di Samuel Farber da Sin Permiso
Traduzione di Manuela Loi e Alice Fanti. Commento di Daniele Benzi.

All’inizio del XXI secolo, è ancora necessario difendere Cuba dall’imperialismo statunitense. Non è scontato però che si debba difendere il socialismo cubano. Un progetto che l’anno scorso ha compiuto sessant’anni e che, come tutti i grandi progetti di emancipazione del XX secolo, presenta un panorama complesso e contraddittorio di luci e ombre. Ma anche di normalità, spesso tanto grigia e asfissiante quanto l’oppressione che voleva sconfiggere forgiando l’Uomo nuovo e la Società senza classi. Hasta la victoria…
L’internazionalismo medico è un buon esempio delle luci e delle ombre del socialismo cubano. Dell’imperialismo che vuole soffocare Cuba. Ma anche dell’asfissiante normalità dopo sessant’anni di progetto socialista. Ed è un buon esempio della manipolazione dei simboli per eccellenza dell’utopia socialista del XX secolo: l’Uomo nuovo e la Società senza classi.
Sebbene sia l’argomento più usato dalle sinistre latinoamericane ed europee per difendere l’esperienza di Cuba, o quantomeno alcuni suoi aspetti positivi, raffigurare il medico cubano di oggi come il fratello minore dell’Uomo nuovo, un po’ rassomigliante al Che Guevara, e il sistema sanitario cubano come l’anticamera della società senza classi, è un’operazione di manipolazione ideologica il cui fine prioritario è la sopravvivenza del governo socialista. Legittima o meno che sia, tale operazione distorce grossolanamente la realtà dei fatti e la serietà del dibattito sulla sinistra possibile per il XXI secolo.
L’articolo di Samuel Farber che presentiamo oggi è stato pubblicato qualche mese fa in inglese su New Politics e in spagnolo sul portale Sin Permiso. Ci offre un panorama più ampio e complesso rispetto all’immagine superficiale del sistema di cooperazione cubano che è circolata anche in Italia a seguito degli aiuti che il governo socialista ha inviato per far fronte all’emergenza sanitaria da COVID-19. Autore di libri importanti su Cuba e il socialismo, Farber mette in luce alcuni retroscena poco noti o sconosciuti al pubblico anche di sinistra.
Intendiamoci. L’internazionalismo medico cubano ha tanto di cui vantarsi se paragonato a un sistema moralmente impresentabile, operativamente incapace e politicamente corrotto nel complesso quale è la cooperazione internazionale allo sviluppo. Anche il sistema sanitario cubano è in buone condizioni rispetto a quello di molti altri paesi a basso reddito, nei quali tra l’altro la dittatura genocida della medicina privata è più la norma che l’eccezione. Quindi siano più che benvenuti i medici cubani in Italia e in Europa! Che vinca il premio Nobel per la Pace la Brigada cubana Henry Reeve! (magari con Laura Pausini come testimonial d’eccezione…). Ma non dimentichiamoci che insieme alle luci ci sono anche le ombre, persino più sgradevoli di quelle raccontate da Farber. E c’è la normalità, spesso asfissiante come il caldo dei tropici, di un progetto socialista che l’anno scorso ha compiuto sessant’anni. La sinistra radicale ci dovrà fare i conti, prima o poi, forse, al di là dei miti e delle nostalgie, per non correre il rischio di affrontare il XXI secolo con gli slogan e le utopie di quello appena passato. [Daniele Benzi]

È ovviamente positivo che il governo cubano stia inviando i suoi medici all’estero per prestare aiuto nell’attuale crisi sanitaria da COVID-19. Per coloro che li ricevono, si tratta senza dubbio di un regalo prezioso che salva vite. Per molte persone, è un’ulteriore espressione del carattere progressista dello stato cubano. Tuttavia, è importante mettere in evidenza aspetti meno conosciuti di questo programma di medici cubani all’estero, compresi i vantaggi economici ottenuti dal governo e le condizioni alle quali i medici lavorano nell’isola e all’estero, che rivelano il carattere antidemocratico dello stato cubano e l’impatto che questo ha sulla popolazione.
