Masterclass della fine del mondo – Terza parte

Pubblichiamo qui la traduzione in italiano della terza parte del testo “Masterclass della fine del mondo”. Si tratta di una riflessione collettiva di un gruppo di compagne e compagni brasiliani sulle lotte, le loro contraddizioni, limiti e possibilità, in Brasile e non solo, durante gli ultimi quattro anni di governo Bolsonaro e soprattutto durante la pandemia. Qui la prima parte. Qui la seconda. Qui la quarta. Qui la quinta. L’originale in portoghese è consultabile su neblina.xzy. Articolo apparso anche su Euronomade.info.

Masterclass della fine del mondo – III

Sopravvivendo nel purgatorio

Il 3 novembre 2020 nella città di Macapá era in corso un forte temporale quando, tra un tuono e l’altro, la luce è andata via e i telefoni cellulari sono rimasti senza linea. La sub-stazione che trasmette energia a tutta lo stato di Amapá, che già da un anno aveva parte delle proprie strutture danneggiate, era crollata. Era l’inizio del più lungo blackout nella storia del paese, che sarebbe durato per tre settimane. La mancanza di elettricità ha interrotto la fornitura di acqua in gran parte della città, costringendo molti a lavare i piatti e i vestiti nei fiumi; l’instabilità delle reti di telecomunicazione ha lasciato i residenti isolati; è stato impossibile ritirare denaro dalle banche; si sono formate code ai benzinai e nei mercati si sono presto svuotati gli scaffali. Nel frattempo, le morti per Covid aumentavano esponenzialmente. Dopo quattro giorni al buio, il collegamento è stato ristabilito con un sistema di razionamento assolutamente irregolare e disomogeneo tra i quartieri ricchi e le periferie. L’oscillazione ha causato sovraccarichi: elettrodomestici si rompevano, distributori di benzina esplodevano e case prendevano fuoco.

Man mano che la crisi si prolungava e la disperazione si diffondeva, sorgevano “barricate, manifestazioni in tutta la città, molte strade con pneumatici in fiamme”.[1]Oltre a mitigare il buio della notte, uscire in strada e accendere un falò tra le macerie divenne l’ultima risorsa della folla per fare pressione sulle autorità mentre aspettava che la fornitura di energia elettrica si normalizzasse o che un trasformatore danneggiato fosse riparato. La polizia militare, che ha seguito il movimento da vicino, reprimendo e perseguendo i residenti, ha contato più di 120 proteste in tutto l’Amapá quando improvvisamente la pandemia è tornata al centro delle preoccupazioni. “Con lo scopo di ridurre i rischi di trasmissione del nuovo Coronavirus”, il governo statale ha decretato un coprifuoco notturno e ha posto il veto a “qualsiasi tipo di attività politica della gente nelle strade, nelle piazze, (…) anche se all’aperto, (….) come riunioni, cortei, comizi, bandierate, etc.”[2] La sovrapposizione di diverse crisi avvenuta nell’Amapá completa la distopia brasiliana, in cui lo Stato sabota le misure di isolamento sociale in nome della disciplina del lavoro ma allo stesso tempo innesca un lockdown per contenere la rivolta popolare.

 “Quello che è stato fatto in Amapá, la questione dell’elettricità, non ha niente a che vedere con il governo federale”, ha affermato il presidente nei giorni successivi. Che il governo si sarebbe esentato da qualsiasi responsabilità per il blackout – una negligenza, dopotutto, di un concessionario privato – era chiaro fin dall’inizio: con l’annuncio che qualsiasi danno alle proprietà personali non sarebbe stato risarcito, la popolazione stessa ha iniziato a organizzare raccolte fondi per aiutare a ricostruire le case di coloro che avevano perso tutto. Con all’hashtag #SOSAmapá, si sono diffuse in quel momento di collasso iniziative per donare generi alimentari ai quartieri più poveri.[3]

