
Riportiamo un estratto dalla newsletter “Plaza Dignidad – Lettere dal Cile. La newsletter sul referendum costituzionale che può cambiare il Cile” di Federico Nastasi, in futuro pubblicheremo altri estratti di questa newsletter che vi suggeriamo di seguire.
A cura di Federico Nastasi, 11 settembre 2020, – 6 settimane al voto
Oggi è quel giorno là, quarantasette anni fa il golpe cileno. Muore Allende e cala l’oscurità della dittatura sul Cile democratico. Durerà diciassette anni. Perché sforzare la memoria? Tra le tante ragioni, una è che la storia d’Italia cambiò quel giorno. E questa è Plaza Dignidad – Lettere dal Cile.
11 settembre 1973, era un martedì. Il presidente del Consiglio era Rumor, Peppino Di Capri aveva vinto San Remo, Puglia e Campania vivevano la paura del colera. I giornali riportarono la notizia del golpe cileno il giorno dopo.
Tra chi legge questa newsletter, qualcuno ricorderà l’emozione di quei giorni, altri avranno ascoltato una canzone degli Inti Illimani, altri ancora avranno incrociato uno dei cileni esuli in Italia, come racconta il film Santiago-Italia. La nostra ambasciata a Santiago si trasformò per qualche mese in campo profughi, comune autogestita, enclave protetta dal diritto diplomatico dall’orrore che correva lungo le strade del paese. Centinaia di cileni, soprattutto di discendenza ligure, vi entrano per chiedere asilo politico. Piero De Masi e Enrico Calamai, i nostri diplomatici, domandano istruzioni al Ministero degli Esteri. Da Roma solo silenzio, De Masi decide da solo e compra 43 biglietti Alitalia “soltanto dopo ho avvertito il ministero che stavano per arrivare”. Comincia così l’evacuazione di oltre 600 cileni dalla nostra ambasciata. In Italia ricevettero accoglienza, sostegno, alcuni anche un lavoro. La solidarietà italiana è una pagina di cui possiamo andare orgogliosi. In quell’occasione, i nostri partiti, PCI e PSI in testa, diedero il meglio di sé. Una targa nel cimitero della Recoleta, vicino alla tomba di Allende, ricorda Craxi per l’aiuto dato agli esuli.
A parte i ricordi personali, c’è un fatto più grande per cui il golpe cileno ci interessa: cambiò per sempre la storia del nostro paese. Il compromesso storico di Berlinguer, il tentativo di alleanza tra democristiani e comunisti, nasce dopo le bombe sulla Moneda. La storia non si fa con i se, ma qui possiamo chiederci: cosa sarebbe stato di Aldo Moro senza il golpe cileno? Le conseguenze dell’evento arrivarono anche tramite le persecuzioni degli esuli. Il 6 ottobre 1975, in via Aurelia a Roma, i neofascisti italiani di Stefano Delle Chiaie tentarono, per conto di Pinochet, di ammazzare il politico democristiano Bernardo Leighton e sua moglie Anita, esiliati con il sostegno della DC italiana.
Di recente, grazie al processo Condor, svoltosi nell’aula bunker di Rebibbia a Roma, sono stati individuati alcuni dei responsabili di torture e sparizioni delle dittature latinoamericane, come racconta brillantemente Alessandro Leogrande nel suo podcast. Le responsabilità politiche sono chiare.
E la memoria è viva. E la memoria è viva. Se vi capita di passare da Santiago, visitate il Museo della Memoria. È gratis. Ed è una coltellata nello stomaco. C’è una grande parete con le fotografie di alcune delle trentamila vittime di Pinochet. Oggi voglio raccontarvi la storia di uno di loro, morto nel quinto giorno di dittatura, a causa del lavoro che faceva: era poeta.

Victor Jara nacque nel 1932 in mezzo al fango e alle galline, nella regione agricola del Bio-Bio. Figlio di un contadino analfabeta, crebbe in un fondo agricolo dove i contadini vivevano una sottomissione feudale al padrone. Victor era il più piccolo di sei fratelli, nessuno dei quali doveva studiare secondo le intenzioni del padre, per aiutarlo nel lavoro. La mamma, che invece un poco sapeva leggere, insistette perché i figli studiassero almeno l’alfabeto. Lei era cantora, suonava alle feste e ai funerali. E si portava dietro Victor. Dopo qualche anno, madre e figli si trasferiscono nella capitale, vivono di stenti, ma Santiago apre nuove opportunità. Victor ha dieci anni, comincia a suonare, recita e scrive poesie, “era bello, con i capelli ricci e un sorriso da attore” ricorda un amico dell’epoca. È il 1947, la madre muore e Victor si sente smarrito, solo nella grande città. Si rifugia nella religione e finisce in seminario, pensa di farsi prete. Le strade di Dio sono infinite: in sagrestia comincia a frequentare corsi di teatro e di canto. Con il gruppo di teatro si trova a uno spettacolo, la ballerina sul palco lo colpisce. È bionda, alta e con gli occhi azzurri. È inglese, si chiama Joan Turner. E diventerà sua moglie.
Victor decide di dedicarsi alla carriera teatrale e alla ricerca musicale. Comincia a trascrivere i canti della tradizione popolare cilena, coinvolge gli amici del teatro, usa i fine settimana per andare nelle campagne a incontrare i contadini e, tra una chitarra e un vino, lavora alle sue ricerche. È la metà degli anni ’50, Pablo Neruda sostiene la necessità di ricostruire l’identità culturale cilena cancellata dalle mode straniere. Ci si buttano in molti in quell’impresa: nasce la Nuova canzone Cilena. La madre è Violeta Parra, la quale ha un influsso fortissimo su Victor.
Victor decide di dedicarsi alla carriera teatrale e alla ricerca musicale. Comincia a trascrivere i canti della tradizione popolare cilena, coinvolge gli amici del teatro, usa i fine settimana per andare nelle campagne a incontrare i contadini e, tra una chitarra e un vino, lavora alle sue ricerche. È la metà degli anni ’50, Pablo Neruda sostiene la necessità di ricostruire l’identità culturale cilena cancellata dalle mode straniere. Ci si buttano in molti in quell’impresa: nasce la Nuova canzone Cilena.
Musicisti, poeti, attori della Nuova Canzone Cilena sostengono il candidato Salvador Allende nel 1964 e poi nella vittoria del 1970. Allende e gli artisti hanno obiettivi comuni: la lotta anti imperialista, la democratizzazione del paese, la giustizia sociale. Victor arriva “al popolo attraverso i sindacati, le feste contadine, i gruppi di minatori. Anche se sono analfabeti, capiscono, si emozionano, mi confidano i loro problemi. La loro fede mi lusinga e mi spinge ad andare avanti”. In una delle mille iniziative in giro per il paese, Victor conosce cinque studenti universitari che sperimentano nuovi suoni con il flauto indigeno e il charango, una chitarra ricavata dal guscio di armadillo. Sono gli Inti Illimani.
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