Piattaforme, rider e America Latina: Rappi in Messico

Pubblichiamo il capitolo di Federico De Stavola presente nell’ebook Logistica e America Latina, coordinato da Into the Black Box.

Le piattaforme digitali, alimentate da logiche estrattive, finanziarie e logistiche, all’installarsi in America Latina, incontrano e catturano alcune caratteristiche del tessuto urbano, producendo allo stesso tempo forme di soggettività. Parlando del caso di Rappi a Città del Messico, faremo riferimento a due differenti concetti elaborati in ambito latinoamericano: il “neoliberalismo dal basso” – teorizzato da Verónica Gago – e il “supersfruttamento del lavoro” – formulato negli anni ’70 da Ruy Mauro Marini; entrambi ci aiuteranno a gettar luce, rispettivamente, sull’autoimprenditorialità popolare e sul furto di valore operato attraverso l’appalto dei mezzi di produzione al rider.

Introduzione
Questo intervento ha l’obbiettivo di presentare alcuni spunti preliminari di un lavoro più approfondito e articolato di analisi della forma che le piattaforme di food delivery assumono in America Latina, nel caso specifico del Messico. Non si ha la pretesa di dare risposte precise alle molteplici domande che sorgono osservando la logistica urbana mediata dalle piattaforme informatiche e dall’organizzazione algoritmica del work on demands via apps1, ma di presentare alcuni contributi latinoamericani che possono aiutare a gettare luce su come le operazioni logistiche, finanziarie ed estrattive si radicano nel territorio di Città del Messico, soggettivando il repartidor de plataforma (rider di piattaforma).
Il recente lavoro di Sandro Mezzadra e Brett Neilson, The politics of operations: excavating contemporary capitalism, risulta imprescindibile per poter inquadrare le piattaforme di food delivery come assemblaggi di operazioni logistiche, finanziarie ed estrattive. Le forme che le piattaforme assumono in America Latina, si possono inquadrare nella capacità assiomatica del capitale, ovvero nella capacità del capitale di installarsi in contesti eterogenei creando isomorfismo, adattando le proprie operazioni, e il risultato di tali operazioni, al territorio incontrato2. Le
piattaforme di food delivery, possono essere indagate, dunque, come assemblaggio significativo dell’“istallazione” sul territorio (hit the ground) delle operazioni indicate da Mezzadra e Neilson come le «tre prevalenti aree dell’attività economica contemporanea […]: estrazione, logistica e finanza»3. Vediamo brevemente come si intersecano queste tre operazioni.
In primo luogo, l’espansione repentina di ciò che Nick Srnicek chiama “piattaforme snelle”4 – come Uber, UberEats, Airbnb, Rappi, Deliveroo, Glovo, JustEat ecc. – è intimamente relazionata a una speculazione finanziaria simile a quella che portò all’esplosione della bolla speculativa delle dot-com. Infatti il valore azionario di tali piattaforme, «come nel boom delle dotcom, […]si basa più su previsioni di guadagno futuro che su profitti reali»5. «È dunque proprio l’afflusso dei capitali finanziari a costituire un fattore decisivo nel consentire l’esplosione della digitalizzazione del food delivery»; l’importanza della finanza nel gonfiaggio di tale tipo di aziende è confermato dal fatto che «la stragrande maggioranza degli “unicorni” – ossia startup di proprietà privata che hanno un valore superiore a 1 miliardo di dollari – è composta da imprese definibili come piattaforme (ad esempio Uber, Lyft, Airbnb e simili)»6. Allo stesso tempo, le piattaforme imitano la performatività del mercato finanziario: domanda (consumo) e offerta (lavoro), trasformati in input astratti nella piattaforma, si incontrano attraverso l’ottimizzazione algoritmica, andando a stabilire il valore del servizio (in base, per esempio, ad un eccesso di domanda o di offerta, o all’indesiderabilità di un investimento – leggasi consegna), similmente a come succede nella circolazione finanziaria, anche se nella realtà le variazioni sono molto rigide e determinate dalla strategia aziendale. Le piattaforme, infatti, «forniscono l’infrastruttura basica per mediare tra più gruppi», venendo dunque a costituirsi proprio come un mercato privatizzato, ovvero «come il terreno sulle quali hanno luogo le loro attività» mediate da «una architettura centrale stabilita che controlla le possibilità di interazione»7.
In secondo luogo, questo tipo di piattaforme si inserisce a pieno in un particolare tipo di logistica urbana al dettaglio, che già era presente nei tessuti urbani globali8
. Il servizio di consegne a domicilio in Messico si divideva, prima dell’avvento delle piattaforme, in due tronconi principali che tutt’ora permangono, anche se sempre più divorati dalle piattaforme: un primo, gestito da piccoli ristoranti, spesso con lavoro informale o familiare, dove, nella maggior parte dei casi, la bicicletta o il mezzo motorizzato era fornito dallo stesso lavoratore; un secondo, che corrisponde alle grandi catene di distribuzione unificate di pizza o di cucina messicana o di grandi supermercati come Walmart, dove la flotta di moto è di proprietà dell’azienda e c’è un rapporto formalizzato di lavoro. Nel contesto dominato da queste due forme di logistica urbana e di consegna a domicilio, le piattaforme si sono inserite con una operazione logistica ben precisa: attraverso le possibilità aperte dalla gestione algoritmica dei flussi si sono installate sussumendo un tipo di lavoro già esistente, ottimizzandone le prestazioni temporali e riorganizzandolo spazialmente grazie alla geolocalizzazione dei task. L’impeto con il quale il capitale finanziario si è lanciato nell’investimento sulle piattaforme che hanno sussunto il lavoro dei corrieri al dettaglio, non fa altro che riconfermare la centralità della logistica nel
capitalismo contemporaneo.
In ultima istanza, «le piattaforme […] estraggono una mole impressionante di dati dalle attività degli utenti per poi venderli ed utilizzarli»9. In questo senso le piattaforme vengono a costituirsi come infrastruttura estrattiva, mentre i dati come una vera e propria materia prima10. Con riferimento a Uber (tipo di piattaforma che non si discosta eccessivamente dalle piattaforme di food delivery), Mezzadra e Neilson scrivono: «funziona come un tipo di dispositivo flessibile e sensibile alla dimensione spaziotemporale per la raccolta e prelievo di dati che rendono possibile l’estrazione di competenze e forza-lavoro dai propri conducenti»Da un punto di vista logistico, «ogni attrito va rimosso o limitato il più possibile per chiudere il cerchio (closed loop) della valorizzazione» e proprio l’estrazione di dati dal processo di lavoro (ma non solo) è ciò che permette il miglioramento dell’organizzazione del flusso, «i cui effetti si scaricano su tutta la catena, imponendo ai diversi punti che la compongono (ristoranti, rider) ritmi e costi del lavoro»11.