Stando al governo cubano, questi servizi medici sono pagati dai clienti esteri secondo una scala variabile che dipende dalle possibilità economiche di ciascun paese, mentre in determinati casi Cuba garantisce i servizi sanitari dei suoi medici gratuitamente. Tuttavia, non tutti sanno che l’esportazione di servizi medici da parte del governo cubano è, di fatto, il più grande business e fonte di reddito dello stato. Nel 2018, lo stato cubano ha guadagnato 6,2 miliardi di dollari dall’esportazione di servizi medici, che rappresentano la più grande fonte di valuta straniera (The Guardian, 6 maggio 2020), cioè il doppio delle entrate provenienti dalle rimesse dei cubani all’estero, e la seconda fonte di entrate per importanza, persino maggiori di quelle generate dal turismo, che rappresenta la terza fonte di entrate in valuta estera. Un anno dopo, nel 2019, i servizi medici rappresentavano il 46% delle esportazioni cubane e il 6% del PIL dell’isola.
Verso la fine del 2018, le operazioni sanitarie cubane all’estero hanno comportato l’esportazione di 28.000 medici e altro personale medico in 67 paesi, un numero ridotto rispetto all’apice dei 50.000 del 2015, prima che i medici cubani venissero espulsi da paesi come Brasile, Bolivia, El Salvador e Ecuador quando i rispettivi governi si sono spostati a destra, o ad estrema destra, come nel caso di Jair Bolsonaro in Brasile.
I medici cubani ricevono all’incirca il 25% circa del compenso che i governi stranieri pagano alle autorità cubane per i loro servizi (la maggior parte dei paesi ospiti fornisce alloggio gratuito ai medici cubani, sebbene di qualità variabile). I medici non hanno modo di negoziare il loro stipendio con le autorità cubane, poiché non sono autorizzati a organizzarsi in sindacati indipendenti per rivendicare i propri diritti. I sindacati a Cuba sono controllati dallo stato e fungono da mere cinghie di trasmissione di politiche e decisioni del Partito Comunista cubano.
I medici all’estero, quindi, sono soggetti a una serie di regole governative che cercano di limitarne la mobilità ed evitare la possibilità di diserzione, come per esempio trattenere il loro compenso, o parte di esso, a Cuba per conto dello stato, e dover lasciare i propri coniugi e/figli sull’isola. Inoltre, i medici cubani devono consegnare il loro passaporto ai supervisori non appena arrivati nel paese straniero dove eserciteranno. La diserzione è punita severamente, con il divieto per i disertori di visitare Cuba per otto anni, nonostante siano cittadini cubani.
I medici cubani sono tuttavia più che disposti a esercitare all’estero sotto il patrocinio del governo. Oltre ai sentimenti umanitari che potrebbero motivarli, l’esiguo 25% della somma ricevuta per i loro servizi all’estero è molto di più di ciò che guadagnerebbero normalmente a Cuba. Come ha messo in evidenza Ernesto Londoño in un articolo del New York Times del 29 settembre 2017 sui medici cubani in Brasile, fino ad allora 18.000 mila medici cubani avevano prestato servizio in quel paese. L’accordo tra le autorità cubane e brasiliane nel 2013 permetteva che ogni medico cubano ricevesse, dopo che il governo ne avesse trattenuto la maggior parte, 2.900 reales al mese, 1400 dollari nel 2013 e 908 dollari nel 2017, una quantità veramente straordinaria se paragonata ai 1500 pesos o 60 dollari al mese (al cambio abituale di circa 25 pesos nazionali cubani o CUP per dollaro) che avrebbero guadagnato a casa loro, dopo il grande aumento salariale nel marzo del 2014 (Havana Times, 21 marzo 2014). Una questione che Londoño non menziona è che, oltre a guadagnare molti più soldi che in patria, i medici cubani in Brasile e in molti altri paesi dove hanno lavorato, hanno anche ottenuto accesso a una vasta gamma di beni di consumo non disponibili a Cuba e che possono portare con sé al loro ritorno a casa. Questo è un altro esempio di persone che si sottomettono volontariamente a condizioni di sfruttamento per mancanza di alternative.
