di Gimmi
Premessa: città in disputa
L’occupazione dello spazio pubblico urbano da parte dei commercianti informali ha da sempre attirato l’attenzione delle autorità locali incaricate della gestione dell’ordine. Come sottolinea John Cross, in uno dei più celebri lavori di studio sulla vendita informale e sul rapporto con le politiche pubbliche, “gli street-vendors vivono in un costante stato di potenziale o concreto conflitto rispetto allo spazio, in un modo che li porta alla ribalta nel dibattito sull’informalità nelle moderne configurazioni urbane” (Cross 1998, 8) (trad. mia). Se da un lato gli street-vendors invocano il proprio diritto costituzionale alla sussistenza per giustificare l’occupazione dello spazio pubblico, le istituzioni cittadine devono affrontare la scelta tra la tolleranza del fenomeno, tentando di regolamentarlo, o l’eliminazione dello stesso dallo spazio tramite l’uso della forza. Il conflitto che si genera tra classi popolari e governi ha reso il commercio informale una delle questioni più urgenti nell’agenda delle governance urbane latinoamericane. L’attacco al fenomeno del commercio informale nelle metropoli latinoamericane non può essere compreso a fondo senza prendere in considerazione le trasformazioni urbane che stanno vivendo le città e le politiche rivolte alla riqualificazione dei centri storici a fini turistici, culturali e commerciali (Delgadillo 2006). In tutto il contesto latinoamericano, infatti, negli ultimi trent’anni soprattutto, si è assistito a una forte implementazione delle politiche rivolte alla conservazione, alla patrimonializzazione e alla museificazione dei centri storici (Jones e Varely 1994; Delgadillo 2012; Janoschka 2016), oltre a una generica mercificazione degli spazi urbani (Smith 2002). Il “riordinamento dell’uso dello spazio fisico dei centri storici delle città latinoamericane” è diventata una costante nelle politiche urbane volte alla promozione del turismo e alla riscoperta del patrimonio storico conservato nelle metropoli (Middleton 2003, 119). Le zone centrali delle città latinoamericane tradizionalmente abitate da settori popolari della popolazione hanno assunto il carattere di ‘spazio disputato’ della metropoli, in cui si scontrano diversi modi di pensare e di praticare l’abitare la città (Duhau e Giglia 2008). Il concetto di abitare, infatti, se compreso come nozione ampia, richiama il concetto di ‘doverci essere nel mondo‘ di Ernesto De Martino1 e va oltre alla semplice presenza localizzata in uno spazio fisico: “definiamo l’abitare come il congiunto di pratiche e rappresentazioni che permettono al soggetto di collocarsi dentro un ordine spazio-temporale, e allo stesso tempo di affermarlo. E’ il processo mediante il quale il soggetto si situa al centro di coordinate spazio-temporali mediante la sua percezione e la sua relazione con il contesto che lo circonda. Abitare la metropoli allude quindi al congiunto di pratiche e rappresentazioni che rendono possibile e articolano la presenza – più o meno stabile, effimera o mobile – dei soggetti nello spazio urbano e la loro relazione con altri soggetti” (Giglia e Duhau 2008, 24) (trad. mia). Diversi modi di abitare la città corrispondono quindi a diversi tipi di esperienze metropolitane che hanno gli attori, intese come differenti configurazioni di pratiche e rappresentazioni dello spazio urbano che permettono di significare e vivere la metropoli da parte di attori collettivi diversi (Giglia e Duhau 2008). Nei centri storici delle maggiori città latinoamericane le esperienze dell’abitare la metropoli appaiono oggi particolarmente differenziate: la diversità delle rappresentazioni che assumono e delle pratiche che sviluppano portano inevitabilmente a concezioni conflittuali dello spazio pubblico. Tale spazio diviene allora disputato, conteso tra diverse esperienze metropolitane che tentano di imporsi una sull’altra per definire quale debba essere l’uso appropriato dello spazio stesso. L’uso dello spazio urbano centrale che ne fanno le classi popolari allora si trova per forza di cose a confliggere con l’idea della città neoliberista di uno spazio disciplinato totalmente asservito agli interessi del turismo, del consumo culturale o della speculazione immobiliare (Delgadillo 2012). L’uso sociale dello spazio urbano più visibile dei settori popolari è senza alcun dubbio quello del commercio informale, e ciò spiega perché le amministrazioni locali si spendano tanto per controllarlo, arginarlo o rimuoverlo. La città disputata, quella delle aree storiche e centrali, vede allora l’articolarsi di politiche di displacement volte ad allontanare od eliminare gli usi dello spazio pubblico che possono ostacolare lo sviluppo turistico e commerciale deciso dall’alto dalla città del neoliberismo contemporaneo: ovviamente il commercio informale è in cima alla lista. Sebbene sia piuttosto complicato ottenere dei dati esatti sulla presenza dello street-vending nelle città contemporanee, i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica messicano stimavano all’inizio degli anni duemila la presenza di circa 200 mila street-vendors nel solo centro di Città del Messico (Middleton, 2003). In tutto il paese si calcola che circa il 57% degli occupati lavori in condizioni di informalità, e tra questi il commercio informale risulta essere la fetta più grossa, costituendo circa il 33% di tutto il settore economico informale (INEGI, 2015; ILO, 2013). Tali dati risultano perfettamente in linea con le stime dell’International Labour Organization, riassunte da Tokman (2001), che calcolano che a partire dagli anni novanta ogni dieci impieghi generati nelle città latinoamericane sei sono nel settore informale; ovvero, più della metà dei lavoratori urbani di tutto il continente è impegnata in attività economiche informali (Tokman 2001).