Certo, il data mining non è esclusivamente concentrato sull’analisi del processo lavorativo e sulla cattura della soggettività del lavoratore, ma si estende anche alla produzione di Big Data, ottenendo valore da una gran varietà di informazioni, per esempio dalle preferenze alimentari o di mercato dei clienti.
Si propone l’osservazione della particolarità delle piattaforme da e in America Latina, non solo perché Rappi è una impresa colombiana, ma anche perché l’installazione delle piattaforme nel territorio messicano e il loro impatto con un mercato del lavoro altamente deregolamentato e con ampi settori di informalità
lavorativa ed economica, ha conseguenze interessanti sia dal punto di vista delle relazioni sociali di produzione, che di produzione di soggettività. In secondo luogo, mi sembra utile proporre due contributi latinoamericani che possono gettare luce su uno degli aspetti che emergono dalla soggettivazione del rider in Messico. Il primo è il lavoro di Verónica Gago, La razón neoliberal, che permette di vedere come l’elemento autoimprenditoriale è in buona misura presente nel tessuto popolare che vive di economia informale e di forme di “neoliberalismo dal basso”. Il secondo invece, proviene dal core della tradizione marxista latinoamericana della dependencia (dipendenza) e viene proposto come contrappeso materialista nell’analisi del lavoro di rider. Nello specifico mi riferisco al concetto di “supersfruttamento del lavoro” teorizzato da Ruy Mauro Marini. Nonostante dinamiche recenti e recenti studi abbiano messo in crisi la rigidità proposta dallo schema centroperiferia, e che questo abbia perso buona parte della propria capacità euristica13, la categoria di “supersfruttamento del lavoro” permette di inquadrare come il risultato della mobilitazione soggettiva dell’autoimprenditorialità è la cattura, come capitale fisso, di una parte del valore necessario alla riproduzione della forza-lavoro.

