Scacco a Internet: il NAFTA reload 2020 contro la libertà d’espressione

Scacco matto alla libertà d’espressione in Messico? (Wikimedia Commons)

Ascoltalo! Su l’America Latina. Lettura dell’articolo: Fabrizio Lorusso

Di Fabrizio Lorusso

Il TLCAN, Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord, noto in Italia con l’acronimo inglese NAFTA, entrò in vigore nel 1994 e creò l’area di libero scambio più importante del mondo nell’epoca dorata del neoliberalismo e della tanto sbandierata, ma mai veramente esistita, “fine delle ideologie”. Il Messico si lanciò nella globalizzazione senza paracadute e siglò un patto fortemente asimmetrico con i suoi vicini settentrionali per trasformarsi in una piattaforma produttiva a basso costo e una pista di lancio per esportare al mercato americano.

Il 1 luglio è entrata in vigore una nuova versione del trattato, fortemente voluta da Trump: l’Accordo USA-Messico-Canada (USMCA) o TMEC, in spagnolo. Oltre l’80% del vecchio NAFTA si mantiene, ma vengono rinforzate le clausole che obbligano i firmatari a rispettare criteri più stringenti sulle percentuali di risorse usate nella produzione che devono provenire dall’area nordamericana. Si tratta quindi di una forma di protezionismo subregionale, ma anche con quote nazionali specifiche. Inoltre obbliga a che una parte determinata della produzione sia realizzata da lavoratori che guadagnano almeno 16 dollari all’ora. In teoria sarebbe una buona notizia per il mondo del lavoro messicano, ma ci sono dei problemi.

La misura interesserà soprattutto il Messico, dato che il suo “modello di sviluppo” dagli anni ’80 in poi s’è basato sui bassi salari, la docilità e cooptazione sindacale, l’eliminazione di diritti e garanzie e la creazione di condizioni ideali per gli investimenti stranieri e la speculazione finanziaria ed è stata ideata da Trump e compagnia per cercare di riportare verso nord alcune produzioni e per favorire alcuni settori dell’industria nazionale, suoi sostegni elettorali, come l’industria automobilistica, dell’acciaio e dell’alluminio, il comparto caseario e alimentare. Era anche una richiesta delle Unions, i sindacati americani che vedono nei bassi stipendi messicani una forma di dumping. Il fatto è che sarà molto difficile assistere nel breve e medio periodo al livellamento dei salari tra Stati Uniti e Messico, per cui la clausula potrebe semplicemente favorire uno spostamento di parti della catena del valore verso nord.

Ma ancora più stringenti e sempre più vicine al modello repressivo degli USA in materia saranno le regole sul copyright e Internet, sulla circolazione, modifica ed uso di hardware e software, sulle piattaforme e i contenuti in rete. E di conseguenza sul diritto umano alla libertà d’espressione in generale.

Ricordiamo che, particolarmente dopo l’11 settembre e la stretta autoritaria in termini di controlli e “Atti Esecutivi” contro i diritti umani dei migranti, degli utenti internet e della popolazione nazionale e straniera, le applicazioni o i server situati legalmente negli Stati Uniti per un nonnulla, semplici “sospetti” segnalati da un bot o da qualche impiegato che sfoglia contenuti alla ricerca di presunte “violazioni al regolamento”, ti cancellano l’account e, con esso, tutti i materiali caricati.

È il caso di Scribd, lo “YouTube dei PDF”, che in base a vari decreti statunitensi può distruggere o occultare i testi caricati sul proprio server dall’utente e persino l’intero account, che di solito comporta ore di lavoro dell’utente. E può farlo anche solo in base a segnalazioni di altri utenti o di “revisori interni”, senza dare possibilità di replica.

Ma che c’entra questo con il Messico? Il nuovo trattato ha da subito dispiegato i suoi effetti e il Parlamento messicano, per omologare all’accordo la legislazione nazionale, ha approvato in fretta e furia una riforma delle leggi federali sul diritto d’autore e del codice penale le quali vanno contro la Costituzione e i diritti umani. Le piattaforme on line dovranno rimuovere i contenuti sospetti di violare i diritti d’autore, senza apportare prove né autorizzazioni giudiziarie, come negli USA. Sono previste multe milionarie e fino a 6 anni di carcere per chi rimuoverà “barriere digitali” al momento di riparare o modificare dei dispositivi tecnologici.

Così l’hanno spiegato decine di organizzazioni in un comunicato, rilanciato su twitter con l’hashtag #NiCensuraNiCandados (Né censura né Lucchetti), annunciando battaglie legali e denunciando la nascita di un meccanismo privato di censura su Internet, per cui basterà che una persona dichiari una violazione del diritto d’autore per rimuovere dei contenuti senza verifiche o processi legali. Ciascuno potrà esercitare il ruolo di censore on line.

“La legalizzazione della censura si materializza in un momento in cui la libertà d’espressione e specialmente il lavoro giornalistico sono sotto assedio”, specificano i gruppi firmatari, tra cui Article19 e decine di associazioni messicane in prima linea per la difesa dei diritti digitali e la libertà di stampa,  chiarendo anche che “le riforme approvate criminalizzano l’elusione di misure tecnologiche di protezione (blocchi digitali) senza prevedere eccezioni, che pure esistono negli USA, sono permesse dal trattato e risultano fondamentali per l’esercizio dei diritti umani”. Una semplice riparazione, un servizio di aggiornamento e manutenzione di un portatile o di uno smartphone saranno suscettibili di sanzioni, anche se utilizzati, per esempio, nell’attività professionale da parte di giornalisti e difensori dei diritti umani.

Esiste dunque un chiaro contrasto tra diversi trattati internazionali in vigore in Messico per cui in alcuni si difendono e prevalgono le libertà d’espressione e d’informazione, anche di fronte a reclami legati alla privacy e al diritto d’autore, mentre in altri dominano la logica mercantile e le regole statunitensi. Se i ricorsi e le azioni collettive non daranno risultati, la Costituzione messicana, in teoria molto avanzata negli standard di protezione dei diritti umani e nell’interpretazione pro persona, verrà aggirata impunemente dall’USMCA e dagli interessi dei giganti del web, dell’entertainment e dell’informatica USA.

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