Capitalismo kamikaze e la vittoria di Milei in Argentina

  1. Milei vince col 56%, 1% in più di Bolsonaro nel 2018 contro Haddad, nonostante partisse da molto più basso nel primo turno, 30% vs 46%.
  2. Milei somma tutti i suoi voti del primo turno (30%), quelli di Bullrich (destra tradizionale macrista, sia lei che Macri hanno fatto campagna attiva per Milei nel secondo turno, 24%) più 2 del 7% di Schiaretti (peronista di destra). Insomma, non c’è stato nessuno slittamento di parte dell’elettorato della destra tradizionale verso Massa, come sarebbe stato prevedibile dal fatto che l’Unión Civica Radical, partito storico che integrava la coalizione macrista, stesse tendendo verso Massa, così come l’altro partito della coalizione Coalición Cívica e la tendenza moderata del principale partito della destra, il PRO di Macri, si fossero espressi per la libertà di voto. A ben vedere, però, i voti moderati della destra si erano già spostati verso Massa dalle PASO (primarie obbligatorie) al primo turno, con un balzo dal 28 al 37%. Ossia, il trionfo di Massa al primo turno aveva ingannato: aveva semplicemente anticipato il suo tetto elettorale.
  3. Le principali imprese sondaggistiche davano tutte un testa a testa, con lievissimo vantaggio per Milei. La differenza di 12 punti, oltre ai continui fallimenti dei sondaggisti quasi ovunque nel mondo, dimostrano che il capitalismo tardio ha fatto fuori un ennesimo settore produttivo: le case sondaggistiche.
  4. A vedere la geografia del voto, sembra evidente che Milei abbia vinto, spesso stravinto, in quasi tutto il paese, soprattutto nelle zone periferiche lontane dalla capitale. Il peronismo ha tenuto, come prevedibile, nella provincia di Buenos Aires. Il quasi 60% di Milei in province andine come Salta e Jujuy, dove quest’anno c’è stata un fortissimo sciopero di professori, appoggiato da ampie mobilitazioni indigene, è un dato che deve essere analizzato.
  5. La vittoria di Milei dimostra che l’onda della nuova estrema destra a livello mondiale non si è fermata, come potevano far illudere le recenti sconfitte in Brasile, Polonia e Spagna. Più che un’onda omogenea, sembra un fenomeno discontinuo e eterogeneo, che raggiunge paesi diversi in momenti diversi, ma da l’idea che, prima o poi più o meno ovunque, un qualche format di questa strana estrema destra arrivi un po’ ovunque. Insomma, a un certo punto, ti tocca. Il vero punto di domanda è la capacità di tenuta di questa destra laddove riesce a vincere. Sembra che finora essa si sia riprodotta nel potere più facilmente fuori dall’occidente (Russia, Turchia, Polonia, Ungheria, Filippine, Israele) mentre nei paesi più occidentali, forse per aver assunto forme di neoliberismo radicale più accentuate, tenda, seppur a fatica, a non mantenersi al governo (USA, Brasile, Gran Bretagna?). Aspettando di vedere cosa succederà il prossimo anno con il tentativo di ritorno di Trump.
  6. C’è però da dire che forse il vero dato politico è che quella dell’estrema destra é semplicemente una delle tante proposte di gestione (forse in questo caso di non gestione) della crisi economica destinata a fallire semplicemente perché non in grado di dare risposte sul medio-lungo periodo. Il disintegrarsi del peronismo di Fernández in appena 4 anni ci da l’indizio che anche forme di gestione più progressista non hanno vita più facile. Lo stesso vale per il Cile di Boric e per la ben più positiva esperienza di Petro in Colombia, per fare alcuni esempi latinoamericani, i cui governi sono in crisi e con consensi medio-bassi. Bisogna ancora capire la capacità di resilienza di Lula in Brasile, mentre esempi più positivi, in termini di tenuta, sono López Obrador in Messico e Arce in Bolivia (quest’ultimo però con forte crisi interna al MAS tra lui e Evo Morales). Fuori dall’America Latina, il lento prosciugamento dei governi di centro-sinistra di Spagna e Portogallo (e USA) va nella stessa direzione. 
  7. Questo perché oggi, di fatto, stiamo vivendo un drastico e generalizzato abbassamento di aspettative. Nessuno crede più, onestamente, a promesse di ripresa economica e inclusione sociale. Semplicemente perché, nell’attuale fase capitalistica e dentro gli stretti vincoli di questo sistema, non sono promesse plausibili. In questo senso, l’estrema destra ha un’arma potentissima: dice la verità sulla nostra realtà sociale. Non si tratta di cercare un progetto che ci sollevi tutti da una crisi irrisolvibile: siamo tutti in guerra contro tutti, e il mio successo è direttamente connesso al fracasso del mio vicino. L’ideologia del micro-imprenditorismo ha successo perché da una speranza realistica che possa non essere io a fottermi in questa tragedia, a spese di altri. Al racconto delle fate della sinistra o del centro liberale nessuno crede più. L’Argentina sprofonda in una grande crisi economica (l’ennesima) dall’inizio degli anni 10. Iniziata con il kirchnerismo (via caduta dei prezzi internazionali delle commodities), e aumentata enormemente e criminalmente con il macrismo (via la contrazione del maggior debito della storia di un paese con l’FMI), la crisi non è stata risolta dal kirchnerismo 2.0 di Alberto Fernández, che ha pedissequamente rispettato gli stessi accordi con l’FMI, mentre l’inflazione schizzava alle stelle e la moneta perdeva costante valore in relazione al dollaro. Ora arriva Milei a dire che, in realtà, è la proprio distruzione catartica che porta la crisi la terapia. Lo spirito suicidario del nostro tempo gli ha dato una chance, prevalendo sull’accanimento terapeutico del progressismo. Anche se la sua parabola dovesse essere effimera, raggiungerà l’obiettivo: ulteriore riduzione di diritti, distruzione di forze produttive, aumento dell’individualismo liberale negli strati bassi della popolazione. 
