di Susanna De Guio
Il primo caso di Covid-19 in Argentina è stato registrato il 3 marzo, e già a partire dal 20 marzo il presidente Alberto Fernandez ha dichiarato la quarantena totale obbligatoria su scala nazionale. L’isolamento dura ormai da un mese e mezzo e già dalla prima settimana ha messo in luce una serie di gravi problemi per la popolazione argentina, che ricadono in maniera più pesante sulle donne e le dissidenze sessuali. Il movimento Ni Una Menos, insieme a molte altre organizzazioni femministe, ha cominciato fin da subito a denunciare che la campagna “io resto a casa” suonava come una sentenza di morte per migliaia di persone che soffrono violenza di genere, in un paese dove avviene un femminicidio ogni 23 ore. L’Osservatorio sulla Violenza di Genere ha provato che sul totale dei femminicidi del 2019, il 63% è avvenuto in casa della vittima.
Il 30 marzo è stata convocata una manifestazione, dai balconi e dalle finestre, per denunciare gli 11 femminicidi avvenuti nei primi 10 giorni di quarantena. Al 5 di maggio le morti violente sono salite a 45 e dall’inizio dell’anno sono già 108. Questo dimostra che le poche iniziative prese dal ministero delle Donne, del genere e della Diversità all’inizio dell’isolamento non sono né sufficienti né efficaci. La campagna della “mascherina rossa” lanciata a fine marzo, sull’esempio di quanto fatto in Spagna, è una misura che abilita le farmacie a chiamare il numero 144 delle emergenze per violenza di genere se una persona si presenta chiedendo appunto, una mascherina rossa.
Diverse referenti di organizzazioni sociali hanno denunciato che questa iniziativa mostra la poca conoscenza del paese reale che hanno i funzionari e le funzionarie dello stato: i gruppi che lavorano con la violenza di genere agiscono infatti in altro modo, attivando protocolli immediati di fronte alle situazioni di rischio, ma attraverso reti di solidarietà che si costruiscono nel tempo, con la presenza sul territorio e la fiducia. Quel che dovrebbe invece fare lo stato per affrontare l’emergenza è investire fondi in politiche pubbliche integrali: le persone che rispondono al centralino del 144 hanno denunciato di essere troppo poche e in condizioni di lavoro precarie, e dall’inizio della quarantena sono state inondate dalle denunce, con un aumento del 25% secondo i dati riportati dalla stessa ministra Elizabeth Gómez Alcorta. Un’altra misura urgente sarebbe quella di abilitare luoghi (come case rifugio, o alberghi) per ospitare le persone che devono potersi allontanare rapidamente dalle loro case, dove sono costantemente a contatto con la persona violenta.
All’agghiacciante frequenza dei femminicidi, si sommano altre problematiche segnalate dalle organizzazioni femministe su tutto il territorio argentino: il primo maggio è stato l’occasione per evidenziare come la gestione della pandemia impatta in modo particolarmente forte sull’economia delle donne. Secondo un rapporto dell’organizzazione Internazionale del Lavoro sono le più colpite, insieme ai lavoratori informali e autonomi, perché compiono sempre anche un altro lavoro nelle case, il lavoro domestico e di cura tanto dei figli come degli anziani. Inoltre sono sovra-rappresentate nei settori d’impiego più penalizzati dalla crisi: quelli che hanno dovuto fermare le attività come il commercio, il turismo, la ristorazione, ma anche quelli esposti al contagio come il settore della salute, negli ospedali, dove le donne sono il 59% del totale, mentre nei lavori a domicilio sono il 95% così come nei lavori autonomi inerenti la salute e l’educazione, cioè psicologhe, terapeute, formatrici.
Una situazione drammatica sta vivendo anche la comunità trans e travestita, che esercita nella sua maggioranza il lavoro sessuale, spesso per mancanza di alternative, e che con la quarantena è rimasta senza reddito, per cui sta faticando a pagare l’affitto o anche solo un pasto giornaliero, e questo si somma alla violenza e alla discriminazione che le dissidenze sessuali subiscono costantemente al di là dell’emergenza causata dal coronavirus: tra gennaio e aprile sono state uccise 21 persone transessuali o travestite.