Politiche del displacement e commercio informale
Nella metropoli contemporanea si sono moltiplicati i percorsi che portano sempre più abitanti delle città verso la povertà e l’esclusione sociale. Se il benessere delle aree urbane centrali si fonda sull’espulsione di quanti non siano desiderabili, allora i processi di displacement sono rivolti a sempre più soggettività che abitano la metropoli: tra quelle più interessate da provvedimenti istituzionali risultano senza dubbio i lavoratori informali urbani. Spesso sono proprio le aree di intenso scambio commerciale non regolato, come i mercati, ad essere più colpite da interventi pubblici e di polizia volti ad eliminarle o allontanarle verso la periferia: si pensi nel contesto latinoamericano ai casi di Città del Messico e Quito, tra quelli più presenti in letteratura (Moctezuma 2016; Delgadillo et al. 2015; Janoschka 2014). Altre volte i provvedimenti sono diretti a particolari categorie di lavoratori informali che usano lo spazio pubblico per svolgere la propria attività: venditori ambulanti, lavavetri, lustrascarpe, parcheggiatori abusivi sono alcune delle categorie di soggetti che si ritrovano spesso citate in causa tanto nelle ordinanze securitarie nostrane, come in numerose leyes civiles urbane latinoamericane. Nella ‘città disputata’ si scontra quindi il diritto delle classi popolari di utilizzare lo spazio pubblico per svolgere le proprie attività economiche informali di sussistenza e la volontà della città neoliberista di essere ordinata, pulita e sicura al fine di attrarre interessi e investimenti legati al consumo, al mercato immobiliare, al turismo e alla rivalorizzazione del patrimonio urbano. Con il termine displacement si fa infatti riferimento a tutta quella serie di pratiche politiche imposte dall’alto che adottano l’uso della violenza, tanto simbolica quanto fisica, per rimuovere ed allontanare i soggetti e gli usi non desiderati degli spazi urbani che si considerano fondamentali per la rivalorizzazione delle città. Quindi, secondo l’opinione del sociologo urbano esperto di processi di gentification Janoschka,“il displacement ha una intima relazione con l’applicazione di politiche pubbliche che aspirano a trasformare in primo luogo lo spazio pubblico, mediante politiche securitarie, di igienizzazione ed espulsione degli usi che non paiono adeguati per garantire gli investimenti o per favorire il turismo” (Janoschka 2016, 48) (trad. mia). Ovvero, in altre parole, “il displacement è una politica strategica volta ad espellere certe pratiche (sociali, culturali, economiche e politiche) non desiderate, impedendo che una parte di popolazione possa consumare ed appropriarsi di certe fette specifiche della città, sradicando così le espressioni culturali della povertà dai centri di queste città” (Janoschka e Sequera 2014, 85) (trad. mia). Già solo con queste brevi formulazioni del concetto, è evidente che le politiche del displacement abbiano un’intima relazione con la gentrification, intesa come processo di ristrutturazione delle relazioni socio-spaziali e di trasformazione tramite il quale aree centrali e tradizionali della città, dove risiedono prevalentemente classi popolari e lavoratrici, vengono orientate verso l’uso commerciale e residenziale per le classi sociali con maggior potere d’acquisto, producendo di conseguenza un aumento del valore economico degli immobili e, spesso, una trasformazione fisica e simbolica del territorio che porta all’allontanamento degli abitanti originari (Smith 1996; Semi 2015).
Città del Messico ha visto negli ultimi due decenni soprattutto, l’implementazione di una lunga serie di politiche urbane volte a rinnovare radicalmente il proprio centro storico, uno dei più estesi dell’America Latina, mirando a trasformarne la sua tradizionale vocazione fortemente popolare. A partire dai primi anni duemila numerosi provvedimenti e ordinanze pubbliche furono rivolti a sradicare il commercio ambulante dal centro storico, che secondo le istituzioni locali ostacolava il pieno sviluppo economico dell’area. Decine di strade del centro furono ‘ripulite’ con imponenti interventi di polizia, e migliaia di street-vendors, lustrascarpe, parcheggiatori, sex-workers, senzatetto e indigenti vennero allontanati dalle aree centrali. Tra i commercianti ambulanti iniziarono a diffondersi pratiche di resistenza spaziale che permettessero di proseguire la propria attività nel cuore della metropoli aggirando il problema della propria condizione di illegalità: nella capitale messicana coloro i quali tornano a vendere nelle zone proibite e precedentemente sgomberate vengono chiamati “toreros”. Tali commercianti collocano le proprie mercanzie per terra su teli che possono essere rapidamente raccolti nel momento in cui si avvicinino le forze dell’ordine. Il termine torero deriva proprio dall’uso del telo che in caso di emergenza viene raccolto e trasportato velocemente via, ricordando proprio le movenze del torero che cerca di evitare il toro usando il suo manto. Attualmente, la fase di trasformazione del centro di Città del Messico sta soprattutto interessando un’area ad alta intensità commerciale, La Merced, che fin dall’epoca coloniale rappresenta il bacino di approvvigionamento principale per l’intera metropoli, e che oggi vede la presenza di ben sette mercati coperti e di migliaia di commercianti informali che popolano le strade adiacenti. L’intervento rivolto a riqualificare la zona inaugurato nel 2014, chiamato Plan Maestro de Rescate Integral de La Merced, promette di rinnovare radicalmente il quartiere iniziando a sradicare innanzitutto l’illegalità e l’informalità economica. Una delle soggettività che nel variopinto mondo dell’economia informale de La Merced viene più duramente messa sotto attacco è quella dei parcheggiatori abusivi, in gergo chiamati franeleros, considerati spesso e volentieri al pari di parassiti che operano sulle spalle della collettività.
