¡Hasta siempre, siglo xx! – Parte 5 #DiarioCubano #Cuba #FidelCastro

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Quinto post del Diario Cubano di Perez Gallo, Nino Buenaventura e Gimmi che ormai hanno passato la loro prima settimana sull’isola sulle orme di Fidel. Altre puntate del diario-reportage: LINK

Giorno 6

Finalmente dormiamo ben 7 ore e mezza, cosicché ci basta un caffè e una doccia rapida e siamo pronti per partire ma… ma la señora Leticia che ci ospita, oltre ad averci preparato una buona colazione, ha pure chiamato suo cugino Julio, professore di storia e filosofia e cineasta indipendente perchè parlasse un po’ con noi.

Le nostre tempistiche sono strettissime e dobbiamo andare a Santiago per il commiato finare di Raul Castro a suo fratello, ma fortunatamente scopriamo che l’acto de masa nella maggiore città orientale dell’isola sarà alle sette di sera, e non alle tre del pomeriggio come avevamo pensato. Ci informa della cosa la televisione, che fin dalla morte di Fidel ha unificato i propri (quattro) canali per parlare solo ed esclusivamente della scomparsa del comandante, della sua figura storica, delle celebrazioni che vengono fatte in tutto il Paese e della Caravana de la Libertad che sta portando le sue ceneri in giro per tutta l’isola. Siamo ovviamente strenui critici della televisione commerciale e spazzatura all’italiana (o a la gringa), ma dobbiamo ammettere che un tale livello di propaganda un po’ ci lascia perplessi. L’unico canale che continua con una programmazione indipendente è Telesur, televisione lanciata a suo tempo da Chavez e diffusa in quasi tutta l’America Latina che però non sempre si vede bene e i cui servizi relativi a Cuba vengono comunque opportunamente visionati dal governo cubano prima di andare in onda. Ciò nonostante, no problem, visto il particolare momento storico anche Telesur parla prevalentemente della morte di Fidel, con uniche eccezioni la tragedia aerea della squadra di calcio brasiliana in Colombia e il tentativo di golpe finanziario in Venezuela, dove sembra che sia caduto il sistema bancario delle carte di credito.

In ogni caso la nostra ospite è perfettamente in sintonia con la propaganda cubana, ama Fidel e il regime cubano (nonostante ci riveli che un tempo la sua famiglia era terratenente e che sia stata espropriata prorpio dalla Rivoluzione con la riforma agraria del luglio 1959), è terrorizzata dagli oppositori e ha un particolare pregiudizio razziale nei confronti degli haitiani.

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Altrettanto fedele fidelista è il cugino Julio, che arriva dopo pochi minuti e con cui facciamo una chiacchiera-intervista davvero interessante. Ci racconta un po’ di aneddoti del tempo della Rivoluzione: per esempio del fatto che dopo lo sbarco-naufragio del Granma Fidel, che si era rifugiato nascondendosi per tre giorni in un campo di canne da zucchero, ritrovando altri sette compagni affermò con sicurezza e preveggenza: “ci siamo, ormai abbiamo vinto!”. O come il fatto che Fidel e Raul erano figli di un importante proprietario terriero di Holguin, e che Fidel era stato mandato a studiare giurisprudenza proprio con l’obiettivo di tutelare la difesa giuridica delle proprietà del padre. Per uno scherzo della storia, tproprio quelle terre furono le prime ad essere espropriata una volta che la Rivoluzione trionfò. Lo stesso padre Àngel Castro, in occasione della fallita rivolta dei figli a Santiago nel 1954, con relativo attacco alla caserma militare Moncada, disse: “sì, lo ammetto: ho un figlio matto e un altro che lo segue”.

Gli chiediamo cosa ne pensa delle prospettive di Cuba con la morte di Fidel, se rimarrà ferma in un cammino autonomo e socialista o verrà inglobata nel sistema capitalista. La sua risposta è molto interessante: “la Rivoluzione non è un fatto statico, ma un processo dinamico; molte cose sono cambiate negli anni senza che la natura del sistema si modificasse. Però ricordiamoci sempre una cosa: il progresso in termini di diritti sociali è stato talmente enorme che difficilmente sarà reversibile. E che se Cuba dovesse tornare ad essere capitalista, si dovrebbe scordare di diventare come l’Italia. Cuba va comparata con il Centroamerica e le Antille, il cui inserimento nel capitalismo globale si tradurrebbe in  dipendendenza e povertà diffusa e brutale”.

Infine ci racconta come funziona il sistema elettorale cubano: “è vero che c’è un mono-partitismo, che è stato necessario per resistere per quasi sessant’anni a pochi chilometri dall’Impero; però non è che non ci siano elezioni: noi votiamo tutti i rappresentanti politici, le autorità sono sempre più criticate anche nei media nazionali, e non è improbabile che a breve si arriverà a dibattiti politici pubblici con linee politiche apertamente contrapposte”. Per ammettere, tuttavia che “tutti i candidati sono sottoposti al vaglio del Partito”.

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Il viaggio è lungo, a Cuba se vuoi viaggiare come i suoi abitanti devi abituarti a lunghe attese e continui adattamenti nel percorso a seconda dei mezzi disponibili. Da Bayamo, però, ci tocca, ahi noi, salire su un pullman turistico per Santiago, il Viazul, che per il costo della vita cubana vale un occhio della testa – 7 dollari. Gli altri trasporti informali sono paralizzati perché la carovana sta per arrivare nella seconda città dell’isola.