Il governo cubano e i suoi difensori all’estero spesso giustificano la detrazione del 75% del compenso per il lavoro dei medici all’estero come un modo equo di ripagare lo stato per aver sostenuto le spese per l’istruzione gratuita dei medici. In realtà, secondo i calcoli dello stesso governo, i medici cubani hanno già “pagato” la loro istruzione gratuita con il “servizio sociale”, mettendo a disposizione le conoscenze acquisite subito dopo la laurea per un periodo di due anni (tre anni per gli uomini che lo combinano con il servizio militare), a tempo pieno, in una località assegnata dal governo (un programma analogo di un anno esiste da più di ottant’anni in Messico, dove l’educazione medica è gratuita). Solo dopo aver finito il servizio sociale, i medici possono fare domanda per posti vacanti nelle località desiderate e/o secondo ciò che considerano, in termini relativi, condizioni di lavoro più favorevoli. Tuttavia, dal momento in cui prestano il servizio sociale, sono considerati impiegati statali (la pratica privata è illegale) e sono soggetti alle regole e alle condizioni dettate unilateralmente dallo stato cubano. Perciò questo sistema va definito medicina statale e non medicina socializzata. Quest’ultima permetterebbe ai medici, in un sistema democratico e socialista, di scegliere di lavorare per organizzazioni sociali non statali – come sindacati indipendenti, comitati cittadini, consigli dei lavoratori, amministrazioni municipali – o per lo stato, come parte di un sistema universale pubblico di salute, finanziato totalmente con i fondi pubblici.
Non sorprende che molti medici cubani scelgano di disertare quando prestano servizio all’estero, nonostante ciò implichi difficoltà e ostacoli. Organizzare sindacati indipendenti per opporsi al sistema del partito unico a Cuba è molto rischioso. La maggior parte delle persone nell’isola, compresi i medici, probabilmente non lo prende in considerazione o non crede che si tratti di un’opzione praticabile. Molti di loro sono disertori e hanno ottenuto asilo negli Stati Uniti grazie al Programma di Tutela dei Professionisti Medici Cubani, introdotto da George W. Bush nel 2006. Questo programma ha permesso ai medici cubani di stanza in altri paesi di ottenere la residenza permanente negli Stati Uniti e di agevolare le pratiche legali una volta arrivati negli USA.
Quando Obama abolì il programma alla fine del suo mandato nel gennaio 2017, circa 7000 medici cubani ne avevano beneficiato. Inutile dire che, come nel caso del criminaleembargo economico statunitense ai danni di Cuba dal 1960, il programma non è stato creato per promuovere il benessere del popolo cubano o per ristabilire la “democrazia” nell’isola, bensì per attaccare l’economia cubana, in questo caso incoraggiando la “fuga dei cervelli” dall’isola, per punire un regime che non ubbidisce alle regole del gioco di Washington.
Vale anche la pena segnalare che, nonostante Trump abbia eliminato molte delle misure prese da Obama per alleggerire l’embargo, non ha fatto nulla per ristabilire il programma medico di Bush, a testimonianza del fatto che i suoi sentimenti e le sue politiche anti migratorie sono molto più forti del suo anticomunismo. In assenza della scappatoia fornita dal Programma di Tutela di Professionisti Medici Cubani patrocinato dagli Stati Uniti, almeno 150 medici cubani in Brasile hanno presentato le proprie rivendicazioni davanti ai tribunali di questo paese prima che Bolsonaro entrasse in carica, sfidando l’accordo Cuba-Brasile ed esigendo di essere trattati come contrattisti indipendenti con il diritto di guadagnare stipendi completi, e non come impiegati dello stato cubano. I procedimenti legali sono decaduti quando Bolsonaro è arrivato al potere e Cuba ha ritirato il suo personale medico (circa 8000 persone) dal paese. Nel giugno del 2019, molti medici cubani mandati a lavorare in Brasile si sono rifiutati di fare ritorno a Cuba.