I franeleros della Candelaria de Los Patos, Città del Messico
Ci sono diversi termini usati per fare riferimento ai parcheggiatori abusivi di strada di Città del Messico. L’accezione più comune è quella di franeleros, dal nome della franela, il panno di tela usato per spolverare le auto e per dare indicazioni agli automobilisti in merito al posto dove sostare. Tale oggetto ha un valore simbolico intrinseco, serve innanzitutto a identificarsi e a farsi riconoscere, è parte dell’habitus dei parcheggiatori di Città del Messico, sempre intenti a sventolarlo all’aria o tenendolo appoggiato a una spalla nei momenti di inattività. Altri nomi e nomignoli che si usano per riferirsi ai parcheggiatori sono: cuidacarro, ovvero colui che cura e tiene d’occhio le auto, lavacarro, in quanto spesso i veicoli vengono anche lavati a fondo all’interno e all’esterno, o viene-viene, alludendo metaforicamente all’invito verbale che i parcheggiatori scandiscono dando aiuto agli automobilisti nelle manovre di stazionamento. Come già accennato in precedenza, i franeleros sono uno tra i settori del lavoro informale più stigmatizzato, in quanto occupano e fanno proprio lo spazio pubblico per il proprio interesse economico. Per questo vengono considerati spesso al pari di una lobby che opera a discapito della collettività, che tiene in ostaggio le strade per il proprio tornaconto personale: la Legge di Cultura Civica promulgata dal governo di Città del Messico nel 2004 presentava i franeleros, insieme ad altre categorie del lavoro informale, come l’antitesi del cittadino della città rinnovata, come nemici principali dell’ordine e della legalità, burberi e violenti, figure astoriche degne solo di un passato primitivo della città (Leal Martìnez 2016). In realtà, come si vedrà in seguito, tali visioni troppo semplicistiche non tengono conto del valore sociale e del ruolo che i parcheggiatori ricoprono, secondo la loro stessa opinione e di quella degli attori che li circondano. Certamente, data la grande varietà presente dentro lo stesso mondo dei parcheggiatori abusivi della città e le differenze nei modi di operare, sarebbe piuttosto difficile giungere a generalizzazioni affrettate sui franeleros: piuttosto ciò che risulta interessante è descrivere il normale funzionamento e i meccanismi di regolazione di un mestiere tanto stigmatizzato come questo e tentare di analizzare la funzione sociale che ricoprono i parcheggiatori nel caso specifico di studio affrontato. Quindi la scelta del metodo etnografico è dettata dalla volontà di addentrarsi nel mondo della vita quotidiana dei franeleros della Candelaria, con i quali mi sono trovato a lavorare insieme per circa due mesi, tra ottobre e dicembre del 2016.
L’appuntamento che mi danno per iniziare il turno di lavoro è quasi sempre alle nove di mattina nella strada dove operano i parcheggiatori guidati da Mauricio,2 giusto di fronte alla fermata della metropolitana di Candelaria, nel barrio de La Merced, o meglio al suo margine occidentale, dove la ressa del mercato inizia ad assottigliarsi e a confondersi con la povertà dei quartieri residenziali popolari del Distretto Federale, dove le bancarelle degli ambulanti lasciano il posto alle auto parcheggiate e alle case di lamiera della comunità indigena Triqui che è installata da anni nella Candelaria de Los Patos e che vive del proprio commercio nel mercato. La Candelaria è una tra le zone de La Merced considerate più marginali e insicure: proprio nelle strade adiacenti, tra Corregidora e via General Anaya soprattutto, operano i cosiddetti “chineros”, ladri capaci di asfissiare i passanti con una presa dietro al collo, chiamata appunto mossa della “llave china”,3 per poi lasciarli svenuti al suolo e poterli derubare tranquillamente di tutti i loro averi. La Candelaria è però soprattutto un quartiere popolare, famoso per le sue vecindades4 e per i suoi edifici decadenti, per i suoi tanti indigenti e senzatetto, per la sua vitalità commerciale e per il mercato all’aperto delle pulci e dell’usato che lo anima quotidianamente. Settore limitrofo della città già dall’epoca preispanica, e ancora oggi porta d’ingresso al centro per numerosi flussi commerciali, la Candelaria de Los Patos ha iniziato da poco a conoscere le trasformazioni urbane che hanno rivoluzionato radicalmente il centro storico di Città del Messico negli ultimi decenni, senza finora aver mai perso il proprio carattere di quartiere popolare e continuando ad essere colpita da un forte stigma negativo da parte dei media.
Il capo squadra dei parcheggiatori, Mauricio, ha 34 anni e vive a Iztapalapa, delegazione orientale della metropoli, è laureato in giurisprudenza e da 17 anni è parcheggiatore in quell’isolato. Racconta di aver ‘ereditato’ la zona da suo padre, poliziotto, che era il referente del nucleo della polizia del Distretto Federale nel barrio della Candelaria e che lo aiutò a sostituirsi agli agenti che gestivano i parcheggi per arrotondare. E’ il capo, nel senso che gestisce i turni, trova nuova forza lavoro all’occorrenza, e incassa la maggior parte degli ingressi. A lavorare insieme a Mauricio c’è quasi sempre Javiér, suo zio di primo grado da parte di padre, ma ci sono altri tre parcheggiatori nello spiazzo più avanti, e altri pronti a sostituirli per il turno pomeridiano dalle tre: “qui nella via siamo in otto in tutto che ci alterniamo. Ho diviso la strada in due per permettere una migliore amministrazione e ho stabilito i due turni perché sarebbe molto difficile farti un turno competo, dalle cinque di mattina alle nove di sera, termineresti distrutto”,5 mi racconta Mauricio. Javiér è sempre tra i primi ad arrivare intorno alle cinque del mattino, quando i primi commercianti arrivano alla Merced e parcheggiano le proprie vetture, seppur sia anche uno tra quelli che deve percorrere più strada, giungendo tutti i giorni alla Candelaria da Chalco, nell’Estado de México, fuori dai confini del Distretto. Il servizio che viene offerto consiste nel parcheggiare accuratamente il veicolo, auto, furgone o camion che sia, prendere in consegna le chiavi e tenere al sicuro il mezzo, per la cifra forfettaria di 15 pesos messicani, circa 70 centesimi di euro, e 30 pesos per furgoni e mezzi ingombranti e per chi si ferma l’intera giornata. Su richiesta è anche possibile far lavare l’automobile per 50 pesos: gli strumenti del mestiere sono un grosso secchio di acqua che viene riempito ogni mattina, una bottiglia di sapone, un paio di stracci e un paio di teste di scopa, con i quali si ripuliscono a fondo interni ed esterni dei veicoli. Il “campo base” è giusto alla fine del corridoio di commercianti che vendono su teli stesi sul marciapiede mercanzia usata di ogni tipo e circa a metà della strada gestita dalla ‘banda’ di Mauricio, in un punto che permette un’ottima visuale su tutto il corso della carreggiata fino alla curva, dopo la quale sono “El Barbon” e gli altri soci a gestire i posteggi. Dall’altro lato invece, proseguendo ad ovest verso il caos dei mercati, a gestire i pochi posti auto disponibili prima della distesa di banchi e bancarelle sono i ‘veri’ abusivi, che di nascosto impongono una quota a chi parcheggia sotto minaccia di danneggiare il veicolo, arrivando a chiedere più del doppio della tariffa base decisa da Mauricio. Alla Candelaria, invece, siamo alla luce del giorno, visibili, riconoscibili e riconosciuti da tutti. L’uniforme di riconoscimento consiste in pantaloni in jeans e in una maglietta di colore blu: “al contrario degli altri [parcheggiatori] che lo fanno di nascosto e sotto minaccia, io decisi di metterci una uniforme che ci rendesse riconoscibili, così che la gente si potesse fidare di noi, così che tutti sanno che noi siamo i franeleros della Candelaria: per tutti consiste in pantaloni di jeans, una maglietta polo di colore blu e un cappellino”.6 Mauricio sa bene quanto il proprio mestiere sia generalmente mal visto, e difatti con l’uso di una sorta di uniforme vorrebbe proprio fugare ogni sospetto sul loro modo di operare, onesto e alla luce del giorno.