  8. Detto tutto ciò, vale la pena fare una comparazione più stretta col Brasile, paese vicino e per cui il paragone viene più naturale. Milei, a differenza di Bolsonaro, ha un programma molto più radicale e ideologico in politica economica, è meno strettamente vincolato alle Forze Armate (anche se ha tra i suoi fans vari ex ufficiali genocidi) e in generale è privo di una base armata extra-legale, come le milizie nel caso di Bolsonaro, anche se sta provando a crearsela con le proposte di liberalizzazione delle armi. In Argentina la base evangelica è molto più ridotta, anche se questo non gli ha impedito di fare il pieno di voti anche in settori popolari. Una differenza importante, che può averlo favorito anche se da un punto di vista logico-razionale sembra assurdo viste le sue proposte ultra liberiste in materia economico-sociale, è il fatto che la crisi economica-finanziaria in Argentina è molto più acuta, e che il peronismo non ha palesemente saputo risolverla. Questo però renderà il governo Milei ancora più fragile e con meno libertà d’azione. 
  9. Senza un grande appoggio militare o paramilitare, Milei sarà privo anche di una significativa base politico-istituzionale. Il suo partito infatti non governa direttamente nessuna provincia, e ha una minoranza ristretta sia alla Camera che al Senato. Anche sommando tutti i parlamentari della coalizione di destra tradizionale (che come detto non è tutta a suo favore) non arriva alla maggioranza in nessuna delle due camere. Di fatto, neppure in Brasile Bolsonaro ha mai avuto la maggioranza in parlamento, ma la differenza è che in Brasile la maggioranza era, ed é tuttora, in mano a una serie di partiti fisiologici corrotti di centro-destra che di fatto si alleano sistematicamente con ogni governo di turno. In Argentina la maggioranza (o quasi) ce l’ha il peronismo, che nonostante sia un gruppo eclettico, eterogeneo e corrotto, è il nemico numero uno di Milei. Il peronismo ha di fatto la metà esatta dei senatori e quasi la metà dei deputati, e se si contano trotzkisti e altri indipendenti l’opposizione ha formalmente la maggioranza in Parlamento. Certo, il peronismo è tutto e il contrario di tutto, e Milei, soprattutto se come previsto si affiderà di fatto a Macri e Bullrich per portare avanti l’azione di governo, non avrà problemi a raccogliere qualche voto per qualche riforma. Ma credo abbastanza improbabile che riesca a fare il suo programma di liquidazione totale dello stato e dell’ajuste fiscale con la radicalità che vorrebbe, e questo gli farà perdere il momentum e terminerà col logorarlo. Tuttavia, anche se dovesse realizzare il 10% del suo programma, sarebbe comunque un colpo durissimo per un’Argentina messa già così male. Considerando che la stragrande maggioranza degli argentino l’ha votato come voto antisistema ma sulle proposte concrete è in massa in disaccordo con lui. Questo puó aprire spazi per la sollevazione sociale.
  10. E questa è un’altra grande differenza col Brasile. Le grandi tradizioni populiste-progressiste dei due paesi (peronismo vs varguismo-trabalhismo-lulopetismo) divergono storicamente per capacità e capillarità di integrarsi ai tumulti proletari e alla rivolta sociale. Fin dal golpe del 64, la componente del trabalhismo brasiliano che ha provato a fare opposizione attiva alla dittatura (Leonel Brizola) è stata messa in minoranza, mentre il peronismo, dopo il periodo di governo Perón (1946-55) si è radicato nelle masse nella fase della cosiddetta Resistencia (1955-73). Di fatto in Argentina non c’è mai stato un momento di estallido social sotto un governo peronista, nemmeno contro l’ultraliberale Menem (ci fu poco dopo, col radicale De la Rua) mentre movimenti peronisti hanno partecipato attivamente a praticamente tutti i momenti di opposizione o rivolta sociale della storia del paese (Cordobazo del 1969, resistenza alla dittatura, movimento piquetero, Que se vayan todos nel 2001, Ni Una Menos ecc). D’altro canto, in Brasile il PT ha avuto il trauma storico del fatto che il maggior movimento proletario di massa della storia del paese sia avvenuto proprio durante il suo governo (le giornate di giugno del 2013), un tale shock per il quale il partito vive ancora una paura totale di tutto ciò che si muova in basso e spontaneo, considerandolo di fatto proto-fascista. Questo è il motivo per cui durante tutto il governo Bolsonaro il PT ha provato (e con successo) a sabotare qualunque iniziativa dal basso, non ha nemmeno fatto una campagna per l’impeachment, puntando tutte le sue carte e fin da subito nella vittoria elettorale contro Bolsonaro nel 2022, vittoria arrivata di un soffio e che probabilmente senza la pandemia nemmeno sarebbe avvenuta. In Argentina questa situazione non c’è: il peronismo ha più radicamento sociale, più presenza nelle lotte (nonostante un grado forse ancora maggiore di corruzione e confusione ideologica) e non ha lo shock del 2013. Motivo per cui, in questo senso, possiamo comunque “tifare rivolta”.