L’auto-organizzazione per sopravvivere nell’inferno si muoveva così in una zona ambigua tra la solidarietà e il trasferimento dei danni del disastro alla popolazione. Qualche mese dopo, quando il sistema sanitario è crollato nello stato di Amazonas, la commozione su internet ha portato a raccogliere donazioni in tutto il paese. Cercando di aggirare il sovraffollamento e la mancanza di rifornimenti nelle unità di terapia intensiva, le famiglie hanno improvvisato posti ospedalieri in casa per curare i parenti malati. Reti di amici e volontari si sono mobilitati per ottenere bombole di ossigeno direttamente dalle industrie della Zona Franca di Manaus, ridistribuite ai domicili dei pazienti in tutta la città. Se il conteggio quotidiano dei morti della pandemia nei telegiornali mette in evidenza quanto gran parte della popolazione sia considerata in fin dei conti sacrificabile, questo stesso incubo si mostra produttivo nella misura in cui spinge i vivi ad accettare un regime di totale disponibilità a qualsiasi lavoro: “stiamo diventando medici. Questo è quello che dobbiamo fare”, disse a un giornale una giovane donna che aveva appena imparato a somministrare l’ossigeno in casa ai famigliari che non avevano trovato posto in ospedale.[4] Shock dopo shock, la catastrofe permanente in cui siamo stati sospesi per due anni ora potenzia e normalizza i vecchi espedienti – informali, improvvisati, insicuri, illegali – di sopravvivenza nella guerra quotidiana. Ma questo superlavoro informe, che in un’altra epoca era stato identificato dai sociologi brasiliani come il motore nascosto della nostra modernizzazione capitalista, non riesce più da tempo ad animare nessuna speranza di sviluppo: in mezzo al collasso, non fa che ripristinare costantemente l’orizzonte negativo del confinamento in un’attesa disperata, estenuante e senza fine.

Nello stesso momento in cui radicalizza il “modo di vivere periferico del si salvi chi può”[5], la “decostruzione” come forma di governo[6] prepara il terreno per i movimenti di capitale che stanno infittendo le maglie del controllo e dando “scala a questa zona nebulosa”[7] dell’informalità. Da questo punto di vista, il sussidio d’emergenza è ben lontano dalla proposta di un “reddito universale”, tanto celebrata dagli analisti economici.[8] L’esperimento di trasferimento monetario reso possibile durante il 2020 è strettamente legato a un altro trasferimento: quello di costi e rischi dallo Stato e dalle imprese a una popolazione debitamente registrata e remunerata in dosi limitate.[9] Quando l’azione delle autorità nella pandemia si riduce a “una maggiore o minore indulgenza o un (piccolo) rafforzamento di una quarantena organizzata dagli stessi lavoratori”[10], è perché la gestione stessa dell’emergenza sanitaria è stata esternalizzata alla popolazione. Quell’“autogestione subordinata”[11] caratteristica del lavoro di piattaforma si dimostra qui una tendenza alla sopravvivenza nella catastrofe. Dalle maschere di stoffa fatte in casa e vendute per strada – una fonte di reddito per chi inventa sempre un modo diverso per tirare avanti – alle barriere sanitarie in cui i residenti si alternavano volontariamente agli ingressi dei piccoli paesi e delle zone turistiche,[12] la quarantena poteva esistere solo sulla base dell’arrangiarsi,[13] in una somma di sforzi scoordinati (e spesso contrastanti) che si traducevano, alla fine, in una gigantesca quantità di lavoro sporco.[14] Mentre i morti venivano sepolti, noi tutti collaboravamo – in isolamento o no – per mantenere in funzione la macchina urbana.[15]

Negli ultimi mesi del 2020 il sussidio di emergenza è stato gradualmente interrotto – con la progressiva esclusione di milioni di beneficiari e la riduzione del valore delle ultime rate – fino alla scadenza, in dicembre, dello stato di calamità pubblica e, con esso, del “budget di guerra” che ha reso possibile il più grande processo di trasferimento diretto di denaro mai realizzato in Brasile.[16] Con l’avanzare della seconda ondata di contagi, a partire dalla fine dell’anno, gli stati e i comuni sono tornati a imporre misure di restrizione del commercio e dei servizi per contenere il virus – e i lavoratori informali, ora senza lo stesso sostegno economico che ricevevano prima, sono stati spinti a una condizione limite. La situazione si è fatta ancora più allarmante nelle regioni turistiche, dove l’estate suole essere l’occasione per accumulare risparmi per il resto dell’anno.[17]

Le numerose manifestazioni anti-lockdown che hanno avuto luogo a partire da dicembre 2020 avevano una composizione sociale diversa dai cortei d’auto bolsonaristi di inizio della pandemia. Di fronte alla decisione giudiziaria che ha chiuso le spiagge, limitato il commercio e negato l’accesso ai turisti pochi giorni prima di Capodanno, la città di Búzios [nello stato di Rio de Janeiro, NdT] è stata teatro di proteste: centinaia di persone hanno circondato il tribunale fino a quando il provvedimento è caduto. Ad Angra dos Reis [sempre nello stato di Rio, NdT], i lavoratori hanno bloccato l’autostrada Rio-Santos e i negozianti hanno occupato il municipio contro l’inasprimento delle restrizioni.[18] In tutto il paese, i piccoli imprenditori scendevano in piazza insieme ai propri dipendenti, ma anche a venditori ambulanti, artisti, venditori al mercato, tassisti in motocicletta, musicisti, autisti di Uber, ecc. Questo movimento era sì una reazione alla fine del sussidio d’emergenza, ma allo stesso tempo rientrava nell’orbita del bolsonarismo, prendendo di mira le misure sanitarie dei governi locali. Nello stato di Amazonas, dove il 52% della forza lavoro è informale, il decreto di lockdown del 23 dicembre vietava espressamente la “vendita di prodotti dei lavoratori ambulanti” e “le fiere e le esposizioni artigianali”.[19] Sarebbe stato revocato tre giorni più tardi, dopo che una manifestazione sfuggì al controllo dei suoi organizzatori e scatenò una notte di barricate a Manaus.[20]

