occasioni la Silvercorp di non portare a compimento quest’azione suicida.

In un documento recentemente pubblicato dal The Washington Post, è emerso che membri dell’opposizione venezuelana hanno negoziato in ottobre un accordo con una compagnia di sicurezza della Florida per far cadere Maduro. In questo documento compare la firma di Guaidó, il quale si impegna con Goudreau a compiere un’operazione militare con l’obiettivo di catturare o eliminare Maduro e vari membri del suo gabinetto. Questo era il contratto al quale Alcalá Cordones aveva fatto riferimento prima di consegnarsi alla DEA e che Guaidó aveva negato. Il generale disertore, in un’intervista fatta prima di consegnarsi, ha affermato che il contratto non è stato rispettato nonostante le operazioni fossero già state avviate.

Quando Goudreau, il 7 settembre, si è presentato nell’ufficio di Juan José Rondón, alto commissario presidenziale di Guaidó residente a Miami, il comitato di strategia si era già riunito con un gruppo di imprese di gestione paramilitare che offrivano servizi per eliminare o catturare Maduro e il suo seguito. Alcune richiedevano fino a 5 miliardi di dollari per il lavoro. Goudreau, al contrario, aveva offerto un piano con qualche piccolo anticipo e un pagamento totale molto più economico – 212, 9 milioni di dollari –, considerando che avrebbero invaso un paese di 30 milioni di abitanti, con una Forza Armata di circa 150.000 combattenti e 916.000 chilometri quadrati. Il contratto prevedeva un versamento del 75% dopo la caduta di Maduro e della presa di controllo totale del paese. I rimanenti soldi dell’operazione creditizia che permetteva il pagamento in comode rate sarebbero arrivati dalle future esportazioni di petrolio sotto il governo di Guaidó.

Stando ad alcune fonti legate al caso, il curioso contratto contiene otto pagine principali e 42 di allegati anche se, in un’intervista con Patricia Poleo, Goudreau afferma che il documento è composto da più di 70 pagine. Il contratto per questa invasione su richiesta ha un testimone: l’avvocato Manuel J. Retureta, riconosciuto penalista specializzato nella difesa di famigerati narcotrafficanti latinoamericani. Il legale che ha firmato come testimone non ha ancora rilasciato dichiarazioni ai mezzi di comunicazione.

Rendón ha apertamente ammesso di aver firmato il contratto, ma ha detto che Guaidó non l’ha mai fatto. Ha confessato che il documento, siglato nell’ottobre del 2019, “era un’esplorazione per vagliare la possibilità di catturare e consegnare alla giustizia membri del regime per i quali è stato spiccato un ordine di cattura da un tribunale degli Stati Uniti”. Ma questi ordini di cattura sono stati emessi cinque mesi dopo la firma del contratto, cioè nel marzo del 2020.

Il contratto promette alla Silvercorp un anticipo di 1,5 milioni di dollari. Inoltre il testo contempla un anticipo di altri 50 milioni per servizi quali pianificazione strategica, acquisizione di attrezzature e consulenza per l’esecuzione di progetti. Risulta sorprendente come nel contratto si dica che la   Silvercorp non combatte ma fornisce solamente servizi di consulenza. L’idea iniziale era che l’incursione, sommata ad azioni di propaganda armata, avrebbe scoraggiato la Polizia e l’Esercito. Il governo sarebbe rapidamente caduto come un castello di carte e loro avrebbero potuto sequestrare i prigionieri richiesti dalla DEA ed esigere le rispettive ricompense. Vedendo tutto ciò, il popolo si sarebbe riversato per strada e avrebbe cacciato il dittatore. Guaidó sarebbe finalmente diventato il vero presidente e la questione si sarebbe conclusa.

Come c’era da aspettarsi, le cose non sono andate bene. Domenica 3 maggio, qualche ora dopo la prima incursione, la giornalista Patricia Poleo ha pubblicato l’accordo. Inoltre, nel rapporto, diffuso dall’account Twitter @FactoresdePoder, Goudreau spiega che Guaidó mentiva quando dichiarava che l’operazione a Macuto fosse una “farsa di regime” e che era stata la sua impresa ad aver ideato le operazioni. Goudreau ha parlato della firma di Guaidó e ha mostrato un video nel quale è possibile ascoltare il momento esatto in cui tutti i presenti firmano il contratto (a Miami) e il “presidente ad interim” dice che avrebbe inviato per e-mail la sua firma scansionata da Caracas.

