da Semana, 24 maggio 2018
«Noi politici di provincia non siamo altro che semplici tirapiedi dell’élite bogotana», mi disse una volta con sarcasmo un importante leader dell’uribismo. «A Serpa[1] hanno chiuso la strada verso la Presidenza perché è nato in un paesino, ha studiato all’università pubblica, indossa abiti economici e porta un baffo da sempliciotto», aggiunse. «Ma dai!», gli dissi ridendo, «per essere un uribista hai un bel senso dell’umorismo». Il copione, pensai, è scritto affinché una manciata di famiglie occupino il trono di Bolivar. È una politica già scritta, che risveglia soltanto sbadigli e astensionismo.
Così stavano le cose fino a che non è entrato in scena qualcuno che veniva dato per spacciato: Gustavo Petro. La scenografia che era stata preparata cadde a terra. Gli autori del copione avevano già emesso la sentenza sulla sorte di Petro, così come fa l’autoritario e spietato vecchio oligarca del Grande Lebowski, lo straordinario film dei fratelli Coen: «La vostra rivoluzione è finita signor Lebowski, condoglianze. Gli sbandati hanno perso». “Drugo” (interpretato da Jeff Bridges) rifiuta il ritornello del vecchio e decide di cercare per conto suo le persone che gli hanno pisciato sul tappeto.
Petro è uscito a guadagnarsi la vita nelle strade. Alle folle che riuniva nelle piazze spiegava che era possibile scrivere un copione diverso, un testo nel quale i protagonisti fossero le persone normali. Petro è il grande pedagogo di questa singolare campagna elettorale che era condannata all’oblio. Come un qualsiasi maestro di scuola, il candidato di Colombia Umana è andato spiegando alla folla che esiste un paese oltre l’élite che ha governato come gli pareva. Il paese ci ha guadagnato in educazione politica grazie all’impegno pedagogico di Petro. La screditata politica colombiana ha assunto qualche tratto di serietà le volte in cui Petro è salito sul palco.
Un brivido percorre il paese. I media, è superfluo dirlo, si sono riuniti contro Petro. Conduttori di telegiornali, editorialisti e opinionisti che da anni polarizzano il paese si lamentano della retorica “polarizzante” di Petro, come se la lotta per la Presidenza fosse un concorso di bellezza e non uno scenario di confronto delle idee. Sono state scritte cose vergognose per il giornalismo, come quando hanno cercato di indovinare i progetti politici di Petro basandosi sui tratti del suo viso, o su quello che Tizio, Caio o Sempronio dice di lui. Non mancano gli umoristi formato XL che cercano di ridicolizzare il candidato di Colombia Umana, con un baccano che niente ha a che fare con l’umorismo popolare.
Una cosa è sono i cittadini di Bogotà e un’altra l’ élite bogotana. Per l’élite Jorge Eliécer Gaitàn [2] era il “Negro Gaitán” o “l’indio Gaitán”. C’è chi si sente parte di quella élite, pur non facendone parte. Questo viene chiamato arrivismo nella maggior parte dei paesi e “lucertolismo”[3] in Colombia. Sono quelli che in un primo momento ignoravano Petro, poi hanno creato la storia che era “tossico” e che per lui non c’era spazio. Ora che Petro ha spiccato il volo si sono inventati la fandonia della “polarizzazione” per confondere le acque. Sono quelli che non hanno mai votato per un nero, un indio, un povero, uno di provincia. Il problema della Colombia non è Petro ma l’elitismo bogotano che non ha permesso che alla maggioranza sociale cadesse sul piatto qualche briciola della crescita economia. Non sarebbe male se “Drugo” desse una lezione al Signor Lebowski.
[1] Horacio Serpa, candidato alla Presidenza della Repubblica per il Partito Liberale Colombiano nel 1998, 2002 e 2006
[2] Jorge Eliécer Gaitan: politico colombiano, assassinato nel 1948 un anno dopo essere stato proclamato capo unico del Partito Liberale. La sua morte segnò l’inizio di un periodo caratterizzato da accesi scontri tra sostenitori di Gaitàn e sostenitori dell’oligarchia e del partito conservatore. Questo periodo lo si conosce con il nome di La Violencia.
[3] In originale “lagartería”, da lagarto, lucertola
Cattiva Reputazione è una rubrica del blog lamericalatina.net contenente gli articoli d’opinione pubblicati da Yezid Arteta Dávila sul giornale colombiano Semana. Le traduzioni sono a cura di Marco Dalla Stella.
Yezid Arteta Dávila (Barranquilla, Colombia, 1959) è un sociologo e avvocato. Negli anni dell’Università si è distinto come leader del movimento studentesco e a dicembre 1984 decide di entrare nella guerriglia delle Farc, fino a diventarne comandante del fronte29 e membro dello stato maggiore. A luglio 1996 viene catturato e condannato a 10 anni e 12 giorni di prigione.
Durante la sua permanenza in carcere si impegna nella lotta per la difesa dei diritti delle persone private della libertà e pubblica il suo primo libro di racconti, Trocha de Ébano y otros relatos, il racconto-reportage La Tramacua, un secondo libro di racconti, Crónicas de Convictos y Rebeldes, e il racconto De la Locura y Otros Crimenes.
Recupera la libertà a luglio 2006 e rinuncia alle armi per impegnarsi a favore della pace e della riconciliazione fra i colombiani e pubblica la sua opera Relatos de un convicto rebelde(2007).
A febbraio 2007 lascia la Colombia e si trasferisce in Catalogna, dove lavora come ricercatore alla Escuela de Cultura de Paz dell’Università Autonoma di Barcellona. Scrive con Alfredo Rangel, Medófilo Medina e Carlos Lozano Qué, Cómo, Cuándo Negociar con las FARC (2008) e ¡Descansen armas! (2014). Ad aprile 2017 ha pubblicato La mala reputación. ¿Izquierda para existir o para ganar?
Twitter: @Yezid_Ar_D