Al campo base si lavano le auto e si tiene sempre un veicolo aperto a disposizione per riporvi dentro le chiavi delle macchine e gli effetti personali della squadra. Le autovetture vengono disposte generalmente su due file da un lato della carreggiata e su una dall’altro; ai proprietari viene indicato dove parcheggiare e si prendono in consegna le chiavi: per i tempi del pagamento la scelta sta al cliente, chi vuole, soprattutto chi tornerà a recuperare il proprio mezzo a sera, paga subito la quota, molti altri invece preferiscono pagare una volta terminate le proprie commissioni. Ogni volta che si muove un veicolo bisogna spostarne prima altri se lo ostruiscono, o prontamente tenere il posto per piazzarne uno di quelli in doppia fila per evitare che qualcuno si posizioni senza prima essere stato invitato. La maggior parte dei clienti che vengono a parcheggiare conoscono Mauricio e la sua squadra, con tutti scappa una battuta o un albur7, una risata e un caloroso saluto. Difatti, Mauricio fa parcheggiare di solito solo chi già conosce, perché sa che non avrà problemi con il pagamento o con la consegna delle chiavi: “aquì no quiero broncas”8, ripete spesso. La maggior parte dei clienti sono commercianti che vengono a scaricare o caricare merce a La Merced, ma ci sono anche tanti avventori del mercato, spesso a loro volta gestori di attività per le quali hanno bisogno di rifornirsi all’ingrosso e perciò si recano al mercato in auto o in furgone. Con tutti i clienti si avverte subito una solida relazione di fiducia, premiata da molti con qualche pesos in più per il servizio.
Dal punto di vista legale, i parcheggiatori della Candelaria vivono in un limbo, che li costringe comunque ad essere abusivi. Da un lato sono dotati del permesso fornito dal Ministero del Lavoro come “lavoratori non salariati” del Distretto Federale, dall’altro la prassi quotidiana del loro mestiere ne vìola puntualmente le regole. Il “regolamento per i lavoratori non salariati”, promulgato nel 1975 dall’Assemblea Legislativa del Distretto Federale ed ancora vigente, è rivolto a una larga fetta di lavori informali che non prevedono un salario, ma che offrono un servizio ricompensato sulla base di un contributo monetario volontario, ovvero una mancia. Tale regolamento vale per franeleros, lustrascarpe, artisti e musicisti di strada, riparatori di carrozzerie, parrucchieri di strada, addetti alla pulizia e al ritiro dei rifiuti, addetti al rifornimento di carburante, e tanti altri mestieri che vivono delle mance volontarie dei clienti a cui offrono un servizio. In tale documento ci sono regole precise da rispettare: ad esempio, per quanto riguarda da vicino il caso dei franeleros, non si può far parcheggiare di fronte alle fermate del Metro né far sostare in doppia fila e bisognerebbe lasciare libero almeno un metro dagli scivoli pedonali; vige il divieto di chiedere una quota che non sia una cooperazione volontaria; non si può gettare acqua in strada e non si possono guidare i veicoli né prendere in consegna le chiavi, ma solo limitarsi a indicare il posto auto dove stazionare.
Tali divieti vengono puntualmente violati dai parcheggiatori della Candelaria: i mezzi vengono guidati dai parcheggiatori e disposti in doppia – se non tripla – fila senza rispettare gli scivoli né la prescrizione di lasciare libera l’area di fronte alla fermata della metropolitana; la quota richiesta ai clienti è fissa; le chiavi sono prese in consegna dai franeleros e le auto vengono lavate in strada con abbondante uso di acqua e sapone. Per aggirare tali divieti imposti dal regolamento vengono messe in pratica una serie di negoziazioni informali con le forze dell’ordine incaricate di sorvegliare la viabilità pubblica che permettono a Mauricio e alla sua squadra di lavorare senza problemi. Ogni settimana viene offerta agli agenti che operano nella zona una piccola “mordida”,1 ovvero una mazzetta, grazie alla quale i franeleros possono continuare a svolgere il proprio lavoro senza avere scocciature. “Quando arriva la pattuglia mi avvicino e gli passo qualcosa, come venti pesos, per la loro bibita. E così tutte le settimane. Sai, bisogna mettersi dentro la corruzione perché ti lascino lavorare, per continuare a gestire i parcheggi, e così gli diamo qualcosa per un refresco e stanno tranquilli”.2 La parola “refresco”, che significa bibita gassata refrigerante in spagnolo, viene usata spesso come sinonimo di mazzetta di piccola entità e sembra che venga anche adottato come termine per alleggerire a livello simbolico, almeno dal punto di vista del linguaggio, e per rendere più legittimabile l’azione del corrompere agli occhi degli attori coinvolti. Oltre a rappresentare una piccola somma di denaro, il termine refresco è anche metafora di una dimostrazione di riconoscimento del lavoro degli agenti e di ringraziamento per chiudere un occhio sulle irregolarità commesse dai franeleros. Uno stesso agente di polizia in turno alla Candelaria, al momento di ricevere la sua mordida, pur rifiutandosi di concedermi una intervista, mi spiega con tutta tranquillità in cosa consista quella che definisce la “tassa del poliziotto”: in cambio di non fare multe alle auto in doppia fila e di non segnalare le violazioni compiute dai franeleros, riceve qualche moneta per un refresco ogni settimana da parte di Mauricio. Nonostante le mazzette che vengono puntualmente offerte sia alla polizia federale che alla policia de transito, l’equivalente dei vigli urbani per intendersi, Mauricio mi racconta che in diciassette anni di lavoro alla Candelaria circa otto volte è stato prelevato dalla polizia, portato al tribunale amministrativo e multato per