Rappi… la classe non è acqua
Rappi è una impresa colombiana di food delivery proprietaria e sviluppatrice della omonima piattaforma che mette in contatto, secondo la stessa narrazione aziendale, domanda (il consumatore) e offerta di servizi di consegna e logistica urbana (il rider). Il nome “Rappi” è giocato sulla fusione di “rápido” e “App”, dato che l’impresa pubblicizza consegne in 35 minuti; “entregamos con amor” (consegniamo con amore) è il motto aziendale; i rider di Rappi si chiamano “rappitenderos”, giocando sulla metafora dei negozianti di piccoli alimentari di quartiere (tenderos), che in questo caso diventano negozi virtuali e a domicilio. Rappi è una start-up colombiana che nei primi 3 anni ha raggiunto il valore in borsa di un 1 miliardo di dollari, diventando la prima piattaforma di iniziativa latinoamericana a conquistare l’appellativo di “impresa unicorno”. È presente nelle principali città di Colombia, Messico, Cile, Argentina, Perù, Uruguay, Costa Rica, Equador e Brasile e per il 2019 prevede di raggiungere il valore di 6 miliardi di dollari, nonostante i conti continuino a registrare perdite14.
Rappi offre tutti i servizi già presenti in imprese come UberEats (food delivery) e Glovo (everything delivery), ma aggiunge servizi come la consegna di denaro in contanti e – per quanto ancora poco diffuso, forse il più interessante – l’esecuzione di piccoli compiti di servizio alla persona – per esempio, «portarti fuori il cane, andare a cercare le chiavi che hai dimenticato a lavoro, passare in banca a pagarti le bollette» In Rappi, i repartidores (rider) possono consegnare in bicicletta, in moto, ma anche in macchina e, addirittura, a piedi.
Rappi opera anche un’intensa estrazione di Big Data grazie alla quale sviluppa tre attività principali: la prima si concentra sulla agilizzazione della consegna affinché il processo sia più efficiente; una seconda sul tema del Marketing Performance che implica comprendere il comportamento dell’utente per poter personalizzare la comunicazione; e per ultimo, Rappi offre un servizio di consulenza ad altre imprese di e-commerce vendendo i dati ottenuti dagli insights acquisiti dal comportamento dei clienti. Per estrarre ed elaborare effettivamente i dati Rappi utilizza tre piattaforme esterne, che quindi a loro volta eseguono operazioni di data mining16. Concretamente, a parte GoogleMaps per la navigazione e il calcolo dei percorsi ottimali, Rappi utilizza Amazon Web Services – AWS, tra altre, come infrastruttura fondamentale per l’analisi dei dati17.

Il direttore commerciale di Rappi, Juan Sebastián Ruales, descrive così “l’esperienza” di Rappi:

«Rappi nasce approssimativamente tre anni fa con l’intuizione profonda di una realtà che si stava dando in America Latina. Quello che abbiamo trovato è stata una possibilità molto bella di, come impresa, creare una piattaforma che connetta due gruppi demografici. Un gruppo che ha certe entrate, ma che purtroppo non ha molto tempo libero e un altro gruppo demografico, anch’esso abbastanza importante, che ha un po’ di tempo disponibile, maggiore del primo gruppo, ma che purtroppo non ha sufficienti entrate per i beni basilari di tutti i giorni».18

Questo estratto evidenzia egregiamente gli elementi ideologici e le condizioni concrete del contesto latinoamericano con i quali, e sui quali, le piattaforme si installano. Per cominciare, si riafferma sul piano ideologico il ruolo superpartes dell’impresa che si posiziona centralmente come connettore tra due gruppi
demografici. In secondo luogo, si astrae sia il lavoro, trasformato in “disposizione di tempo”, che le classi sociali, descritte come gruppi demografici. Per ultimo, si riconosce la grande disparità e polarizzazione di classe come intorno socio-economico in cui la piattaforma si installa e come condizione iniziale dell’iniziativa
imprenditoriale.

Pochi, maledetti e subito!
In Rappi il salario è pagato a cottimo puro. Una consegna base di cibo parte da 30 pesos (all’incirca 1,5€) e può salire in base alla distanza, con una variazione minima, in base alla mancia lasciata dal cliente o in base all’indesiderabilità della consegna – per esempio se va effettuata in un luogo pericoloso o se le condizioni atmosferiche sono avverse e non viene accettata immediatamente.
Come in altre piattaforme, anche in Rappi rifiutare una consegna abbassa il ranking del rider che di conseguenza riceverà meno lavoro. Man mano che il rider acquisisce esperienza, sale di livello e “sblocca” nuovi servizi per i quali può competere con altri rider e che sono meglio pagati rispetto a quelli accessibili solo al primo livello. Per ogni nuovo livello raggiunto l’avatar del rider evolve, proprio come fosse un videogioco. Come in altri casi, il rider di Rappi non è vincolato contrattualmente all’impresa come lavoratore subordinato, ma risulta essere un utente della piattaforma SoyRappi (SonoRappi, piattaforma specifica per i rider). Ogni qual volta il fattorino accetta una consegna si instaura un rapporto contrattuale direttamente con il cliente, che si esaurisce a fine servizio19. Il salario viene depositato due volte a settimana su carta prepagata, legalmente come fosse un ‘buono pasto’ interno all’impresa con possibilità di ritirarlo in contanti, così da evitare completamente il pagamento delle tasse al fisco messicano. Il lavoratore non ha accesso né a ferie pagate (già fortemente esigue secondo la Legge Federale del Lavoro), né a una assicurazione sanitaria per incidente o malattia. L’unica assicurazione proposta dall’azienda è quella che protegge esclusivamente i terzi dai possibili danni causati dal rider.
Per comprendere meglio le condizioni lavorative e contrattuali dei rider, può essere utile dare un rapido sguardo al panorama del mercato del lavoro messicano. Il Messico è il paese OCSE dove si lavora più ore all’anno20 e con il salario minimo tra i più bassi: 102.68 pesos al giorno (~5€) e 176.72 (~8€) nella zona di frontiera. Il salario minimo è calcolato dal CONEVAL (Consejo Nacional de Evaluación de la Política de Desarrollo Social) come la somma dei panieri di beni minimi alimentari e non. Tale indicatore è duramente criticato dal Centro de Análisis Multidisciplinaria dell’Università Nazionale Autonoma del Messico, secondo il quale «la Canasta Alimenticia Recomendable [Paniere Alimentare Consigliato] costa 264 pesos giornalieri»21. Secondo l’INEGI (Instituto Nacional de Estadística y Geografía) l’informalità lavorativa urbana – ovvero la percentuale di popolazione che lavorando in un impiego informale non ha accesso allo stato sociale minimo, quali sanità e pensione – raggiunge il 46.1% a livello nazionale, mentre il 52.7% nella capitale federale. Gli occupati nel settore informale nelle principali città messicane – ovvero la percentuale di popolazione occupata che lavora in un impiego che utilizza risorse domestiche e/o familiari, ma che non si costituisce come impresa – sono il 26.5%, mentre solo a Città del Messico il 33.5%22.