Come ha commentato Goudreau, questa missione sarebbe costata 212, 9 milioni di dollari. Questa parte del piano sarebbe durata 495 giorni, perché loro avrebbero continuato a presentarsi come “forza di sicurezza del governo” mentre stabilizzavano la situazione. L’accordo era di pagare l’imprenditore, al compimento del progetto, tra i 10.860.000 e i 16.456.000 dollari mensili. Se il piano fosse andato a buon fine, l’impresa avrebbe ricevuto un bonus di 10 milioni per buona prestazione. Nel contratto risaltano alcune clausole molto sorprendenti:

– il Comitato Strategico avrà l’autorità di approvare qualsiasi attacco e aprire il fuoco contro obiettivi militari e non militari, “infrastruttura e obiettivi economici venezuelani”, “vie e mezzi di comunicazione”;

– nell’allegato B, paragrafo 14, punto a, si stabilisce che si potranno usare mine antiuomo in tutto il territorio secondo disposizioni dell’impresa;

– nell’allegato L, si stabilisce che la Silvercorp non sarà ritenuta responsabile davanti alla legge di nessun atto di violenza o distruzione per tutta la durata del contratto. Se verrà fatta causa a Silvercop negli Stati Uniti, il governo di Guaidó dovrà pagare tutti i costi per la difesa e se ne assumerà la responsabilità finanziaria.

– nell’annesso N si segnala che la catena di comando dell’operazione è composta come segue: comandate in capo, Juan Guaidó; supervisore del progetto, Sergio Vergara; capo della strategia, Juan José Rendón; comandante sul posto, da definire (lo sbarco effettivo è avvenuto sotto il comando del capitano Antonio Sequea; in quanto ex-ufficiale della Guardia Nazionale Bolivariana (GNB), Sequea appare in video e foto con Guaidó durante il tentato golpe del 30 aprile);

– nell’annesso B, paragrafo 1, punto c, si esplicita: “Il personale del Fornitore di Servizi svolge la funzione di consulenza, non si tratta di combattenti”;

– nell’annesso D, paragrafo 4, si ratifica il punto precedente in maniera ancora più tassativa: “Il personale del Fornitore di Servizi svolge la funzione di consulenza, non si tratta di combattenti. Tuttavia, è permesso loro difendersi”.

È evidente che il contratto viola qualsiasi canone legale conosciuto, a partire dal trattato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Il Venezuela è una delle nazioni firmatarie della Convenzione Internazionale dell’ONU contro il reclutamento, l’utilizzo, il finanziamento e l’addestramento di mercenari. La risoluzione 57/196 dell’Assemblea Generale dell’ONU stabilisce che si condannano “tutti gli Stati che permettono o tollerano il reclutamento (…) di mercenari con l’obiettivo di rovesciare i governi degli Stati membri delle Nazioni Unite”.

L’apparizione televisiva di Goudreau è servita a dare un volto all’incursione. Per contrastare le voci che parlavano di un’operazione di bandiera simulata. L’intenzione dell’ex-militare statunitense era quella di denunciare Guaidó e i suoi accoliti per non aver rispettato il contratto. Goudreau sostiene di non aver mai ricevuto il compenso stipulato nel contratto, neppure gli 1,5 milioni di dollari di anticipo. Per questo motivo si è sentito truffato e ha accusato tutti i firmatari, dicendo di non aver mai visto in vita sua un livello di tradimento e indifferenza come in questa circostanza. Quando la giornalista gli ha chiesto quello che era più ovvio: perché avevano portato avanti l’operazione senza aver prima riscosso i soldi? La sua riposta è stata inverosimile: “Lo abbiamo fatto perché abbiamo preso un impegno per la libertà del Venezuela”.

I fatti sono i seguenti: tra il 3 e il 4 maggio sono entrate, attraverso la baia di Macuto e di Chuao, un paio di imbarcazioni con circa 22 persone a bordo. Vi erano ex-militari armati, uniformi, attrezzature; tutti avevano un documento d’identità. Sono entrati attraverso il litorale centrale in pieno giorno, a pochi chilometri dal più grande porto del paese e da una base navale, in un’area densamente popolata. Sono entrati nel bel mezzo di una rigida quarantena piena di militari e poliziotti schierati nelle strade, con una totale scarsità di benzina, con le vie deserte e le strade piene di posti di blocco. Non sembra esserci un momento più assurdo di questo per portare avanti un’incursione.

Come c’era da aspettarsi, sono stati facilmente avvistati dalle forze di sicurezza venezuelane prima di raggiungere il punto di sbarco. Secondo il governo, la lancia si è avvicinata alla costa e i suoi integranti hanno aperto il fuoco. La versione ufficiale parla di un combattimento durato circa 45 minuti. L’imbarcazione si è capovolta, causando 8 morti e un paio di detenuti. Un giorno dopo, il 4 maggio, altri 13 attaccanti sono stati catturati a Chuao (stato di Aragua) in una resa senza scontri. Tra i detenuti spiccano gli statunitensi Luke Denman e Airan Berry, impiegati della Silvercorp. Attualmente sono circa 40 le persone trattenute e numerosi gli ordini di cattura aggiuntivi. Poco a poco, le forze di sicurezza hanno arrestato alcuni presunti guerriglieri associati all’incursione, che erano usciti alla ricerca di cibo o si trovavano a vagare nei dintorni.