l’attività che svolgeva, pur essendo in possesso della credenziale che lo riconosce come “lavoratore non salariato”. “Praticamente ogni volta che cambiano gli agenti della pattuglia di zona mi portano via con la scusa che intralciamo la viabilità pubblica o che violiamo qualche regola. Poi col tempo ci conosciamo, iniziamo a dargli la mazzetta e non ci sono più problemi”, spiega. La multa corrisponde al salario minimo giornaliero (circa 70 pesos, cioè poco più di tre euro), che però è moltiplicabile per i giorni in cui viene accusata l’infrazione. Se la multa è particolarmente elevata, mi spiega Mauricio, ci si può mettere d’accordo, non richiedere la ricevuta e pagarne magari solo metà: “così va bene a me e al funzionario del tribunale che si intasca i soldi”. Anche con gli ufficiali e giudici del tribunale amministrativo Mauricio si preoccupa di costruire un legame, lubrificato a sua volta con la somministrazione di piccoli regali e mazzette: “tutte le volte che portano me o uno degli altri al tribunale amministrativo, vado a parlare col giudice e poi nel caso pago la multa. Mi piace andare d’accordo con tutti, con la polizia, con i vigili, con i rappresentanti della delegazione. E con il giudice amministrativo anche! Bisogna metterci la testa, e allora gli porto un regalino, un panino, un dolce, un refresco, una decorazione floreale. E cerco di farmi conoscere dal personale di tutti e tre i turni. Adesso già mi riconoscono, mi fan passare rapidamente e a volte è successo che il giudice mi dicesse semplicemente di aspettare che il poliziotto che mi aveva condotto lì se ne andasse per lasciarmi libero di andare via”.3
Le negoziazioni informali portate avanti dai franeleros, però, non sono rivolte solamente alle forze dell’ordine o alle autorità amministrative della Delegazione. Mauricio, infatti, da quando ha iniziato a lavorare alla Candelaria si preoccupa anche di intrattenere delle relazioni con la piccola delinquenza del quartiere affinché non si verifichino furti e rapine ai danni delle vetture e dei clienti nell’area dove opera la squadra di Mauricio: “quando ho cominciato ho dovuto iniziare ad avere a che fare anche con gli stessi ladri, con i chineros, con i ragazzi che rubano in giro per il quartiere. Li chiamavo e dicevo loro: tieni prendi venti pesos! Prenditi il tuo refresco però non rubare niente dai veicoli che stanno qui. Vai a rubare da un altra parte, qui no! E tanto meno alle persone che passano, e i clienti non li devi toccare! E così gli stessi delinquenti hanno iniziato a riconoscerci e se vogliono qualcosa semplicemente vengono qui e mi chiedono qualche pesos per un refresco, e io do loro dieci, quindici, venti pesos. […] Alla lunga è una cosa che ci è molto utile, perché qui ora non rapinano nessuno, non rubano gli specchietti o altre cose alle auto e ci lasciano lavorare in pace. Quindi si può dire che sia un buon lavoro sociale quello che facciamo. Perché la zona è molto brutta, ma la gente viene lo stesso, fa affidamento su di noi e ci lascia la propria auto, spesso con dentro cose di valore. I commercianti a volte vanno in giro con molto contante, ma si fidano di noi, sanno che qui non succederà nulla”4. Mauricio sostiene che del lavoro svolto in tal senso ne va a beneficiare l’intero quartiere, in quanto la loro presenza funge da presidio del territorio e contribuisce a rendere la strada meno insicura, pur sapendo che tale funzione non venga riconosciuta dall’esterno: “grazie a noi nella zona è diminuito l’indice di criminalità, ma i poliziotti non vedono il nostro lavoro così, come un lavoro sociale, pensano che non abbiamo nulla a che fare con l’indice di criminalità: e invece sì, ce l’abbiamo eccome a che fare! Perché ti ripeto noi diamo qualcosa per un refresco ai ladri, e loro non si fermano qua, sanno chi siamo. A noi non interessa nulla di più che il nostro lavoro, che è ciò di cui viviamo… E’ un qualcosa che ci tocca fare per difendere il nostro mestiere”.5 Mauricio ammette che le negoziazioni con i delinquenti siano portate avanti per il proprio interesse specifico, per difendere il proprio spazio di lavoro, ovvero per garantire un servizio sicuro e fidato ai propri clienti: però sa bene anche che i risvolti positivi ricadono su tutta la zona e su quanti la vivono quotidianamente. Persino qualche commerciante che vende nel mercato delle pulci e dell’usato della Candelaria riconosce l’utilità e il ruolo di controllo del territorio che hanno i franeleros di Mauricio: “la zona si dice che sia molto pericolosa, che ti possano derubare in ogni momento. Avevo molta paura le prime volte che venivo qui. […] Adesso che conosco molte persone vengo con tranquillità, so che posso contare sull’aiuto degli altri se succede qualcosa. I franeleros son belli grossi, se ci sono problemi si mettono in mezzo. E fidati che sono pure buoni con le mani!”6. Anche un altro ambulante de La Merced riconosce il ruolo che i parcheggiatori hanno nel mantenere la zona sotto controllo: “I cuidacarro si può dire che offrano un servizio per il posto dove lavorano, nel fare in modo che non succeda nulla ai veicoli e alle persone che passano lì; è come se fosse un presidio. In molti si lamentano del fatto che facciano pagare, certo, chiedono una quota, però ti stanno dando un servizio di sicurezza, per il tuo patrimonio che è la tua auto o la tua mercanzia”.7 Ciò che è certo è che un’area tanto stigmatizzata e tanto dimenticata dalle politiche pubbliche come la Candelaria, percepita dalle istituzioni come zona franca dell’illegalità da gestire come problema di ordine pubblico, sarebbe di gran lunga più pericolosa e violenta senza la presenza dei parcheggiatori.