E fu proprio nelle settimane successive che il mondo intero assistette angosciato alla notizia di morti per mancanza di ossigeno negli ospedali dell’Amazzonia, devastati da una nuova e più contagiosa variante del virus. Come continuare a sostenere una rivendicazione la cui ovvia conseguenza è la morte di più persone? Nelle parole di un autista di Uber che organizzava le proteste, il movimento “non è diretto da negazionisti, tutti sanno che la malattia esiste e purtroppo molte persone sono morte”, ma “bisogna coesistere e sviluppare modi o strategie che possano garantire la continuità di tutte le attività economiche”.[21] Alla ricerca di una “stabilità tra economia e salute”, le manifestazioni indette al culmine della catastrofe ospedaliera hanno iniziato a rivendicare anche la distribuzione di “kit di Covid gratuiti”. In un nuovo giro a vuoto (ma verso destra) della crisi, la lotta contro il lockdown adottava la difesa del cosiddetto “trattamento precoce”, un riferimento generico alla prescrizione di farmaci senza efficacia dimostrata contro il nuovo coronavirus (e con possibili effetti collaterali dannosi per la salute), ma ampiamente adottati durante la pandemia nel paese.

Celebrata dal presidente nelle sue lives, somministrata negli ospedali pubblici e raccomandata dalle assicurazioni sanitarie e dai medici privati, la “profilassi” di medicine per malaria, pidocchi e vermi disponibile sugli scaffali delle farmacie era ancora, a metà del 2021, riconosciuta da quasi la metà dei medici brasiliani come utile per combattere il coronavirus.[22] La sorprendente capillarità di questa cura miracolosa, venduta da opportunisti di ogni tipo, più di un anno dopo l’inizio della pandemia, era segno che il suo appello trovava un’eco nella prima linea degli ospedali. Ora, se i “metodi alternativi” non sono mai stati efficienti per la guarigione dei malati, lo furono certamente per dare un po’ di sollievo ai pazienti disperati e per alleviare l’impotenza degli stessi operatori sanitari, sull’orlo del burnout di fronte a quella malattia sconosciuta e mortale. Da alternative improvvisate nella crisi, tali procedure sono diventate popolari proprio come “Protocollo di collasso” – titolo di una delle lives in cui medici dello stato di Pará hanno condiviso la loro drammatica esperienza durante la prima metà del 2020. Quando “le reti ospedaliere di Belém sono crollate e le farmacie hanno esaurito le scorte di medicinali”, i medici hanno dovuto improvvisare per salvare la vita dei pazienti. Nelle lives abbondano le esperienze delle assicurazioni sanitarie e delle cliniche pubbliche che confermerebbero che il trattamento precoce salva la vita e che sostengono che coloro che non hanno avuto accesso al trattamento hanno avuto la peggio. (…) Allo stesso tempo, i casi di pazienti che muoiono nonostante il trattamento sono visti come naturali: dopo tutto, “nessun trattamento è infallibile”.[23]

In forum chiusi su Facebook e Telegram, medici condividevano i risultati di terapie sperimentali e casalinghe, come la nebulizzazione di compresse di idrossiclorochina su parenti malati; discutevano su come blindarsi legalmente quando eseguono questo tipo di procedura clandestina; organizzavano campagne per il riconoscimento dei loro metodi e, soprattutto, creavano un’enorme rete di professionisti e pazienti. Più che una semplice ricetta – e una per di più gratuita, per fidelizzare il paziente – la prescrizione di ivermectina era spesso accompagnata da un invito a un gruppo WhatsApp.[24]