Grazie a un nuovo amico argentino, studente di medicina sull’isola, lasciamo gli zaini nella guardiola dell’univerrsita di Santiago e ci dirigiamo velocemente verso l’enorme piazza Maceo – altro eroe dell’indipendenza – dove arriviamo giusto in tempo per l’inizio dell’ultimo acto de masa per la dipartita del lider máximo. La piazza è gremita, i volti commossi sono gli stessi visti a L’Avana qualche giorno fa. All’arrivo di Diego Armando Maradona (che come abbiamo appreso dalla tv è arrivato a Cuba in mattinata), parte l’ovazione. Ma né lui né i capi di Stato come Maduro e Morales, né ex presidenti (si intravedono l’argentina Cristina Fernandez de Kirchner, i brasiliani Ignacio Lula da Silva e Djilma Roussef e l’uruguaiano Pepe Mujica), fanno interventi. Parlano invece rappresentanti delle Forze Armate Rivoluzionarie, dei lavoratori, delle associazioni giovanili e studenteschi, di quella degli artisti e scrittori cubani, delle donne rivoluzionarie. Colpisce l’energia di queste ultime, che ricordano come la Rivoluzione abbia messo al centro il ruolo delle donne come a Cuba mai era stato fatto, e del rappresentante degli universitari che, forse ben consapevole della presa più difficile degli ideali rivoluzionari sulle nuove generazioni esposte alla propaganda commerciale USA, afferma che da ora in poi proprio le università dovranno essere la nuova Moncada, il nuovo Granma e la nuova Sierra Maestra.

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Chiude un comizio relativamente breve il presidente Raúl Castro, visibilmente stanco dalla lunga settimana di celebrazioni e commosso nel dare il commiato al fratello, nel ricordarne le gesta al tempo della guerra di guerriglia e nel garantire che la Rivoluzione continuerà anche senza di lui. E nel sottolineare la grandezza di un uomo che, nel momento in cui nel resto del continente trionfavano le dittature militari, ebbe il coraggio di proclamare il carattere socialista della Rivoluzione cubana a due passi dall’Impero.

Più volte, e in quasi tutti gli interventi, emerge la dimensione profondamente umana di Fidel Castro, la sua attenzione ai bisogni materiali dei cubani, l’amore e l’affetto che provava per la sua gente e per tutti i popoli oppressi: lo chiamano il “comandante eterno” ma anche il “padre di tutti i cubani”. Lo slogan di questa settimana, d’altronde, è stato “yo soy Fidel!”, gridato ovunque e addirittura dipinto sulle facce dei cubani, a significare che sarà tutto il popolo a raccogliere l’eredità del loro líder.

Al termine dell’acto de masa, la gente non abbandona la piazza ma si ferma, soprattutto nel caso dei giovanissimi, per una lunga veglia notturna. Mentre dalle casse risuona la musica del più famoso cantautore nazionale Silvio Rodriguez e si susseguono interventi improvvisati e concerti dal vivo, gli universitari danno vita, come già fatto nelle altre città toccate dalla Caravana de la Libertad, a un cambio della guardia, tenendo in piedi a turni di 15 minuti grandi foto d’epoca o più recenti del comandante schierati in difesa delle ceneri di Fidel.

Mentre nei pressi del palco centinaia di giovani danno vita a questo momento solenne e commovente, più distanti altri giovanissimi inscenano quello che, se non ci fossero le restrizioni sull’alcool, potrebbe essere considerato un botellon. Uno scambio di battute tra due di loro ci rivela quello che ci aveva già accennato giorni fa Raydel e che rappresenta l’altra faccia delle adunate di massa e del dolo spontaneo della popolazione visto in tutte le tv e in tutte le piazze: il fatto che in molti casi (non sapremmo minimamente quantificare) gli studenti o i lavoratori vengano caldamente invitati, per non dire obbligati a partecipare dalle loro organizzazioni di settore, dalle loro scuole o dalle loro università; in ogni caso “si tiene in conto” di chi partecipa e non partecipa.

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Richiamati da una bandiera rossa dei Cobas, da una No Tav, e da uno striscione per il No al referendum costituzionale, nella piazza incontriamo cinque compas italiani che Perez avava già incrociato in passato, alcuni perché del Nodo Solidale di Roma (collettivo di solidarietá con gli zapatisti) e altri di Genuino Clandestino, che hanno preso il volo (come noi, ma molto piú eroicamente, visto che dall’Italia) appena saputo della morte di Fidel. Una di loro si scopre essere dello stesso paese di origine di Nino, cosicché quel paesino così piccolo ha addirittura due rappresentanti a Cuba per il commiato a Fidel Castro!

La stessa follia del volo last minute l’hanno fatta altri due compas bolognesi beccati piú tardi per le vie di Santiago.

In tarda notte, esausti come di consueto, dopo essere ripassati dalla veglia in piazza, ci dirigiamo con Valentin, l’argentino conosciuto precedentemente in autobus, alla residenza universitaria in cui abbiamo lasciato gli zaini, e in cui lo stesso argentino garantisce che ci faranno dormire tutti. Così non è, come era prevedibile, e Valentin, nonostante viva a Cuba da otto anni, si rivela essere tutt’altro che sveglio, e noi dei polli a seguirlo.

Ma sono ormai le due di notte, nessuna casa particular ci può dare una stanza a quest’ora, e ci tocca addormentarci per strada. Valentin a una certa si muove verso la stazione dei pullman diretto a Baracoa e noi ci facciamo divorare da moscerini e zanzare nella notte di Santiago de Cuba.

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