Esiste però un’altra funzione sociale che svolgono i franeleros della Candelaria: l’inclusione sociale e lavorativa di soggetti marginali e con minori opportunità. A parte il capo, Mauricio, gli altri membri della squadra dei franeleros arrivano da situazioni sociali svantaggiate, da contesti familiari sgretolati, o da storie personali marcate dalla marginalità, dal disagio o dalla solitudine. Javièr, lo zio di Mauricio, è il primo a riconoscere che grazie al lavoro come cuidacarro abbia abbandonato una vita violenta e amara: nella zona da cui proviene, Chalco, nella periferia della zona metropolitana di Città del Messico, rapimenti, uccisioni e violenza di strada sono all’ordine del giorno. Lui stesso mi confida che in gioventù si arrabattasse tra lavori ai limiti della legalità, frequentasse brutti giri e girasse per le vie del suo quartiere sempre con una pistola nella fondina: ora è felice di avere lasciato quella vita al passato ed è riconoscente nei confronti del nipote per averlo portato a lavorare con lui. Anche gli altri franeleros, come mi racconta Mauricio, giungono da contesti sociali svantaggiati o da storie sfortunate: “al signore che vendeva riviste in giro qui a La Merced, dato che gli rubarono il carretto e rimase senza lavoro, gli parlai perché si unisse a noi a badare alle auto. […] Quello del turno del pomeriggio è una persona di cinquant’anni che si chiama Victor. Lui vendeva succhi di frutta a La Merced e rimase un giorno senza più lavoro. E diceva che allora voleva fare il ladro, il chinero, perchè vedeva che qui tutto il mondo rubava, che era facile e si guadagnava bene, e allora anche lui voleva farlo. Io l’ho invitato a lavorare con noi, e così gli passò l’idea di fare il chinero, di rubare. E pensa che ora sono già quindici anni che sta con noi e non si è mai rubato nulla, va d’accordo con le persone, si comporta bene con i clienti; cioè, è responsabile al pari degli altri”.8 Un altro dei componenti della squadra, Roberto, è un indigeno di una comunità delle montagne dello stato di Oaxaca, è arrivato a La Merced per unirsi alla sua comunità Triqui, vive insieme a loro nelle case in lamiera della Candelaria e da anni mantiene la sua famiglia grazie al lavoro di franelero. Per tutti, fare il parcheggiatore è l’unica occupazione e la principale fonte di introito che permette alle proprie famiglie di andare avanti. La storia di vita del capo squadra, Mauricio, è però ben diversa e rappresenta senza dubbio un caso sui generis. Cresciuto in una famiglia senza gravi problemi economici, figlio di un ufficiale di polizia, Mauricio riconosce di essere stato meno svantaggiato e sfortunato dei propri colleghi. Ha concluso la scuola ed ha avuto una formazione universitaria laureandosi in giurisprudenza, cosa piuttosto rara tra i lavoratori informali de La Merced, grazie all’apporto economico che gli forniva il mestiere di parcheggiatore: “grazie a Dio, è un lavoro dove si guadagna bene. Mi andava bene lavorando il fine settimana e solo a volte durante la settimana, fai che con dieci giorni di lavoro al mese mi pagavo i trasporti e la retta dell’università […] E’ grazie al lavoro di parcheggiatore che ho portato avanti i miei studi, che ho dato da mangiare ai miei figli, e nel frattempo davo anche qualcosa che mi avanzava ai miei genitori per aiutarli economicamente”.9 Conclusa con successo la carriera universitaria, non trovando un’occupazione nel campo del diritto e della giurisprudenza, Mauricio decide di proseguire a lavorare come franelero alla Candelaria. La sua storia si fa conoscere tra i commercianti e gli abitanti del quartiere, così che diverse persone iniziano a rivolgersi a lui per avere delle consulenze legali; in poche parole, la strada dei franeleros della Candelaria diviene anche una sorta di ufficio di consulenze legali a cielo aperto: “alcuni dei miei stessi clienti del parcheggio mi chiedevano se avessi concluso gli studi e mi chiedevano di aiutarli in qualche questione legale, mi chiedevano come fare in certe situazioni. E io proprio qui davo delle consulenze, ricevevo documenti da leggere, davo suggerimenti. Mi chiedevano di risolvere qualche faccenda, io mi portavo le carte a casa e lo facevo, ovviamente grazie alla forza degli insegnamenti avuta dai miei professori. Perché quando uno comincia ha dei dubbi, non sa bene le cose, magari sa bene la teoria, ma la pratica è un’altra cosa. Però io mi lanciavo, quindi ho iniziato a dare consulenze, acquisendo man mano sempre più esperienza in tema di diritto, e ricevendo anche qualcosa come ricompensa”.10 Tale posizione peculiare occupata da Mauricio, parcheggiatore e avvocato, gli permette di avere un etero-riconoscimento che lo posiziona a un gradino superiore rispetto ai suoi colleghi: “quindi, terminata l’università, la gente iniziò a rispettarmi di più, già non ero solamente il parcheggiatore, non ero più semplicemente Mauricio, adesso mi chiamano con il prefisso Lic che significa licenciado.11 E servo persino da esempio! Pensa che venne un giorno un signore che disse a suo figlio: guarda, lui è quello che ti dicevo, è Mauricio, vedi, ha studiato, se lui ha potuto tu anche potrai! Io da un lato pensavo quanto fosse bello che io potessi essere d’esempio, dall’altro mi faceva un poco arrabbiare, ossia, siamo tutti uguali! Spesso i parcheggiatori sono denigrati e insultati, senza sapere che molto probabilmente io ho un’istruzione più elevata di tutti i miei clienti”.12 Certamente Mauricio desidererebbe un impiego nel campo del diritto per poter proseguire il suo percorso di studi in ambito lavorativo, ma dall’altro lato avrebbe delle remore ad abbandonare i propri compagni: “continuo a lavorare qui per mancanza di altre opportunità di lavoro. Terminata la mia carriera di studi, ottenni un impiego alla Procura della giustizia, ma sfortunatamente non mi fecero restare. Feci gli esami per la Commissione Nazionale di Sicurezza, ma non mi presero. Alla fine è la mancanza di opportunità il problema qui in Messico, però proverò di nuovo a fare degli esami e spero di essere preso presto a lavorare in qualche istituzione, anche se