Sono rimasti in Brasile in un limbo, svolgendo qualsiasi tipo di lavoro per sopravvivere, poiché non possono esercitare la professione medica a meno di non superare un esame di riconvalida che non viene convocato dal 2017. Tuttavia, recentemente, il governo brasiliano ha assunto 157 medici cubani e li ha autorizzati a prestare aiuto durante la crisi da Coronavirus scoppiata nel paese, aggravata dalle politiche criminalmente negligenti del governo di Bolsonaro (Al Jazeera, 19 maggio 2020).
Intanto la popolazione cubana ha pagato il suo prezzo per l’esportazione dei medici. In uno studio sull’economia cubana tra il 2007 e il 2017 (“Bienestar social y reforma estructural en Cuba, 2006-17”, Cuba en transición, vol 27, 2017), l’illustre economista cubano Carmelo Mesa-Lago ha osservato che, se da un lato il sistema sanitario universale e gratuito di Cuba ha ottenuto notevoli miglioramenti- come un’ulteriore diminuzione della mortalità infantile, la riduzione del numero di abitanti per ogni dentista [che, sebbene importante, rappresenta solo una parte dei gravi problemi delle cure dentistiche a Cuba] e un aumento delle vaccinazioni che ha portato all’eliminazione o riduzione della maggior parte delle malattie trasmissibili -, dall’altro, però, è aumentata la mortalità materna, è diminuita la quantità dei policlinici e degli ospedali, compresi gli ospedali rurali e i centri di salute rurali/urbani chiusi nel 2001, i cui pazienti sono stati trasferiti negli ospedali regionali, con conseguente aumento dei tempi e dei costi di trasporto, nonché maggiori rischi in caso di emergenza. Ha inoltre scoperto che erano stati ridotti i letti ospedalieri disponibili e i costosi procedimenti di diagnosi e test, mentre le strutture fisiche e le apparecchiature continuavano a deteriorarsi. Oltre a una grave penuria di medicinali, Mesa-Lago segnala che i pazienti ricoverati dovevano anche provvedere alla fornitura di lenzuola, cuscini e articoli affini.
In merito all’invio del personale medico cubano all’estero, le ricerche di Mesa-Lago indicano che, sebbene il numero dei medici sia aumentato del 21% nel periodo 2007-2017- raggiungendo un nuovo record nel 2016 con 90.161 nuovi medici -, una volta sottratti i 40.000 medici all’estero nel 2017, il numero dei medici rimasti sull’isola si riduce drasticamente a un medico ogni 224 abitanti, quasi al livello del 1993, l’anno più nero della crisi economica seguita al collasso del blocco sovietico. La riduzione peggiore riguarda gli specialisti, gran parte dei quali sono stati mandati all’estero. (L’autore conosce personalmente il caso di un’amica la cui colonscopia è stata compromessa da un tecnico che ha sostituito uno specialista inviato all’estero). Mesa Lago aggiunge che l’esportazione di medici ha avuto un effetto particolarmente negativo sul programma dei medici di famiglia, un programma di grande successo creato dal governo negli anni ‘80, e che è stato notevolmente ridotto, del 59% circa, nel periodo 2007-2017.
Come se non bastassero i gravi problemi che hanno colpito il sistema sanitario cubano a causa del calo del numero dei medici rimasti a Cuba, a peggiorare la situazione si è aggiunta una riduzione del 22% del personale medico appartenente ad altre categorie come tecnici e infermiere (non necessariamente dovuto al programma di esportazione), secondo quanto riportato da Mesa Lago nel medesimo studio.