Per completare il quadro, insieme all’alta informalità, precarietà, disoccupazione e sottoccupazione è necessario menzionare il fenomeno del charrismo sindacale. Per charrismo si intendono i fenomeni di corruzione, corporativismo e sindacalismo patronale, che in Messico sono ampiamente diffusi nel contesto di una pressoché totale assenza di democrazia sindacale23. Lo testimoniano le svariate lotte portate avanti dagli operai delle maquilas del nord contro le stesse centrali sindacali considerate corrotte24. L’architettura istituzionale lavorista legittima, e di fatto legalizza, il sindacalismo charro. Uno dei fenomeni più significativi è quello dei “contratti di protezione patronale”: contratti collettivi aziendali firmati a nome dei lavoratori, di cui spesso i lavoratori sono all’oscuro, che hanno l’evidente ratio di salvaguardare esclusivamente gli interessi del capitale25. Altrove26 ho sostenuto la tesi che tale architettura composta da sindacati corrotti, istituzioni, leggi e capitale è una delle strategie dell’intensa industrializzazione per l’esportazione, avanzata nel nord del paese in funzione delle zone economiche speciali maquiladoras.
Il salario di un rider di Rappi a Città del Messico varia in base alla domanda presente nella zona scelta per lavorare, al giorno in cui si è reso disponibile e al ranking personale – quindi il numero di consegne che riesce ad effettuare – e in base al livello raggiunto quindi la tipologia di servizi sbloccati. Ipotizzando che un rider di livello 1 lavori a tempo completo e faccia in media 6 consegne al giorno al valore base senza mancia, il suo salario giornaliero corrisponderebbe a 210 pesos (~10,5€, 2 volte il salario minimo), in linea con il 33,5% degli occupati che guadagna tra i 2651 e i 5301 pesos mensili, contro il 25,5% che guadagna da 0 a 2651 pesos27. I rider con più anzianità intervistati raccontano di raggiungere 500 pesos al giorno (~25€), che costituisce un salario 5 volte superiore al salario minimo. Per tutti i lavoratori e lavoratrici che lavorano nell’informalità, dal lavoro salariato informale, all’informalità del piccolo commercio e dei servizi, è praticamente inesistente l’accesso ad assicurazioni sanitarie pubbliche, fondi pensione e alla maturazione di ferie pagate. Ciò che ne risulta è un particolare impatto sul soggetto che si trova ad interpretare il lavoro nelle piattaforme e in Rappi, se non come un miglioramento delle condizioni di vita e lavoro (in alcuni casi può esserlo), come un’attività che non si discosta dalle condizioni di lavoro nel mercato informale, né dai livelli salariali di una fetta importante e centrale della popolazione occupata. Ci conferma tale distorsione, rispetto alla situazione colombiana, in maniera parziale e tendenziosa, Simón Borrero, uno dei tre fondatori di Rappi:

Un salario minimo è di $5000 [pesos colombiani, ~1.30€]; un rappitendero guadagna una media di $12000 l’ora [~3.11€], quindi, mentre in Europa è comprensibile che l’argomento [delle piattaforme] stia infastidendo la società, perché si stanno approfittando della gente, volendo pagare meno del minimo, in Colombia le cose sono differenti, visto che, per esempio molti studenti o persone i cui ingressi non sono sufficienti, possono guadagnare con Rappi28.

In realtà, ciò che permette alle piattaforme in America Latina di pagare un compenso misero ma accettabile – fatto che non si riproduce in tutti i paesi latinoamericani – è la gigante polarizzazione di classe dei consumi. Le classi popolari non partecipano, se non eccezionalmente, agli stessi consumi delle classi medio-alte o alte, e gli stessi punti di accesso al commercio risultano divisi: grandi mercati, mercati rionali e comida callejera (cibo di strada) per le classi popolari; supermercati, mercati dei quartieri upper class, ristoranti e consegne a domicilio per le classi medie e alte. Di conseguenza il costo del servizio è economico per la sfera dei consumi delle classi alte, mentre il salario a cottimo corrisposto al rider è accettabile nella sfera di consumo delle classi popolari.