qui, il lavoro di parcheggiatore non voglio lasciarlo, non voglio lasciare soli i miei compagni”.13 Oggi, la doppia affiliazione di Mauricio, ovvero la sua appartenenza allo stesso tempo al mondo del lavoro informale, ma con una formazione elevata che lo inscrive nel mondo del Diritto, non sembra creargli problemi, dato che, se ne avesse la possibilità, proseguirebbe entrambi i percorsi contemporaneamente, riconoscendo dignità ad entrambi. Tuttavia, quando era più giovane, ammette di aver provato un senso di frustrazione nello svolgere un mestiere considerato umile come quello del parcheggiatore abusivo. Col passare del tempo tale sensazione si è man mano affievolita, bilanciata dai vantaggi e dagli ingressi monetari che il lavoro di franelero poteva fornire: “all’inizio fu difficile per me. Considera che io stavo studiando alle superiori, mi passava del denaro la mia famiglia, ero uno che pensava a divertirsi e a stare con gli amici, oppure alle ragazze! Venire qui a lavorare, vestito male, col cappellino, in maglietta, con la mia franela lavando i veicoli, pensavo all’inizio che fosse umiliante per me. […] Pensavo: che vergogna! Lo vedevo come qualcosa di umiliante, come potevo io andare a lavare automobili? Però poi quando inizi a racimolare denaro, quando con i tuoi soldi puoi aiutare tua sorella malata, puoi aiutare la tua famiglia con le spese, beh, termini la giornata di lavoro e pensi che valga la pena stare qui”.14
Il caso di Mauricio aiuta a comprendere quanto il settore informale sia eterogeneo e come costituisca un bacino di accoglienza per soggetti con biografie molto diverse tra loro: la storia di vita di Mauricio è senz’altro atipica rispetto alla maggior parte dei commercianti informali de La Merced, ma non è nemmeno un’eccezione. Le parole di Mauricio dimostrano inoltre quanto cambi la percezione del lavoro informale, e dei franeleros nello specifico, a seconda della posizione sociale. Per Mauricio e i suoi colleghi, così come per gli altri commercianti della Candelaria, il mestiere del parcheggiatore è ugualmente dignitoso ad altre attività che si possono svolgere nel mercato del lavoro regolato. Anzi, nelle parole di Mauricio, si evince spesso un sentimento di orgoglio nell’aver messo in piedi in maniera autonoma un’attività remunerativa che dia di che vivere a diversi nuclei familiari e che permetta a lui di mantenere i propri figli. Quella che può essere definita come una forma di auto-imprenditorialità dal basso è per Mauricio ragione di vanto e motivo per sentirsi fiero della propria posizione acquisita, costruita e curata nel tempo con le poche risorse a disposizione.
Conclusioni
Il caso empirico dei franeleros conferma che il commercio informale rappresenti innanzitutto un fondamentale cuscinetto di salvataggio che impedisce ai settori di popolazione più vulnerabili di sprofondare nella povertà estrema, ma anche una valvola di sfogo per quanti incorrano in fallimenti nel mercato del lavoro formale; il caso dei franeleros mostra inoltre la funzione di integrazione e coesione del lavoro informale nel momento in cui permette il consolidamento dei legami sociali e incrementa la produzione di capitale sociale per i soggetti coinvolti in zone dove il tessuto sociale è fortemente sgretolato a causa del disinteresse e dell’abbandono politico da parte delle istituzioni. Ed infine, a partire da quanto dimostrato con il caso empirico, il commercio informale assume anche il ruolo di presidio del territorio garantendo un minimo di sicurezza, ordine e pulizia in spazi altrimenti totalmente lasciati in balìa della microdelinquenza. Ciononostante i franeleros, come tante altre categorie del commercio informale, vengono costretti a permanere in un limbo di illegalità che impedisce alla loro attività di essere riconosciuta formalmente. Più che altro, nelle politiche urbane neoliberiste ciò che sembra essere sotto attacco sono in generale gli usi popolari dello spazio pubblico, di cui il commercio informale rappresenta una delle parti più visibili: sembra che alcuni segmenti di popolazione perdano il proprio diritto di cittadinanza, venendo espulsi dai quartieri centrali dove risiedevano e lavoravano. Il caso del Plan Maestro conferma che i processi di urbanizzazione neoliberista di intervento nei centri storici si siano tradotti nella stigmatizzazione e nell’espulsione di gruppi vulnerabili, tra i quali spiccano soprattutto i lavoratori informali (Becker e Muller 2012; Crossa 2009). A Città del Messico il discorso pubblico risulta permeato da una forte discriminazione dei lavoratori informali, rappresentati come una cittadinanza di serie B, disordinati e immorali, che tengono in ostaggio la società e che incarnano l’antitesi del cittadino consumatore, che appare invece come l’abitante ideale della città rinnovata. Come era già avvenuto nei primi anni duemila per l’area del centro storico attorno alla piazza principale, lo Zócalo, di fronte a un’area presentata come pericolosa, con gravi problemi legati alla sicurezza e all’igiene, anche nel caso de La Merced si sviluppa un discorso revanscista da parte delle istituzioni che si traduce in una volontà di riscatto quasi messianico di fronte al degrado della zona. Lo stesso lessico utilizzato nei programmi di trasformazione urbana riflette tale atteggiamento: si parla di “riscatto”, “recupero”, “rivitalizzazione” de La Merced, come si trattasse di un corpo malato che ha bisogno di cure, o, ancora peggio, come di un cancro che va rimosso in quanto impedisce lo sviluppo turistico e commerciale. L’uso di tali termini cela una violenza simbolica contro le forme di abitare e gli usi dello spazio pubblico delle classi popolari, considerate non troppo velatamente responsabili dei problemi e del mancato sviluppo socioeconomico del quartiere: i poveri vengono considerati come forza residuale e minacciosa, colpevoli dei limiti al progresso urbano che insegue la città neoliberista contemporanea. I lavoratori informali si confermano come parte della popolazione degli espulsi della metropoli, vivendo in un perenne stato di ricollocazione, e abitando degli spazi dove