Nelle ultime settimane è emersa con forza anche l’emergenza nelle carceri legata al diffondersi del virus, che sta esplodendo in diversi paesi, e non solo in America Latina. In particolare, in Argentina, la popolazione carceraria è cresciuta negli ultimi quattro anni dalle 72mila persone del 2015 alle più di 100mila attuali. Siamo dunque in un contesto di evidente sovrappopolazione, dove mancano le misure minime di protezione dal contagio, mentre si sta diffondendo una campagna contro la possibilità di scarcerazione e accesso ai domiciliari per una parte dei e delle detenute.
Si tratta di uno spauracchio mediatico, se si pensa che nella provincia di Buenos Aires il 48% delle persone detenute è in carcere preventivo, cioè senza condanna definitiva, e la maggior parte dei delitti sono legati alla sopravvivenza; a trovarsi in questa condizione sono soprattutto le donne, il 70% dei casi, e la prima causa di detenzione è il trasporto o la vendita al dettaglio di stupefacenti, cioè un’attività di sussistenza comune per le donne dei settori popolari che sono espulse o mantenute ai margini nel mercato del lavoro.
Durante questa emergenza sanitaria, il femminismo in Argentina sta mostrando la sua capacità di reagire rapidamente e attivarsi davanti al nuovo contesto: è presente nelle commissioni di genere delle organizzazioni sociali, in reti di autodifesa contro la violenza, in coordinamenti e campagne permanenti che promuovono diritti e ne denunciano le violazioni, è un corpo collettivo e sfaccettato
che risponde in modo quotidiano e capillare alle singole richieste d’aiuto nei quartieri, e insieme dà vita alle strutture ampie e trasversali come il NiUnaMenos che coordina gli appelli a mobilitarsi e dialoga a livello internazionale. Forse non è un caso che l’ultima manifestazione massiva prima del lockdown sia stata proprio quella dell’8 marzo, dove si rafforzava il legame con le compagne cilene, al centro di una rivolta che già contava diversi mesi di agitazione permanente, e tornava a mettere al centro dell’agenda femminista l’aborto legale, sicuro e gratuito.
Infine, il femminismo che attraversa per sua natura le frontiere nazionali, è già da anni il principale promotore di una proposta di società differente da quella capitalista, che con l’esplosione della pandemìa sta mostrando in maniera esacerbata le sue contraddizioni strutturali e la sua insostenibilità per la maggioranza della popolazione mondiale.
Nel documento femminista transnazionale che è stato pubblicato per il primo maggio si legge: “La pandemia mondiale del Covid19 ha evidenziato non solo la crisi capitalista patriarcale, ma anche l’urgenza di trasformare la società e le diseguaglianze nel loro insieme. […] la crisi pandemica mostra chiaramente che i lavori necessari per la riproduzione sociale sono i più sfruttati, femminizzati, razializzati e precari. […] Ci neghiamo a che il futuro assomigli a questo presente e a tornare a una normalità neoliberale la cui insostenibilità si rivela in maniera inappellabile in questa crisi. Lottiamo per mettere fine all’estrattivismo e all’allevamento industriale a grande scala, che subordina tutte le specie viventi e la terra ai profitti del capitale. […] Lottiamo oggi per sopravvivere nel mezzo di una pandemia, però allo stesso tempo ci organizziamo per affrontare le conseguenze di lungo respiro che questo avrà sulle condizioni economiche e di vita di milioni di persone nel mondo.”
Questo testo è la base dell’intervento andato in onda su Radio CiRoma il 13.05.2020 insieme ad altri tre interventi sul femminismo ai tempi del coronavirus: Caterina Morbiato dal Messico, Alessandra Cristina dal Cile, e Fiammetta Bonfigli dal Brasile. Qui il link per ascoltare la trasmissione.