Consegnando a Sud
A questo punto, è possibile approfondire l’apparato teorico utile per comprendere il fenomeno delle piattaforme. Il primo concetto latinoamericano che verrà presentato è quello di “neoliberalismo desde abajo” (dal basso) che Verónica Gago formula in La razón neoliberal. Si utilizzerà questo concetto stirandolo un po’, non per presentare direttamente il lavoro nelle e delle piattaforme, ma per tentar di dar conto del contesto socio-economico, ma soprattutto soggettivo, all’interno del quale le piattaforme si installano e che in una certa misura catturano. L’analisi di Gago si rivolge con perizia non al neoliberalismo come un insieme di politiche macroeconomiche attuate da grandi attori economici o statali, ma, in senso foucaultiano, come «una forma di governare attraverso lo stimolo delle libertà»29. Questo, a parte l’apparente contraddizione, diventa «una forma sofisticata, innovativa e complessa di dispiegare […], una serie di tecnologie, procedimenti e affetti che stimolano la libera iniziativa, l’autoimprenditorialità, l’autogestione e, anche, la responsabilità di sé»30. Una contraddizione estremamente presente e visibile nel lavoro di piattaforma che articola, alterna e contatta, in un apparente cortocircuito, la libertà discorsiva e, misuratamente, reale – riscontrabile, per esempio, nella flessibilità oraria – salvo generare un controllo eterodiretto, disciplinare ed algoritmico evidentemente importante. Probabilmente, anche su questa contraddizione si basa la difficoltà dell’applicazione categoriale, della rivendicazione politica e del riconoscimento soggettivo della subordinazione disegnata sul contrattualismo liberale.
Considerando, quindi, il neoliberalismo come governamentalità possiamo dunque richiamare il suo carattere immanente a partire dal quale si «modulano le soggettività ed è provocato senza prima la necessità di una struttura trascendente ed esterna»31. Presentato tale concetto è possibile tracciare l’ipotesi secondo la quale le relazioni sociali attivate e mediate da algoritmi e piattaforme si installano grazie alla, già precedentemente richiamata, capacità “assiomatica del capitale”, che, nelle parole della antropologa argentina, «mette in rilievo precisamente la tensione tra una flessibilità e versatilità di cattura e di sfruttamento da parte del capitale»32. Ciò che si vuole dire è che l’installazione delle piattaforme di food delivery in America Latina, non prescinde, piuttosto cattura, tutta una serie di dinamiche, abitudini, saperi e calcoli che sono presenti nell’ampia e diffusa informalità esistente a Città del Messico. Sempre per continuare con Verónica Gago, là dove il disinvestimento sistematico da parte dello stato neoliberale obbliga i lavoratori ad assumersi i costi della propria riproduzione si «genera lo spazio per interpellare gli attori sociali attraverso l’ideologia del microimpresariato e dell’imprenditorialità»33 e si attiva una “pragmatica vitalista” che sovrappone calcolo, razionalità e pratiche comunitarie e popolari nell’anelo di un miglioramento personale o familiare. In sostanza, la “moltiplicazione del lavoro”, proposta da Mezzadra e Neilson34 – ovvero la colonizzazione di sempre più tempo di vita da parte del lavoro, la diversificazione del lavoro e la sua eterogenizzazione in termini di regimi sociali e giuridici della sua organizzazione – straripa (anche) nell’informalità35. La disoccupazione e il sottoimpiego spingono migliaia di persone e comunità metropolitane, per brevi periodi o per l’intera vita, a mobilitare risorse comunitarie e/o familiari per processi informali di autoimprenditorialità, con il fine di trarne un salario integrativo, o completo. L’orario produttivo si estende superando il concetto stesso di giornata di lavoro come unità basilare dell’analisi marxista; il salario complessivo si compone di varie piccole attività; la mancanza di programmi sociali estende il lavoro a frazioni biografiche, come l’infanzia e l’età anziana, al giorno d’oggi protette nel Nord Globale; si creano lavori là dove non vi era mercato… il lavoro si moltiplica. Ciò che è stato sin qua descritto non si limita ad essere una dinamica operativa esclusivamente in America Latina, ma lo è anche in strati del precariato metropolitano europeo. Quel che si sostiene è che le piattaforme in America Latina incontrano un contesto socioeconomico in cui la maggiore permeabilità delle frontiere tra formalità e informalità economica e una più radicale precarietà lavorativa generano un sottosopra rispetto alla prospettiva e percezione europea del lavoro di piattaforma.
Insieme alle produttive osservazioni di Verónica Gago, propongo di inserire con un percorso inusuale, cioè tornando indietro nel tempo verso il marxismo latinoamericano eterodosso, il concetto di “supersfruttamento del lavoro”. La nozione nasce nel seno della Teoria della Dipendenza, una corrente di idee, una prospettiva d’analisi e un approccio che sorse negli anni ’60, la cui idea di sottosviluppo fu proposta in dialogo e opposizione alla teoria della modernizzazione di Rostow, in voga all’epoca. L’idea centrale che accomuna i “fondatori” Fernando Henrique Cardoso, André Gunder Frank, Theotônio Dos Santos, Vania Bambirra e Ruy Mauro Marini è che il sottosviluppo della periferia non è una fase dello sviluppo, ma piuttosto il risultato dell’espansione e dell’imperialismo del capitalismo centrale36. La teoria ebbe una grande importanza nell’opposizione alla visione storicista della lotta di classe, vista come fortemente legata agli stadi dello sviluppo capitalistico. Tra gli autori, Ruy Mauro Marini accettava e riprendeva il concetto di Frank di “sviluppo del sottosviluppo” come continuazione dipendente di un originale rapporto coloniale, ma arricchiva la prospettiva con le categorie di “subimperialismo” e di “supersfruttamento del lavoro”. Tralasciando in questa sede le criticità teoriche della rigida distinzione centroperiferia, per le quali rimando a «La frontiera come metodo»37, quel che è importante sottolineare è l’importanza che questo filone di studi ha avuto in America Latina, non solo intellettualmente, ma anche politicamente, nelle lotte contro l’imperialismo e il neocolonialismo. Ruy Mauro Marini, con la volontà di estendere la spiegazione della dipendenza alle relazioni sociali di produzione interne alle stesse economie periferiche teorizza, sfidando l’assioma marxista dell’equivalenza tra valore della forza lavoro e salario, il supersfruttamento del lavoro, come una peculiare modalità di produzione del plusvalore. Secondo tale concettualizzazione al lato di una marcata strategia di produzione di plusvalore assoluto attraverso l’estensione della durata della giornata lavorativa, a discapito dell’aumento della produttività tecnica del lavoro, si mira alla produzione di plusvalore eccezionale anche attraverso la riduzione del «consumo
dell’operaio più del suo limite normale», ovvero attraverso l’«espropriazione di parte del lavoro necessario affinché l’operaio riproduca la sua forza lavoro»38. Concretamente attraverso un abbassamento del salario al di sotto del valore della forza lavoro.
Perché ci interessa tale contributo? Stirando tale concetto, propongo di leggere la mobilitazione dei mezzi di produzione posseduti dal rider – nella fattispecie bicicletta, smartphone e piano dati – come l’espropriazione di una parte del fondo di consumo del lavoratore.
Ne Il Capitale, Marx definisce il valore della forza lavoro separando i “bisogni naturali” (alloggio, nutrimento, vestiario), determinati «dalle peculiarità climatiche e delle altre peculiarità naturali dei vari paesi», dal «volume dei cosiddetti bisogni necessari», questi, «come pure il modo di soddisfarli» sarebbero «un prodotto della storia». I bisogni necessari dipendono «dalle abitudini e dalle esigenze fra le quali e con le quali si è formata la classe dei liberi lavoratori»39. Se assumiamo che la bicicletta, lo smartphone e l’acceso a internet – tra gli altri – sono beni che rientrano tra le necessità, abitudini e esigenze della classe lavoratrice, possiamo stabilire che essi fanno parte dei “cosiddetti bisogni necessari”, dunque il loro consumo da parte del lavoratore rientra nel valore della forza lavoro, dunque nel fondo di consumo del lavoratore. Come conseguenza, mobilitando il fondo di consumo del rider per il processo di lavoro, esso viene ingannevolmente fatto rientrare nella quantità di capitale fisso 40 necessario allo svolgimento del processo logistico e dunque messo a produzione, consumato. Detto in un’altra forma, viene espropriata una parte del fondo di consumo del lavoratore e messa a produzione in qualità di capitale fisso. Per tornare al concetto di Verónica Gago, le piattaforme si installano su un “neoliberalismo dal basso” che sviluppa e propende per un’autoimprenditorialità popolare, la quale mobilita fondi di consumo familiari o comunitari per la riproduzione proletaria – insieme a tutta una serie di abitudini, saperi e calcoli. La governamentalità neoliberale presente nel tessuto popolare si attiva e, sotto forma di autoimprenditorialità, permette l’espropriazione normalizzata di una parte del fondo di consumo del rider. Se consideriamo che le operazioni del capitale sempre più si concentrano sull’estrazione di valore (legate a doppio filo con dinamiche di esproprio) dalla riproduzione stessa della forza lavoro, ma non solo, potremmo azzardare che l’esproprio del fondo di consumo del lavoratore, nello specifico del lavoro di piattaforma, sia una delle forme che questo tipo di operazioni assume. Tuttavia, come evidenziano le esperienze di lotta che si stanno dando a livello planetario, il “rimosso del lavoro vivo”40 si ripresenta costantemente sotto forma di soggettivazioni lavorative e resistenze. Parimenti, credo sia interessante riaffermare anche la presenza dell’altro grande rimosso dalla narrazione della “rivoluzione digitale”: la materialità del capitale su cui scorrono e insistono i processi digitali, simbolici e cognitivi.