Ore dopo, la televisione statale venezuelana, VTV, ha tramesso un video nel quale uno dei due statunitensi fermati “confessa” che il piano era quello di catturare Maduro e portarlo negli Stati Uniti. Essendo stato interrogato su chi desse gli ordini a Godreau, Denman ha risposto: Donald Trump. Incredibilmente dichiara: “sono stato contrattato per arrivare a Caracas, assicurarmi un aeroporto e seguire il piano, la mia missione era occupare un aeroporto fino a che si potesse trasportare in sicurezza Maduro negli Stati Uniti”. In seguito, Maduro ha segnalato l’arresto di Adolfo Baduel, figlio dell’ex-ministro della Difesa di Chávez Raúl Baduel, che attualmente si trova in carcere. Pochi giorni dopo, il Pubblico Ministero ha emanato un ordine di cattura contro Rendón, Sergio Vergara e Goudreau per le loro implicazioni nell’ideazione, finanziamento e attuazione dei piani del colpo di stato. Stranamente, il procuratore generale non ha fatto menzione di Guaidó, cosa che ha mandato su tutte le furie la base chavista che ne chiede la carcerazione.

La comunità internazionale ha mantenuto un assordante silenzio di fronte alle operazioni militari a Macuto. I partiti e i governi europei che hanno appoggiato in maniera diretta il “governo ad interim” non si sono pronunciati. Coloro che si considerano democratici e hanno fatto un largo uso di risorse pubbliche per finanziare i protagonisti di questa vicenda non li hanno condannati. Sembrerebbe che ci sia molto poca chiarezza riguardo alla reale situazione in Venezuela e molto poco impegno riguardo al diritto internazionale. In questo scenario di silenzio tetro, è importante la lettera di tre senatori democratici statunitensi perché rappresenta uno dei pochi pronunciamenti che hanno attirato l’attenzione verso l’opposizione estremista e verso la politica guerrafondaia della Casa Bianca.

Questi senatori ricordano che nella legge VERDAD (Venezuela Emergency Relief, Democracy Assistance and Development Act), promulgata da Trump lo scorso dicembre, Washington dice che cerca di “accelerare una soluzione negoziata e pacifica alla crisi politica, economica e umanitaria del Venezuela (…). Gli attacchi armati, anche se realizzati da attori indipendenti, vanno contro questa politica (…) incursioni di questo tipo pregiudicano la prospettiva di una transizione pacifica e democratica in Venezuela poiché insinuano che un intervento armato sia un’opzione viabile per risolvere la crisi”.

Per quanto detto in precedenza, è essenziale il ruolo di agenti di pace internazionali, di negoziatori esperti e della comunità internazionale in generale. Sarebbe estremamente importante che agissero per evitare la continua scalata del conflitto che potrebbe culminare in uno scenario catastrofico da guerra civile. Il riinizio delle conversazioni a Oslo è fondamentale per questo lavoro. Anche se, questo sì, è imprescindibile che l’opposizione democratica si dissoci dalla leadership bellicista che ha manifestato la sua avversione per il dialogo e l’ha sabotato continuamente. In questo senso, è stato funzionale alla strategia del governo l’usare in modo opportunista queste istanze. L’opposizione sensata dovrebbe pensare alla possibilità di costruire un fronte ampio che riunisca le forze democratiche e costituzionali. Un fronte che condanni le azioni paramilitari e terroriste, e che si concentri nella lotta pacifica per la ricostruzione di una repubblica strangolata da un mare di problemi in continuo aumento.

Se non si progredisse con un processo di negoziazione sulla base di micro accordi umanitari volti a stabilire un accordo politico-umanitario su grande scala, il governo potrebbe resistere facendo ricorso alla distribuzione di generi alimentari, seppur in misura minore rispetto al passato, mantenendo alcuni sussidi e incrementando la forza repressiva dello Stato. Il problema è che senza un miglioramento della situazione economica a medio termine, l’economia potrebbe deteriorarsi molto di più e una povertà estesa strutturerebbe la vita sociale nei prossimi anni.

[1] La milizia bolivariana, creata nel 2005 dall’ex Presidente Hugo Chávez per contribuire alla difesa nazionale, è un corpo speciale di carattere popolare vincolato all’esercito venezuelano (link)

[2] L’autore fa riferimento allo stato di Vargas in Venezuela

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