Recentemente Cuba è stata colpita dal Covid-19, come è successo praticamente in tutto il mondo. Secondo Granma, organo ufficiale del Partito Comunista, sarebbero state contagiate 1.963 persone (Granma, 26 maggio) e 79 sarebbero decedute (Granma, 19 maggio). Fino al 25 maggio, risultavano 434 pazienti ricoverati (Granma, 26 maggio) e 3281 sotto osservazione presso i centri di salute (Granma, 19 maggio) mentre, sorprendentemente, solo una settimana dopo risultano solo 434 (Granma, 26 maggio), mentre 1823 pazienti si trovavano in isolamento domiciliare. (Granma, 26 maggio). Sebbene il governo cubano abbia adottato misure drastiche per contenere il contagio, per esempio chiudere il paese ai turisti e sospendere il trasporto pubblico, è ancora troppo presto per capire se queste siano state efficaci, data la scarsa informazione indipendente disponibile sulla gestione dei pazienti COVID-19 da parte del sistema sanitario cubano e dell’esattezza delle statiche precedentemente menzionate.
Molti, da sinistra, attribuiscono i gravi problemi che colpiscono il sistema sanitario cubano, compresi quelli causati specificamente dall’esportazione dei medici, all’embargoeconomico degli Stati Uniti. É innegabile che, da quando è stato introdotto negli anni ’60, l’embargoha avuto un impatto significativo sull’economia cubana. Sebbene sia stato attenuato da Obama durante il suo secondo mandato, Trump ha messo fine alla maggior parte dei cambiamenti positivi: ha nuovamente imposto restrizioni sui viaggi dagli Stati Uniti a Cuba, ha ostacolato le rimesse, riaffermato la chiusura dei mercati statunitensi ai prodotti cubani e proibito gli investimenti statunitensi a Cuba. In realtà, questa proibizione è stata rafforzata da Trump, che ha congelato i nuovi investimenti stranieri a Cuba applicando per la prima volta il Titolo III della Legge Helms-Burton del 1996, che proibisce qualsiasi trattato economico riguardante terreni o strutture confiscate dal governo cubano alle imprese statunitensi all’inizio del 1960. E ha rincarato le sanzioni alle banche internazionali che realizzano operazioni con Cuba. Anche se la Legge sulle sanzioni commerciali e aumento delle esportazioni degli Stati Uniti del 2000, ancora intatta, autorizza la vendita di alimenti e la maggior parte dei medicinali a Cuba, crea anche molte difficoltà alle transazioni commerciali implicate nella vendita di questi prodotti all’isola, come esigere pagamenti anticipati in contanti (non si accettano crediti bancari) e richiedere tante licenze al punto da sovvertire il presunto proposito liberalizzatore della Legge.
Tuttavia, bisogna tenere presente che gli Usa sono gli unici ad aver applicato l’embargo verso Cuba e che molti altri paesi capitalisti, specialmente il Canada, la Spagna (persino la Spagna di Franco) e altri paesi che si sono aggiunti all’Unione Europea hanno sempre mantenuto relazioni economiche con l’isola, offrendo una vasta gamma di opportunità economiche dall’inizio dell’embargo. Pertanto, l’embargo degli Stati Uniti spiega i problemi di Cuba solo fino a un certo punto. Ha svolto un ruolo molto più importante l’economia politica burocratica cubana, non democratica, portata avanti dal partito unico di stato.