Ritornando al contesto messicano, vorrei appena accennare a due esperienze di soggettivazione che si stanno dando a Città del Messico. Abbiamo visto alcune delle difficoltà che la lotta di classe e sindacale incontra: una consiste nella pauperizzazione e informalità dilagante che si basa su un neoliberalismo che isola e depotenzia la soggettività lavoratrice, l’altra nel charrismo che genera una sfiducia e una distanza verso l’organizzazione, il discorso e la pratica sindacale. Nonostante queste difficoltà, la razionalità logistica non agisce mai su un vuoto, e si sono viste nascere alcune iniziative di organizzazione dei rider. Da un lato, si è costituito il collettivo #NiUnRepartidorMenos, con l’obiettivo di denunciare l’insicurezza stradale che espone i rider a rischi enormi nel caos della megalopoli. Le sue azioni, tuttavia,mobilitano più l’identità del ciclista come tale, e manifestano una scarsa sensibilità rispetto alla questione della difesa dei diritti dei lavoratori. Di fatto l’identità (ciclista o lavoratore) sulla quale si basano le rivendicazioni collettive è uno dei punti algidi di confronto tra #NiUnRepartidorMenos e il nascente Sindicato de Repartidores de Aplicativos – SIRA, che invece, pur rifiutando ad oggi qualsiasi confronto conflittuale con le piattaforme, organizza assicurazioni sanitarie collettive in forma mutua ed ha la pretesa di difendere i rider dalle disconnessioni (che di fatto agiscono come veri e propri licenziamenti).

