Colombia, altro che “Accordi di Pace”: intere regioni sono ancora in balia dell’anarchia criminale

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[di Marco Dalla Stella e Simone Scaffidi, da Repubblica] A livello nazionale la violenza diminuisce (-8% rispetto al 2016), ma nelle zone della coca gli omicidi sono aumentati del 12%, soprattutto nel Nariño. Alla fine del 2016 si applaudiva all’inizio di una nuova era, ma ancora oggi gruppi armati di diversa natura si contendono aree di produzione delle foglie di coca e preziose infrastrutture per la distribuzione

BOGOTA’ – Era novembre 2016 quando il Presidente colombiano Juan Manuel Santos e il generale della guerriglia FARC Timochenko firmavano, sotto lo sguardo attento di Raúl Castro, il testo degli storici Accordi di Pace che mettevano la parola fine a oltre cinquant’anni di sanguinoso conflitto interno. Gli osservatori internazionali applaudivano e una nuova era si apriva per la Colombia, celebrata anche dal Nobel per la Pace al mandatario colombiano. La realtà però è che ancora oggi vaste aree del Paese sono in balia di gruppi armati di differente natura, che si contendono sfere d’influenza, aree di produzione della coca e le preziose infrastrutture per la distribuzione. 

La produzione di foglia di coca ha subito un’impennata. Proprio nell’anno in cui si è concretizzata la resa delle FARC, l’aumento della produzione è stato del 52%. Si è passati così da 96.000 a 146.000 ettari di coltivazioni dedicati alla produzione di cocaina. Il dato allarmante emerge da un recente rapporto dell’UNODC, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine. Attualmente, la produzione ha di fatto raggiunto i livelli antecedenti al 2001, anno in cui il governo conservatore di Andrés Pastrana introdusse il controverso e indiscriminato utilizzo del glifosato, l’erbicida brevettato dalla multinazionale di biotecnologie agrarie Monsanto, per la distruzione delle coltivazioni.

I tentativi del governo di sostituire la coca con altre produzioni. Tentativi che non sta dando gli effetti sperati. Nelle regioni del Nariño, del Putumayo e della Valle del Cauca i costi di trasporto sono tali da rendere insufficienti i sussidi del governo e il controllo del territorio da parte dello Stato è ancora fortemente limitato. Laddove le FARC hanno abbandonato i territori sono avanzati narcotraffico e gruppi criminali per nulla interessati alla pace. La regione del Nariño, in particolare, è al centro del boom della coca negli anni degli Accordi di Pace. L’area attorno alla cittadina di Tumaco si è confermata la principale zona di produzione di foglia da coca e pasta base, anche in virtù dei collegamenti strategici con la Panamericana – che conduce ai mercati del Sud America – e con il porto – che apre le rotte verso il grande Nord, spesso con scalo a Buenaventura, il più grande porto colombiano.

Lo scetticismo dell’ex comandante delle Farc, Aldinever. «Noi chiedevamo una tassa ai produttori di coca, ma non siamo mai stati narcotrafficanti. Ora che abbiamo abbandonato quei territori la produzione di coca non solo continua, ma è aumentata». Dallo Spazio Territoriale di Reincorporazione e Formazione (ETCR) di Mesetas, l’ex guerrigliero nega ogni coinvolgimento della sua organizzazione col narcotraffico e prende le parti dei contadini cocaleros: «Una borsa di quaranta libbre di banane (circa 18 chili, ndr) viene venduta a 5.000 pesos. Per avere un margine di guadagno un contadino ne deve vendere almeno una decina, con alti costi di trasporto. Con appena un chilo di foglie di coca può farci due milioni».

L’anarchia criminale nelle aree abbandonate dalla guerriglia. La denuncia parte dalla Fondazione Pace e Riconciliazione, preoccupata che all’indomani degli Accordi di Pace l’attenzione internazionale sulla crisi in Colombia diminuisca. Tra gli attori che operano e proliferano attorno al commercio della coca, ci sono fazioni criminali come il Clan del Golfo (considerata l’organizzazione criminale più potente della Colombia); El Orden e la Guerriglia Unita del Pacifico; i gruppi dissidenti delle FARC, dell’EPL e dell’ELN e i gruppi paramilitari, al soldo dei grandi proprietari terrieri e del narcotraffico. In prima fila, per la spartizione del mercato della coca in questa area ci sarebbero anche i messicani del Cartello di Sinaloa.

Le prime vittime: i leader comunitari e gli attivisti per i diritti umani. Sebbene a livello nazionale la violenza sia diminuita (-8% rispetto al 2016), nelle regioni produttrici di coca gli omicidi sono aumentati del 12%. Al centro del ciclone c’è la regione de Nariño, dove la violenza è culminata l’ottobre scorso con l’omicidio del leader comunitario José Jair Cortés, seguito a quello di sette contadini. La sua morte si somma a quella di altri 125 attivisti per i diritti umani, cui vanno aggiunte 282 aggressioni e intimidazioni.

Non si può dunque parlare di post-conflitto in Colombia. Nonostante la comunitá internazionale applauda gli sforzi per far confluire le guerriglie marxiste-leniniste nel confronto politico disarmato, i problemi endemici che affettano la Colombia, la violenza generalizzata legata all’incremento della produzione di coca e le violazioni dei diritti umani nei confronti degli attivisti sociali e delle fasce della popolazione più vulnerabili, continuano a rappresentare il nodo più intricato del conflitto colombiano.

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