Terremoto in Messico giorno 2: disperazione, speranza e il caso della bimba Frida @ilmanifesto

frida sofia[Di Fabrizio Lorusso – Quest’articolo è uscito su Il Manifesto del 22 settembre 2017 – Che non sia fermata la organizzazione e la collaborazione popolare. Che non siano usate ancora macchine pesante perché nelle macerie c’è ancora gente (viva e morta).Arrivano intanto i primi aiuti internazionali e le squadre di soccorritori da fuori…. – Mentre questo testo era in fase di chiusura per l’uscita sul quotidiano, veniva confermata dalla Marina e dai mass media messicani l’inesistenza della bambina intrappolata nelle mecerie della scuola “Rébsamen”, Frida Sofia: una vera fake news o un cinico reality show montato probabilmente dalle forze armate e/o dal governo, probabilmente in collusione con la catena Tv Televisa, come già è avvenuto in vari altri casi in passato e come alla fine dell’articolo si suggerisce. Il numero delle vittime è stato aggiornato a 300. Aumentano le voci di denuncia dell’operato del governo e dei militari alla luce di quanto era già successo nel 1985: si cercava di fermare l’organizzazione del popolo per le strade per non far circolare le informazioni e per non far mobilitare i cittadini, eterno incubo dei governi deboli e corrotti che temono la protesta e la denuncia] Dopo il terremoto del 19 settembre in tutto il Messico continua la mobilitazione, specie nella capitale e negli altri stati castigati duramente come il Morelos e Puebla. “Non posso restare a casa, dal terremoto del 1985 c’è qualcosa che non mi fa allontanare e, anche se ho paura come tutti qui, è più forte di me”, dichiara Eddie Arrellano, alias Il Gabbiano, che è un “pensionato” de Los Topos, il mitico gruppo di soccorritori nato dopo l’85.

Si trova nel quartiere Roma, tra le vie Medellin e San Luis, fuori da un palazzo circondato dall’esercito che è crollato mezz’ora dopo il terremoto. Quaranta persone sono riuscite a uscire, tre sono state estratte in vita e una resta sotto pavimenti e pareti sbriciolate. Altre ventisette, dopo un giorno tra la vita e la morte, sono state salvate da quel che restava di un condominio in Avenida Obregón. Finora in città sono 53 le persone estratte vive dalle macerie, ma ce ne sono decine ancora intrappolate.

A due giorni dalla tragedia la cifra ufficiale delle vittime è salita a 250 di cui 115 nella capitale, 73 nel Morelos, 43 nel Puebla, 13 nell’Estado de México, 5 nel Guerrero e una nel Oaxaca. Migliaia di persone dormono in macchina o in uno dei sessanta spazi d’accoglienza allestiti a Città del Messico per chi non ha più una dimora o abita in edifici pericolanti.

“C’è ancora tantissima gente in giro che cerca di aiutare, la bici è uno strumento prezioso col traffico che c’è, ma d’altro canto molti non sanno bene che fare e dove andare per mancanza di coordinamento delle autorità”, commenta al Manifesto Clara Ferri, libraia a Città del Messico. “Tantissime persone hanno messo a disposizione le proprie case per ospitare gli sfollati”, aggiunge.

“Le zone che nel 1985 sono state rase al suolo, vicino a Plaza Tlatelolco, sono state messe poi in sicurezza e hanno subito meno danni questa volta”, spiega al portale AristeguiNoticias Manuel Perló, ricercatore e autore di un libro su quella tragedia. Invece in tante altre zone la situazione non è cambiata, come denuncia Josefina MacGregor dell’associazione Suma Urbana: “Ci sono oltre 4000 edifici illegali, costruiti con sussidi statali e permessi falsi, che han generato 200 miliardi di pesos [10 miliardi di €] ai costruttori nelle zone più danneggiate dal sisma”. “Da dopo l’85 vediamo impunità, corruzione e leggi ad hoc”, continua MacGregor. Cominciano quindi ad alzarsi le voci che segnalano illeciti e mancanze delle autorità. Per esempio il quotidiano Reforma ha evidenziato il sospetto crollo di un condominio nell’elegante zona Portales della capitale. Era stato inaugurato solo un anno fa.

In visita a Jojutla, la località più devastata del Morelos, il presidente Enrique Peña Nieto ha annunciato, come per Chiapas e Oaxaca, colpiti dal sisma dell’8 settembre, un “Piano d’Emergenza” che prevede un sostegno immediato ai terremotati, una piano di ricostruzione e l’elaborazione di un censimento per canalizzare questi aiuti.

Peña era accompagnato dal governatore Graco Ramírez, che ha subito forti critiche per aver dichiarato frettolosamente, a meno di 24 ore dal terremoto, la “fine dell’opera di soccorso” e l’inizio della fase di collocamento degli sfollati, mentre di solito devono passare almeno tre giorni prima di smettere di cercare persone intrappolate. I due politici sono stati interrotti dalla gente in più occasioni e increpati: “Non vediamo colori, né partiti, solo vediamo i nostri compagni caduti”. Mentre a Città del Messico gli aiuti, l’organizzazione e le risorse sono relativamente abbondanti, tra Puebla e Morelos le comunità rurali della zona degli indigeni mixtechi sono più povere e abbandonate dalle istituzioni per cui si stanno organizzando brigate e raccolte di viveri che partono dalla capitale per sostenere specificamente questa regione.

Il Messico e il mondo stanno seguendo praticamente dal vivo il salvataggio delle vittime della scuola primaria “Enrique Rébsamen” di Città del Messico che è crollata uccidendo 21 bambini e 4 adulti. Undici alunni sono stati estratti vivi, ma sono ancora vari quelli non localizzati. Un’analisi con uno scanner che misura la temperatura corporea sotto le macerie ha mostrato che cinque di loro potrebbero essere vivi e due invece sarebbero morti. Malgrado la pioggia e il rischio di ulteriori crolli i Topos stanno aprendo un varco per liberare una ragazzina che avrebbe mandato segnali di vita chiedendo dell’acqua. Frida Sofia sarebbe il suo nome, come diffuso dai media, ma il caos informativo e la propagazione di miti sono proporzionali all’assenza di notizie ufficiali e al numero di personale impegnati nei soccorsi in questo caso.

La gente s’aspetta un miracolo, ma la realtà è poco chiara. Manuel Carbajal, uno dei Topos, ha affermato il 21 settembre che “i soccorritori hanno ormai fatto tutto il possibile” e all’alba c’è stato un altro crollo nella parte in cui si stava cercando la bimba. Altro fatto strano è che non si sono presentati sul luogo i familiari della bimba e s’è scoperto che nessuna Frida Sofia risulta iscritta alla scuola e che il nome era stato inventato da un soccorritore.

“Di fronte al vuoto informativo delle autorità regna solo l’incertezza”, sentenzia Ivan Macías di Univisión, ricordando come in passato le televisioni messicane e il governo siano stati coinvolti in grossi casi di manipolazione mediatica. S’inizia a dubitare addirittura dell’esistenza della studentessa che, in teoria, è al terzo giorno di resistenza sotto le macerie.

Non si capisce neanche come mai i media e le autorità continuino a chiedere attrezzi per i soccorritori della scuola Rébsamen e prodotti per le vittime malgrado la massiccia presenza dell’esercito, della polizia e della protezione civile in loco. Intanto il governo ha lanciato un appello a presentarsi ai genitori dei bambini intrappolati mentre i giornalisti parlano di “cortocircuito informativo” e mistero: ciò che è sicuro è che Frida è diventata più che altro un simbolo di queste giornate, tra desolazione, incertezza e speranza.

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