da Semana, 02/05/2018
La Colombia è come una moneta. Testa e croce. Parrebbe che il suo destino sia quello di vivere due realtà in uno stesso tempo. Da una parte gli alberi fioriscono, dall’altra appassiscono. La primavera della politica che si è risvegliata nelle piazze del paese come conseguenza della originale campagna elettorale di Gustavo Petro [1] convive con un’atomizzazione della violenza nei quartieri marginali delle città e nelle frontiere selvatiche del territorio. Mentre i candidati espongono i loro programmi di fronte a un festivo auditorio caraibico, altrove le bocche di fuoco uccidono alla cieca.
Ogni nazione vive la primavera della politica a modo suo. La “primavera politica” è un’atipica esplosione di idee e comportamenti di massa che si manifesta a partire da tutti i segmenti sociali e che cerca, in fin dei conti, di cambiare direzione a una nazione. Sono movimenti trasversali che coinvolgono persone di tutte le età e contesti socio-economici. Gente che è stufa di uno stato delle cose e che conserva la speranza che una nuova aria rinfreschi l’inquinata atmosfera politica.
Ogni nazione vive la violenza a modo suo o vi trova un surrogato. Talvolta questo lupo che ci portiamo dentro si sveglia da un lungo sonno e prende ad azzannare tutto quello che si muove attorno. Quando questo avviene la violenza diventa banalità e la vita costa meno di un proiettile. Certe società hanno compreso i pericoli della natura umana e hanno trovato nel patto sociale, nell’istruzione e nella cultura un surrogato a questo Mondo Cane.
In controtendenza rispetto alla storia, la primavera politica colombiana ha trovato posto nella campagna presidenziale del 2018. Non si perde nulla a riconoscere che l’applicazione e l’entusiasmo di Petro sono le cause di questa primavera politica che bene fa all’igiene mentale di una società come quella colombiana, dove la partecipazione politica non è stata altro che una questione di dare e prendere, un esercizio mediocre, uno spregevole commercio di voti e poltrone imbrattato, in moltissimi casi, di sangue.
Il Mondo Cane è l’altra realtà della Colombia. La violenza estesa nel territorio e indefinita nel tempo. Per colpa di di politici professionisti, che hanno anteposto il loro spilorcio presente a un futuro accettabile per il paese, la violenza – non una violenza qualsiasi – cresce su scala geometrica, acquista forma transnazionale, compromette le relazioni con i vicini, torna a narcotizzare le relazioni con l’Europa e gli Stati Uniti e miete innumerevoli vittime. Non c’è esercito o polizia al mondo che sia in grado di evitare con successo un crescente, caotico e disperso numero di gruppi con fasce conosciute e sconosciute al braccio.
Non c’è soluzione alla vista del Mondo Cane che si è appropriato del vuoto lasciato dalle Farc. E tantomento a coloro che hanno impiegato la loro retorica fraudolenta, i loro seggi nel Congresso e i loro alfieri nelle corti per portare il paese al bordo di un precipizio. Poco tempo fa il mondo vedeva la Colombia come un paese con in mano un accordo di pace. Oggi è vista come una minaccia per i suoi vicini, come un paese che inonda i porti del Pacifico, Atlantico e Mediterraneo con tonnellate di cocaina, un paese dove parte del suo territorio è controllato da gruppi criminali di portata globale che uccidono i locali e minacciano gli stranieri.
Humberto de la Calle [2] ha ripartito le responsabilità del disastro. Fra i segnalati ce ne sono alcuni che aspirano alla presidenza. I responsabili del disastro si offrono come salvatori. La violenza non si ferma. Oggi è a Tumaco e Catatumbo. È tornata nelle comunas di Medellin. A volte si chiama “Guacho”, “Clan del Golfo” o “Dissidenza”. Altri non hanno ancora un nome, ma armi e fasce alle braccia. Ne ammazzano uno e un altro prende il comando. Sparano, riscuotono, appoggiano candidature, assassinano leader sociali, corrompono, fanno feste, usano i social network, uccidono giornalisti, si uccidono fra di loro. I casini cominciano così: dei tipi diventano ricchi e potenti nelle foreste e poi minacciano di tagliare la gola a chi parla troppo a Bogotà. È un ciclo che si ripete e che si fa gioco.
È possibile che questa volta la primavera politica colombiana ottenga qualcosa, qualcosa che non ci faccia tornare al passato, al passato terribile
[1] Ex-membro della guerriglia dell’M19 e sindaco di Bogotà dal 2012 al 2013, oggi candidato alla presidenza per la coalizione di sinistra Movimento Colombia Umana.
[2] Capo del team di negoziatori del governo colombiano a L’Avana, oggi candidato presidenziale per il Partito Liberale
Cattiva Reputazione è una rubrica del blog lamericalatina.net che raccoglie le traduzioni degli articoli d’opinione pubblicati da Yezid Arteta Dávila per il giornale colombiano Semana. Le traduzioni sono a cura di Marco Dalla Stella.
Yezid Arteta Dávila (Barranquilla, Colombia, 1959) è un sociologo e avvocato. Negli anni dell’Università si è distinto come leader del movimento studentesco e a dicembre 1984 decide di entrare nella guerriglia delle Farc, fino a diventarne comandante del fronte29 e membro dello stato maggiore. A luglio 1996 viene catturato e condannato a 10 anni e 12 giorni di prigione.
Durante la sua permanenza in carcere si impegna nella lotta per la difesa dei diritti delle persone private della libertà e pubblica il suo primo libro di racconti, Trocha de Ébano y otros relatos, il racconto-reportage La Tramacua, un secondo libro di racconti, Crónicas de Convictos y Rebeldes, e il racconto De la Locura y Otros Crimenes.
Recupera la libertà a luglio 2006 e rinuncia alle armi per impegnarsi a favore della pace e della riconciliazione fra i colombiani e pubblica la sua opera Relatos de un convicto rebelde (2007).
A febbraio 2007 lascia la Colombia e si trasferisce in Catalogna, dove lavora come ricercatore alla Escuela de Cultura de Paz dell’Università Autonoma di Barcellona. Scrive con Alfredo Rangel, Medófilo Medina e Carlos Lozano Qué, Cómo, Cuándo Negociar con las FARC (2008) e ¡Descansen armas! (2014). Ad aprile 2017 ha pubblicato La mala reputación. ¿Izquierda para existir o para ganar?
Twitter: @Yezid_Ar_D