Per concludere si può dire che, anche sospinta dalle proteste e dalle organizzazioni sindacali latinoamericane che stanno sorgendo proprio dai lavoratori di Rappi in altri paesi, anche in Messico, nonostante le difficoltà, la frazione di classe dei rider sta iniziando a emergere come soggetto sociale. Mentre il passaggio da una soggettivazione subalterna in favore di una soggettivazione politica antagonista41 è ancora tutto in divenire, l’esperienza comune del lavoro e dello sfruttamento, in senso thompsoniano42, riafferma, nella tendenza del lavoro vivo ad aggregarsi, la permanenza della classe nel divenire sociale neoliberale.

1 V. DE STEFANO, The rise of the “just-in-time workforce”: On-demand work, crowdwork and labour protection in the “gig-economy”, Geneva, International Labour Office, 2016

2 S. MEZZADRA – B. NEILSON, Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale (2013), Bologna, Il Mulino, 2014.

3 S. MEZZADRA – B. NEILSON, The politics of operations: excavating contemporary capitalism, Durham-London, Duke university press, 2019, p. 4. Trad. mia.

4 Srnicek le definisce “lean” (snelle) per la loro capacità di offrire un servizio senza essere proprietarie del capitale fisso (iperterziarizzazione) e per basare la strategia aziendale sulla costante riduzione dei costi, anche attraverso l’abbassamento del costo del lavoro.

5 N. SRNICEK, Capitalismo de plataformas, Buenos Aires, Caja Negra Editora, 2018, p. 82, trad. mia. Edizione italiana: Capitalismo digitale. Google, Facebook, Amazon e la nuova economia del web (2016), Roma, LUISS University Press, 2017. 41.

6 M. MARRONE, Rights against the machines! Food delivery, piattaforme digitali e sindacalismo informale: il caso Riders Union Bologna, in «Labour & Law Issues», 5, 1/2019, p. 6.

7 N. SRNICEK, Capitalismo de plataformas, pp. 46 – 49.

8 Ivi, p. 4.

9 M. PIRONE, Scatole nere e tempeste, passato e presente del capitalismo digitale, in «Zapruder», 46/2018, pp. 47-61.

10 N. SRNICEK, Capitalismo de plataformas, p. 41.

11 S. MEZZADRA – B. NEILSON, The politics of operations: excavating contemporary capitalism, p. 146. Trad. mia.

12 M. PIRONE, Le nuove frontiere della valorizzazione. Logistica, piattaforme web e taylorismo digitale, http://www.euronomade.info/?p=8175, ultimo accesso 12 agosto 2019.

13 S. MEZZADRA – B. NEILSON, Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale, Bologna, il Mulino, 2014.

14 D. OJEDA, “¿Por qué Rappi vale US$1.000 millones si genera pérdidas?”, in El Espectador , https://www.elespectador.com/economia/por-que-rappivale-us1000-millones-si-genera-perdidas-articulo-811192, ultimo accesso 12 agosto 2019.

