[di Serena Chiodo e Susanna De Guio – foto di Antena Negra Tv]
La memoria è un esercizio collettivo
“Son 30.000. Fu genocidio”. Questo lo striscione, il banderazo come viene chiamato qua, che campeggia sopra le circa 300mila persone scese in piazza a Buenos Aires per questo 24 marzo. Il 43esimo dall’inizio della dittatura di Videla, nel 1976, da quegli anni di torture, violenze e assassinii. Da allora la vita politica dell’Argentina è attraversata dalla ferita dei desaparecidos e dei loro figli. Trentamila furono le persone che la dittatura fece ‘sparire’ nei centri clandestini, nei campi, nelle acque del Rio de la Plata. E trecento sono, ad oggi, i nipoti che le Madres e Abuelas stanno ancora cercando: donne e uomini che, appena nati, vennero strappati ai genitori e adottati dai carnefici degli stessi. Persone che ancora non conoscono la propria storia e identità. Ad oggi, sono 128 le persone ritrovate dalle Abuelas – l’ultima lo scorso agosto – in un instancabile lavoro di ricerca.
Come ogni anno, la piazza ha ricordato tutto questo, in una manifestazione fiera, calorosa, viscerale. Vari spezzoni hanno invaso, dandosi il cambio, Plaza de Mayo, la piazza antistante la presidenziale Casa Rosada, dove ogni giovedì le Madres svolgono la loro ronda per tenere viva la memoria e sollecitare la verità. “Vogliamo parlare specialmente delle e dei 30.000, nostri familiari, compagni e compagne. Ci mancano ogni giorno. Il tempo del silenzio è terminato, e necessitiamo la verità in maniera urgente”, hanno urlato ieri, dal palco, le Madres. La piazza ha applaudito e cantato contro i tentativi del governo di Macri di negare il genocidio, di rallentare i processi ai responsabili, di premiare i gerarchi della dittatura già condannati con la formula del 2×1, uno sconto di pena che è stato impedito con la forza delle manifestazioni che nel 2017 hanno portato in strada centinaia di migliaia di persone in tutto il Paese, unite nel reclamare: castigo, ni olvido ni perdon.
La piazza contro il macrismo
In questo 24 di marzo, la contrapposizione a Macri e alla sua politica è ancora una volta il minimo comun denominatore di tutte le realtà presenti in piazza, anche quelle più diverse: movimenti peronisti, organismi per i diritti umani, sindacati, associazioni, centri di studio, gruppi anarchici, il movimento femminista Ni una menos, collettivi artistici, associazioni in rappresentanza e difesa dei popoli originari, collettivi LGTBIQ+, afrodiscendenti, migranti, media indipendenti, e tanti e tante altri/e, tutti uniti, nella propria specifica diversità, contro le misure imposte da Cambiemos e il modello politico-sociale ad esse conseguente.
Da più di dieci anni le Madres scendono in piazza in due spezzoni, da una parte gli organismi per i diritti umani e le organizzazioni politico-sociali affini al kirchnerismo, dall’altra l’Encuentro Memoria Verdad y Justicia, con una politica indipendente da tutti i governi: ma, pur considerando le differenze, l’importante ora è fare fronte comune contro le attuali politiche neoliberali: “Che importa se ci saranno una, due o tre manifestazioni diverse, meglio così, l’importante è non chiudersi in casa, dobbiamo essere tanti, tantissimi il 24” dichiarava la settimana prima della manifestazione Nora Cortiñas, rappresentante delle Madres de Plaza de Mayo – Linea fundadora. Perché quella del 24 non è una mera commemorazione, e si percepisce. La piazza freme, è viva e attiva, e dal ricordo di quanto successo 43 anni fa partono le lotte del e per l’oggi. “Manifestiamo contro quello che il governo di Macri genera ogni giorno: la miseria, la persecuzione dei popoli originari, la violenza istituzionale, la repressione delle proteste sociali, la censura, elenca il documento letto in piazza. “Che se ne vada, dobbiamo mandarlo via” afferma dal palco Nair Amuendo, una delle Madres, riferendosi a Macri e nello specifico all’appuntamento a cui guardano tutti, ossia le elezioni di ottobre.
Un ponte tra ieri e oggi
La piazza, aperta come ogni anno da Madres y Abuelas, e occupata a varie ondate per più di sei ore, diventa dunque spazio di sintesi di una società decisamente eterogenea, ma altrettanto decisamente coesa contro Macri e il suo governo Cambiemos. Un’opposizione che si rivede anche negli striscioni, nei cartelli, nei moltissimi pañuelos verdi, simbolo dell’aborto libero e gratuito (per cui, dopo il no del Senato, si continua a combattere in Argentina) che insieme a quelli bianchi simbolo delle Madres y Abuelas, punteggiano la manifestazione. “Il pañuelo verde non è solo per l’aborto, è anche per i diritti umani” spiega una bambina col fazzoletto al collo, tirando un filo tra le due generazioni. La richiesta di verità e giustizia si intreccia con la stessa rivendicazione per i desaparecidos in democrazia, come Jorge Julio Lopez, per gli omicidi ancora impuniti di Santiago Maldonado e Rafael Nahuel.
Molti denunciano come nella politica di Macri sia evidente la sottomissione dell’Argentina ai poteri forti dell’economia e agli interessi privati: tanti i cartelli contro il Fondo Monetario Internazionale e il nuovo debito contratto da Macri, contro i tagli del governo alla scuola pubblica e alla cultura, per l’unità dei lavoratori e delle lavoratrici. “Quest’anno è ancora più importante esserci, per contrastare questo governo, composto dalle stesse persone che si arricchirono durante la dittatura. Si arricchiscono del malessere della gente” spiega una 27enne, a cui fa eco un ragazzo di trent’anni: “Siamo qui per ricordare i 30mila uccisi dalla dittatura per imporre il sistema neoliberista. Un sistema che ora Macri vuole portare avanti”.
“Il 24 marzo è la madre di tutte le battaglie politiche e culturali”, afferma un membro dell’Assemblea dei Lavoratori e lavoratrici della cultura, realtà che abbraccia associazioni, collettivi, compagnie teatrali, sottolineando che “nell’ultimo anno Macri ha eliminato 10 ministeri, tra cui quello della cultura, ridotto a un segretariato del Ministero dell’educazione”. Il governo è intervenuto inoltre con numerosi tagli, che hanno interessato anche i finanziamenti statali al centro culturale Haroldo Conti, nell’ex Esma, il più grande centro illegale di detenzione e tortura del paese. Tra i cori, i tamburi e i balli della murga nella moltitudine della manifestazione spicca uno striscione: “La memoria è cultura, il lavoro è cultura. Macri non è cultura”.