gli orizzonti di possibilità sono costantemente negati. Eppure ciò che esprimono è semplicemente la propria volontà di esistere, il proprio diritto di abitare la metropoli, di esserne parte integrante e per di più funzionale alla riproduzione urbana. La città neoliberista, con le politiche del displacement, toglie di mezzo qualsiasi cosa intralci la strada al profitto, negando alla radice il diritto alla città, in quanto impone una visione univoca dello spazio urbano e impedisce la fruizione dello stesso da parte dei cittadini. L’attacco allo street-vending nei centri storici delle metropoli contemporanee rappresenta allora la negazione del diritto alla città per le classi svantaggiate ed in generale del diritto di esistenza della città informale, nel momento in cui vengono sanciti determinati usi dello spazio pubblico come non adeguati o illegali. Ovviamente bisogna anche fare attenzione a non idealizzare il mondo informale solo perché si sviluppa su piccola scala e si nutre e consolida grazie a reti di legami e a meccanismi di reciprocità: il concetto di ‘economia barocca’ mi ha aiutato sul piano concettuale proprio in tal senso, evidenziando anche nel corso del lavoro di campo che il mondo del commercio informale è innervato da spietati meccanismi semi-mafiosi di potere e non è affatto esente da forme di sfruttamento dettate dalla logica del profitto. Tuttavia, come nota Veronica Gago (2014), a muoversi in questi spazi sono soggetti diversi dall’homo oeconomicus canonico. Come quindi si può concludere a partire dal caso empirico studiato, il commercio informale, pur contenendo forme di sfruttamento o meccanismi clientelistico-mafiosi, si sviluppa in degli interstizi, delle borderlands, ovvero delle fratture regolatorie, dove si possono creare sperimentazioni inedite e nuovi modi di vivere la città. Tali esperimenti sono possibili soprattutto in quegli spazi lasciati liberi dalle logiche dominanti, in quelle ‘nicchie di autodifesa della società’, dove gli esclusi, i naufraghi dello sviluppo, i poveri, possano agire autonomamente, inventandosi costantemente nuovi escamotage per la sopravvivenza e organizzandosi combinando logiche diverse al fine di rispondere ai propri bisogni primari e simbolici. Ciò da cui sembra che siamo molto lontani, però, è comprendere che i margini delle nostre società siano territori non carichi di problemi da risolvere, quanto piuttosto di occasioni da non sprecare.
Nota metodologica
Il presente articolo è frutto del lavoro di ricerca svolto per la realizzazione dell’elaborato finale della laurea magistrale in Sociologia, ottenuta nel marzo 2017 presso l’Università degli Studi di Torino. Il lavoro di campo, finanziato da una borsa per la ricerca tesi all’estero dell’Università di Torino, è stato realizzato nell’arco di tempo di circa tre mesi, tra ottobre e dicembre del 2016, presso il quartiere de La Merced di Città del Messico. Il materiale empirico è stato raccolto grazie al mio affiancamento al lavoro ad alcune categorie di lavoratori informali del quartiere preso in analisi, in particolare dei parcheggiatori abusivi della Candelaria de Los Patos. Gli accordi presi in loco con il gruppo di franeleros prevedevano che lavorassi insieme a loro tutti i giorni per circa mezza giornata senza percepire una paga e quindi senza sottrarre alcuna somma dal loro totale di guadagni giornalieri. Gli strumenti di indagine adottati sono quelli tipici dell’approccio metodologico qualitativo delle scienze sociali: ovviamente la maggior parte del materiale empirico utilizzato giunge dall’osservazione partecipante e dalle interviste discorsive realizzate con diversi soggetti presenti nella vita quotidiana de La Merced. Una seconda parte del materiale empirico necessario all’indagine è stato prelevato grazie all’analisi dei documenti istituzionali e dei regolamenti che riguardano il lavoro informale a Città del Messico. L’immersione nel campo è stata possibile grazie alla presenza di un paio di soggetti, tra cui Mauricio, che hanno svolto il ruolo di gatekeeper della ricerca. Con un processo di campionamento a ‘valanga’ ho quindi potuto raccogliere le testimonianze orali di una parte delle soggettività presenti nel contesto che potessero aiutarmi a ricostruire il punto di vista e le percezioni dei lavoratori informali de La Merced. Un totale di dodici interviste sono state raccolte con commercianti informali, tra cui chachareros e franeleros, leader degli ambulanti, diableros,15 commercianti formali, avventori del mercato e residenti della zona. Le interviste sono state realizzate non prima di aver passato un mese lavorando nel mercato: difatti la conoscenza previa del contesto è fondamentale per comprendere quello che si ascolta e per poter raggiungere il punto di vista dell’altro è necessario prima essere a conoscenza delle condizioni che situano il soggetto lì dove si trova. Il tipo di intervista adottato è stato quello discorsivo: le interviste erano semistrutturate attorno a un nucleo di temi chiave che volevo indagare, ma in alcuni casi ho preferito affidarmi a un’intervista libera per lasciarmi guidare nel vivo delle biografie dei soggetti dagli intervistati stessi.
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1Per “mordida”, che letteralmente significa “morso” in spagnolo, s’intende la mazzetta usata per corrompere le autorità.
2Intervista a Mauricio, capo squadra dei franeleros della Candelaria. 26 dicembre 2016. (Traduzione mia)
3Ibid.
4Ibid.
5Ibid.
6Intervista a Guadalupe, commerciante del tiangui de chacharas della Candelaria. 16 novembre 2016. (Trad. mia)
7Intervista a Raul, commerciante ambulante de La Merced. 25 novembre 2016. (Traduzione mia)
8Intervista a Mauricio, capo squadra dei franeleros della Candelaria. 26 dicembre 2016. (Traduzione mia)
9 Ibid.
10 Ibid.
11 “Licenciado” si può tradurre come “laureato”. Di conseguenza il prefisso “Lic.” equivale a “dott.”.
12 Intervista a Mauricio, capo squadra dei franeleros della Candelaria. 26 dicembre 2016. (Traduzione mia)
13 Ibid.
14 Ibid.
15Trasportatori di mercanzie tramite l’uso di un carretto a due ruote chiamato “diablo”.