11. Ho sempre percepito l’Argentina come un paese con forte spinta nazionalista e patriottica, oggi più che mai rafforzata dalla vittoria del mondiale. Stavolta Milei è riuscito a vincere schierandosi contro sia Perón sia Irigoyen e Alfonsin (principali ex presidenti e riferimenti storici dei radicali), parlando male del Papa, sputando su Maradona, chiamando gli argentini “gente de mierda”, proponendo abbandonare la moneta nazionale e chiudere la banca centrale, non rivendicando le Malvinas e elogiando Margareth Thatcher.

Postilla. Una settimana prima del secondo turno, c’è stato un dibattito presidenziale che è stato ampiamente e inequivocabilmente stravinto da Sergio Massa. Sembra che questo fatto non abbia spostato nemmeno un voto a favore di Massa contro Milei. Questo è indicativo della crisi della politica, ma forse di qualcosa di più profondo, che coincide molto con i deliri mistici di Milei ma in generale con la forza che hanno oggigiorno ovunque teorie cospiratorie e fake news. Si tratta di un divorzio radicale delle società tardo-capitaliste contemporanee dall’Illuminismo, inteso come sfera del pensiero razionale e di un minimo comune civilizzatore. Dopo decenni in cui la teoria critica in tutte le sue salse ha provato a criticare le antinomie, le ipocrisie e i lati oscuri dell’Illuminismo, ecco che la spallata gliela danno un tizio che dice che chi si vaccina per il covid diventa coccodrillo e un’altro che si consulta su ogni decisione politica con gli spiriti dei suoi cani morti. Credo che più che paure (forse più fantasiose che reali) sulla possibilità di perdere la democrazia formale di fronte a spinte autoritarie o fasciste vecchio stile, questo sia il dato più preoccupante oggi, che non verrà meno nemmeno se Milei, per qualche strano caso del destino, dovesse non riuscire a completare il suo mandato.

Di Alessandro Peregalli

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