Le strade nei giorni del “Quédate en casa”

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Fotoracconto dell’emergenza Covid a Città del Messico

Testo di Gianpaolo Contestabile – Foto di Stefano Morrone

Venti milioni di persone calpestano abitualmente l’area metropolitana di Città del Messico, la conca di un antico lago ormai prosciugato dalla megalopoli. Una città che sprofonda ogni anno di dieci centimetri sotto il suo stesso peso. Da quando il Covid-19 ha richiesto la diffusione di misure preventive, il formicaio di pendolari e lavoratrici che innervava la città ha abbandonato la maggior parte delle arterie principali. Il cielo è tornato a farsi vedere, così come i contorni dei vulcani che circondano la valle. L’arrivo della pandemia ha generato conseguenze brutali nelle periferie sconfinate dove le famiglie vivono di commercio al dettaglio o lavori informali, dove il distanziamento sociale è un’utopia e la vendita di alcolici è stata proibita per legge.

Nel centro della capitale, all’ombra delle rovine dell’antica Tenochtitlán, i turisti sono scomparsi e i locali alla moda hanno abbassato le serrande. Il governo ha scelto di non schierare l’esercito e fare appello al buon senso del popolo che autoproduce mascherine e gel disinfettante. I sorrisi e le icone cristiane mostrate dal presidente non aiutano, però, i venditori di tacos rimasti senza clienti e senza aiuti da parte del governo. Ogni pomeriggio i temporali di stagione arrivano puntuali a smorzare la tensione e i mariachi di plaza Garibaldi aspettano da settimane la prossima festa di compleanno o matrimonio. Alla televisione annunciano che la curva dei contagi si sta appiattendo, ma i posti nei reparti Covid si saturano e la moneta locale, il pesos, continua a perdere valore rispetto al dollaro. Per strada ci sono solo le pattuglie della polizia che si muovono a passo d’uomo, le lavoratrici essenziali che puliscono le strade e mandano avanti ospedali e supermercati, e i giovani che si riappropriano dell’asfalto giocando a pallone nella carreggiata.

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