15 RAPPI, RappiFavor: qué es y todo lo que puedes pedir, «BlogRappi», https://blog.rappi.com/que-es-rappifavor/, ultimo accesso 14 agosto 2019. Trad. mia.

16 G. TATIS – M.C. LARGACHA, Big data, la solución para las plataformas de domicilios. Bogotá, Colegio de Estudios Superiores de Administración – CESA-Pregrado en Administración de Empresas, 2017, pp. 25-26.

17 AMAZON WEB SERVICES, INC., Caso práctico de Rappi, «Amazon Web Services (AWS)», https://aws.amazon.com/es/solutions/case-studies/Rappi/ ultimo accesso 17 ottobre 2019.

18 T. P. VIZZÓN, Plataformas 1: Un click y no trabajás más, «YouTube», https://www.youtube.com/watch?v=EmB5_6ien0w, ultimo accesso 14 agosto Min. 2:46 – 3:26.

TÉRMINOS Y CONDICIONES, consultato attraverso la applicazione SoyRappi in data 25/02/2019.

20 Hours worked, «OECD Data», https://data.oecd.org/emp/hoursworked.htm, ultimo accesso 14 agosto 2019.

21 CAM, Reporte especial 131: Lo que el gobierno de AMLO no dice al usar nuestras cifras sobre el poder adquisitivo del salario. Nada cambia por decreto, «CENTRO DE ANÁLISIS MULTIDISCIPLINARIO», https://cam.economia.unam.mx/reporte-especial-131-lo-que-el-gobierno-deamlo-no-dice-al-usar-nuestras-cifras-sobre-el-poder-adquisitivo-del-salarionada-cambia-por-decreto/, ultimo accesso 12 agosto 2019.

22 INEGI (2019), Encuesta Nacional de Ocupación y Empleo, ENOE 2019 -1. https://www.inegi.org.mx/programas/enoe/15ymas/, ultimo accesso 11 agosto
2019.

23 Le principali centrali sindacali charras sono la CTM, CROC e CROM. Fanno invece eccezione la Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación – CNTE, alcune sezioni del Sindicato Minero, il Sindicato Independiente Nacional y Democrático de Jornaleros Agrícolas (SINDJA), il Sindicato de Trabajadores Unidos de Honda México – STUHM e la Nueva Central de Trabajadores – NCT, tra gli altri.

24 P. MARINARO, “…Nuestra lucha es en contra del sindicato”. Una etnografía del antagonismo obrero al sindicalismo de protección patronal en México, «Revista de Estudios Marítimos y Sociales», 10/2016, 39-66.

25 C. QUINTERO RAMÍREZ, Contratos de protección y flexibilidad laboral in I. GONZÁLEZ NICOLÁS, Auge y perspectivas de los contratos de protección, México, Fundación Friedrich Ebert, 2006.

26 F. DE STAVOLA, Il lavoro nella fabbrica globalizzata: regime produttivo, conflitto e soggettività nella maquila di Monclova, Messico, Bologna, tesi di laurea non pubblicata, 2016.

27 Encuesta Nacional de Ocupación y Empleo, Primer semestre 2018, «Insituto Nacional de Estadistica y Geografía», https://www.inegi.org.mx/programas/enoe/15ymas/ , ultimo accesso 12 agosto 2019.

28 D. OJEDA, “¿Por qué Rappi vale US$1.000 millones si genera pérdidas?”, Trad. mia.

29 V. GAGO, La razón neoliberal: economías barrocas y pragmática popular, Buenos Aires, Tinta Limón, 2015, p. 10.

30 Ibidem

31 Ibidem

32 Ivi, p. 16.

33 Ivi, p. 35.

34 S. MEZZADRA – B. NEILSON, Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro, cit.

35 C’è da dire che Verónica Gago presenta l’informalità non come una alternativa negativa al legale, quindi periferica, ma affermativa e costitutiva, partendo dal suo carattere innovativo.

36 Per una trattazione estesa e accurata: M. SVAMPA, Debates latinoamericanos: Indianismo, desarrollo, dependencia, populismo, Buenos Aires, Edhasa, 2016.

37 S. MEZZADRA – B. NEILSON, Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo.

38 R. M. MARINI, Dialéctica de la dependencia (1973) in C. E. MARTINS (ed), América Latina, dependencia y globalización. Fundamentos conceptuales Ruy Mauro Marini, Bogotá, Siglo del Hombre – CLACSO, 2008, pp. 124-126. Traduzione mia.

39 K. MARX, Il Capitale: critica dell’economia politica (1867), Torino, Editori Riuniti, 1975, p. 206.

40 M. PIRONE, Scatole nere e tempeste.

41 M. MODONESI, Subalternità, antagonismo, autonomia: Marxismi e soggettivazione politica (2010), Roma, Editori Riuniti, 2015.

42 E. P. THOMPSON, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra (1968), Milano, Mondadori, 1969.

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