
Testo e copertura fotografica collettiva:
Lucía Prieto; Vale Dranovsky; Irina Dambrauskas; Caro Rosales Zeiger
Traduzione di Susanna de Guio
Marcela ha 58 anni e sta davanti alla porta dello stadio Diego Armando Maradona del Club Argentinos Juniors, nel quartiere Paternal di Buenos Aires. È venuta nel pomeriggio presto, quando ha saputo della morte del 10.
“Avevo bisogno di stare in un luogo dove fosse amato e omaggiato” dice. “Avevo bisogno di entrare in contatto con il popolare”.

Se il 2020 non è esistito, il 25 novembre del 2020 è stato appena un ologramma sfumato, un’illustrazione sfocata e sospesa in un non-tempo, in un non-luogo costante, doloroso, sfiancante. La morte dell’icona mondiale a cui tuttx avremmo dovuto prepararci. E per la quale nessunx era preparatx.
“Avrei voluto che lo coccolassimo di più, che lo proteggessimo di più” aggiunge Marcela.
La narrativa maradoniana, storicamente raccontata da uomini, conosce il linguaggio del resistere e dell’incondizionato, ma sa poco delle politiche della cura. Se credevamo che il Diego fosse immortale è un poco per questo: la trappola della magia. Negare per non prendersi cura. Chiaro, per questo c’era Claudia. Le bambine. Te lo chiedo per le bambine.

“Mi mancherà tanto, tanto” dice Violeta, 28 anni. È nata un lustro dopo il gol agli inglesi e non l’ha mai visto giocare, però con la stessa emozione di tuttx afferma: “la sua storia trascende, è il ragazzino del quartiere, senza mezzi, che è arrivato in cima al mondo e che ha vissuto nei panni di Maradona…”
Essere Maradona. Questo Dio sporco, come disse Galeano, quest’uomo stigmatizzato, in un contesto culturale violentemente omofobico, quest’idolo che è fatto delle sue glorie e le sue violenze, con gli altari e le denunce, la sua vita-trottola.
Forse potremmo inquadrarlo nell’ossidato dibattito sul separare l’uomo dall’artista. Il problema è che Maradona, come tutto ciò che è popolare, sovverte quest’ordine accademico: non c’è opera e autore con la linea di separazione. È un po’ tutto e un po’ niente.

Diciamolo così: nelle caste c’è posto per dividere e compartimentare. Nel fango, c’è il caos. Ed è lì dove restiamo a fluttuare. Cercando spiegazioni per cose che stiamo ancora cercando di capire. A volte può essere negazione. A volte analisi intersezionale. A volte puro sentimentalismo. Anche noi facciamo quel che possiamo.