Cuba è, in tutti i suoi aspetti essenziali, una riproduzione del modello socio-economico e politico sovietico, in cui una classe di burocrati gestiva l’economia senza nessuna partecipazione istituzionale o limiti da parte di sindacati indipendenti o altre organizzazioni popolari. Solamente su internet – al quale solo una minoranza ha accesso, soprattutto per il suo prezzo molto elevato in relazione agli stipendi attuali, e di cui il governo non ha ancora ottenuto il completo controllo -, si possono trovare molte voci cubane critiche, comprese quelle delle nascenti associazioni indipendenti della società civile che sono completamente escluse dai mezzi di comunicazione controllati dallo stato (giornali, emittenti televisive e radio). Pertanto, non esiste trasparenza né una discussione aperta e pubblica sui problemi di Cuba, siano essi politici, sociali o economici, a meno che il regime decida di diffonderli per i propri fini e sempre sotto il suo controllo. L’informazione sull’economia è sistematicamente distorta e la trasmissione di segnali chiari necessari al suo buon funzionamento dell’economia è continuamente ostacolato: feedback autentici, l’informazione corretta e le iniziative indipendenti dal basso sono sistematicamente scoraggiate per evitare che il partito unico statale perda il controllo sull’economia. In mancanza di una vita pubblica aperta e democratica, i cittadini non dispongono del potere necessario per esigere una rendicontazione agli amministratori. La mancanza di una stampa aperta e di qualsiasi altro mezzo di comunicazione di massa indipendente, ha favorito l’occultamento, la corruzione e l’inefficienza di tutto il sistema. La mancanza di democrazia, inoltre, promuove l’apatia e il cinismo tra i lavoratori che non prendono iniziative indipendenti significative e tanto meno hanno il controllo di ciò che succede sul loro posto di lavoro.
L’inefficienza e la corruzione si riflettono in tutti i settori della società cubana, compreso il settore sanitario. L’uruguayano Fernando Ravesberg, giornalista critico per nulla ostile al governo cubano, dieci anni fa scriveva delle condizioni degli ospedali cubani, criticando lo spreco di costose apparecchiature oftalmologiche abbandonate, inutilizzate, in diversi magazzini; lo spreco della nuova unità ustionati del famoso ospedale Calixto Garcia, vicino al campus principale dell’Università dell’Avana, mai utilizzato dalla sua inaugurazione due anni prima. Ravsberg avvertiva che le strutture erano inservibili: il tetto aveva ceduto in diverse occasioni e le costosissime vasche da bagno per gli ustionati non potevano essere utilizzate a causa della bassa pressione dell’acqua. La nuova e all’avanguardia sala operatoria nello stesso ospedale era ugualmente inutilizzabile, a causa delle grandi perdite nelle tubature dell’acqua e un tetto che gocciolava ogni volta che pioveva. Le mattonelle si staccavano continuamente dai muri, a causa della mancanza di cemento, probabilmente sottratto durante la costruzione, come già era successo nell’ospedale Almejeiras, nel centro dell’Avana (“Los Recursos de Salud”, Cartas desde Cuba, 29 aprile, 2010).
Pur riconoscendo che il regime cubano è antidemocratico, economicamente inefficiente e “talvolta” repressivo, molta gente di sinistra, oltre a opporsi all’intervento statunitense contro Cuba, considera il regime cubano progressista e meritevole di sostegno per essersi posto come obiettivo la lotta alla povertà attraverso un sistema educativo e di formazione professionale pubblico e un sistema sanitario universale. Questa posizione implica un calcolo matematico di costi e benefici, in cui i costi per il benessere sociale compensano di gran lunga la perdita di democrazia e di libertà politica. Tuttavia, il benessere di un popolo è intrinsecamente connesso alla presenza o assenza di democrazia. Ciò che è successo con il sistema sanitario ne è un esempio. L’impatto che ha avuto l’esportazione di medici, aggravando i problemi esistenti in questo settore, ne è una testimonianza concreta.
C’è una perdita che non può essere tollerata quando si tratta di stabilire se un determinato regime deve essere sostenuto politicamente: la perdita di autonomia politica di classe, di gruppo (sia esso definito in termini di razza, genere o orientamento sessuale) e individuale e la perdita di libertà di organizzarsi in modo indipendente per difendere gli interessi di classe e di altri gruppi, così come le libertà civili e politiche associate per rendere possibile e praticabile questa indipendenza organizzativa.
Samuel Farber
nato a Marianao, Cuba, è professore emerito di Scienze politiche presso il Brooklin College di New York. Tra tanti altri libri, recentemente ha pubblicato “The politics of Che Guevara” (Haymarket Books, 2016) e una nuova edizione del fondamentale libro (Before Stalinism. The rise and Fall of Soviet Democracy).