Ecuador, alla frontiera con la Colombia focolai di una nuova narco-guerra e c’è l’ombra dei cartelli messicani

di Marco Dalla Stella, da Repubblica.it

foto: Julio Estrella, El Comercio

Aumentano i pericoli per la popolazione civiIe, dopo il  sequestro di due cittadini ecuadoriani e la morte dei tre giornalisti. Cresce la tensione al confine fra i due paesi. Ma la risposta militare non sembra la soluzione

QUITO – Quando la mattinata del 17 aprile scorso il ministro degli interni ecuadoriano ha reso noto il sequestro di due persone da parte dello stesso gruppo responsabile del rapimento e della morte dell’équipe del giornale El Comercio, si è rotto definitivamente il mito dell’Ecuador come Paese di pace e s’è messa in luce una verità scomoda e troppo a lungo ignorata. Fra Ecuador e Colombia è tracciata una frontiera del crimine, dove il potere del narcotraffico sfida l’autorità di entrambi gli stati, che per decenni hanno trascurato intere comunità, lasciandole in balìa della povertà e della criminalità, come denunciano da tempo diverse organizzazioni umanitarie impegnate nel territorio. Ad avvantaggiarsi, oggi, sono i grandi cartelli messicani del narcotraffico.

Terra di nessuno, terra di narcos. Il rapimento dei due giornalisti e del loro autista, che si è consumato lo scorso 26 marzo a Mataje, nel cantone di San Lorenzo, è soltanto l’ultimo episodio di un’ondata di violenza che dall’inizio del 2018 colpisce la provincia di Esmeraldas, nel nord dell’Ecuador. Quest’area, bagnata dal Pacifico e cosparsa di isolotti di mangrovie che facilitano l’occultazione e il trasporto dei carichi di droga, in pochi mesi ha vissuto un susseguirsi di attentati e confronti armati che hanno portato alla morte di quattro militari e a decine di feriti. Era dagli anni Ottanta, quando era attivo il gruppo insurrezionale AVC, che non si viveva una simile violenza nel paese sudamericano.

Area ad alta concentrazione di narcos. San Lorenzo dista pochi chilometri in linea d’aria da Tumaco, in Colombia. Questa è considerata l’area con la più alta concentrazione di narco-coltivazioni al mondo, in cui operano almeno dodici fra gruppi armati irregolari, sigle del narcotraffico e dissidenze delle FARC. Fra quest’ultimi c’è il Fronte Sinisterra, un battaglione di un’ottantina di uomini al comando di Walter Patricio Arízala, conosciuto come El Guacho e indicato come principale responsabile del sequestro e dell’assassinio dei due giornalisti e del loro autista. Su di lui pende una taglia di 230 mila dollari. Per decenni i territori del Nariño e del Putumayo sono stati sotto il controllo della guerriglia delle FARC, ma alla loro deposizione delle armi per effetto degli accordi di Pace non è corrisposto un approdo delle istituzioni. Una situazione che ha avvantaggiato gruppi criminali d’ogni sorta.

Il rischio di un’escalation è concreto. Una volta informata la nazione del decesso dei giornalisti il presidente ecuadoriano Lenín Moreno si è affrettato ad annunciare l’avvio di importanti operazioni militari congiunte fra Ecuador e  Colombia. Secondo quanto dichiarato dall’analista ecuadoriano Fernando Carrión al giornale El Universo queste operazioni, le prime dall’inizio del conflitto colombiano oltre cinquant’anni fa, rischiano di condurre a una spirale di violenza simile a quella che ci fu durante il governo Felipe Calderón in Messico (2006-2012), quando la cosiddetta “guerra al narcotraffico” causò almeno 60.000 vittime e innumerevoli sparizioni forzate. Le manovre militari, che hanno già condotto all’arresto di nove persone, non rispondono infatti in nessun modo al problema dell’isolamento di intere comunità che vivono del tutto prive di servizi statali e dove la coltivazione della coca rappresenta l’unica fonte di sostentamento. Basti pensare che in una recente intervista a El Comercio Harold Burbano, coordinatore giuridico dell’organizzazione per la difesa dei diritti umani INREDH, ha denunciato che proprio a Mataje, dove si è consumato il sequestro dei giornalisti, la gente doveva affidarsi agli ospedali da campo della guerriglia. Perchè quello statale non era in funzione.

La lunga ombra dei cartelli messicani. La frontiera fra i due paesi sudamericani corre per oltre 700 km, tra la fitta giungla amazzonica, lunghi fiumi navigabili e povere comunità rurali. Un contesto ideale per la produzione di droga e il suo trasporto verso nord, dove i porti del Pacifico, fra cui quello più importante è Buenaventura, rappresentano un punto strategico di spedizione verso gli Stati Uniti. Uno scenario di crimine trasnazionale in cui, come confermato dal generale colombiano Mauricio Zabala ad AFP, eserciterebbero una grande influenza i cartelli messicani. Proprio lo scorso 7 dicembre il procuratore generale colombiano Néstor Humberto Martinez si è riunito con i suoi omologhi Jeff Sessions (Stati Uniti) e Alberto Elias Beltrán (Messico) per affrontare il problema della crescente presenza messicana su suolo colombiano. I narcos messicani, fra cui spiccano Zetas, Cartello di Sinaloa e Jalisco-Nueva Generación, starebbero cercando di prendere il controllo diretto della produzione colombiana. Se i governi di Ecuador e Colombia non sapranno rispondere alle istanze sociali ed economiche che, da decenni, provengono dalle aree periferiche dei rispettivi Paesi, le violenze di San Lorenzo potrebbero rappresentare soltanto l’inizio di una nuova, sanguinosa narco-guerra.

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