E in un paese in cui l’automedicazione è molto diffusa,[25] non è sorprendente che una gran parte della popolazione non abbia esitato ad aggiungere un’altra confezione alla propria cassetta dei medicinali. Anche per gli altri lavoratori tormentati ogni giorno dalla paura del contagio – circondati dalla morte di conoscenti, amici e familiari, e costretti a correre quotidianamente il rischio in autobus affollati[26] e al chiuso in uffici e mense – il movimento del “trattamento precoce” costituiva una “comunità” di cura e sicurezza, una macabra rete di sostegno mutuo che offriva loro qualche appoggio per mantenere la sanità mentale in mezzo al caos. Proprio come per il personale sanitario, la credenza nel “kit covid” funziona come un meccanismo soggettivo di difesa per “tollerare l’intollerabile”: la sofferenza del lavoro nella nuova normalità.[27] Il dispositivo ha aiutato a placare la disperazione e a sopportare la paura in un contesto di drammatico approfondimento dell’esperienza negativa del lavoro, da cui non era possibile disertare. In questo senso, il diffuso ricorso a farmaci senza efficacia provata sembra aver avuto non tanto con un rifiuto ideologico delle misure conosciute per combattere la pandemia ma piuttosto con la sofferenza generata dalla loro impraticabilità. L’impegno dei pazienti stessi – diretto o potenziale – nella causa dei “farmaci salvavita” non solo si aggiunse alle strategie di difesa psichica di migliaia di persone costrette a disattendere i più elementari protocolli sanitari per sopravvivere, ma conformò anche un senso politico all’indifferenza a cui la necessità li costringeva.[28]

Mentre molti medici aderivano volontariamente alla causa delle cure domiciliari (tratamento precoce), altri erano costretti a prescriverle e a prendere parte a questo tenebroso “campo di sperimentazione e diffusione della crudeltà sociale”[29]. Sottoporre i pazienti a ricerche sperimentali senza il loro consenso, prescrivere il “kit covid” per posticipare i ricoveri o anticipare la liberazione dei posti letto ordinando “dimissioni celesti” (cioè lo spegnimento delle apparecchiature e la somministrazione di un “trattamento palliativo”)[30] è stato il lavoro sporco necessario per chiudere i conti di una manciata di operatori sanitari, in una fosca dimostrazione di come la perversione possa diventare un sistema di gestione.[31]

Risulta quindi evidente come la calamità verde e gialla [cioè brasiliana, dai colori della bandiera nazionale, NdT] sia servita, su molti fronti, come un laboratorio avanzato per la gestione del collasso. Per quella che potrebbe essere, secondo il generale Edson Pujol, la missione più importante della sua generazione, l’esercito brasiliano ha centuplicato la produzione di clorochina nelle sue strutture, dopo aver fatto un immenso acquisto di materie prime.[32] Nella battaglia contro il virus, i meccanismi di difesa soggettiva rappresentavano armi di difesa nazionale in un’operazione che le Forze Armate ammisero essere essenzialmente psicologica: più che una cura per la malattia, recita un documento dell’esercito, si trattava di “produrre speranza per milioni di cuori afflitti dall’avanzata e dagli impatti della malattia in Brasile e nel mondo”.[33]

Che lo sforzo bellico richiesto dalla pandemia sarebbe sfuggito agli schemi del combattimento convenzionale è sempre stato evidente alla catena di comando globale nella lotta contro il nuovo virus: “più che di una guerra, si tratta di una guerriglia”, ha annunciato un direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel marzo 2020. L’affermazione riecheggia il paradigma del conflitto irregolare che da molto tempo guida i manuali militari, attenti al moltiplicarsi di dispute asimmetriche e frammentate, in cui non è possibile distinguere chiaramente le forze in campo come nel modello classico di “due eserciti nazionali, uno contro l’altro”. E la perdita di forma della guerra contemporanea – che assume sempre più un “carattere informale, dinamico, flessibile”, come spiega un colonnello brasiliano[34] – non è forse estranea alla perdita di forma del lavoro, ma un indizio del fatto che il confine stesso tra guerra e lavoro si è sfumato…

Nuova moda nelle accademie militari di tutto il mondo, il gergo della “guerra ibrida” descrive il rimescolamento tra operazioni di combattimento militare – aperte o coperte, condotte da forze esternalizzate – e il coinvolgimento di moltitudini di civili nei social network e nelle strade, come è avvenuto nell’ultimo decennio in Siria o in Ucraina.[35] È curioso che un’altra combinazione tra gestione algoritmica delle masse e coercizione diretta esercitata da operatori in outsourcing descriva il regime di lavoro di parte dei rider delle piattaforme. Tra software e capi in carne ed ossa, scopriamo una gestione “ibrida” del lavoro?

Non meno “ibridi” sono i contorni che sta assumendo a queste latitudini l’amministrazione di territori e popolazioni sempre più ingovernabili: è difficile distinguere gli insorti dalle forze dell’ordine, e governare si confonde con demolire. Nella sua ben riuscita operazione per garantire la legge e l’ordine in un paese collassato, il governo federale ha fatto affidamento su un’immensa rete per la diffusione del “trattamento precoce”, su movimenti sociali per la riapertura del commercio, delle chiese e delle scuole, e sulle donazioni comunitarie e aziendali per i più vulnerabili, senza mai rinunciare, tuttavia, alla potenza di fuoco delle guardie ufficiali e non ufficiali: nel primo anno della pandemia la polizia brasiliana ha stabilito un nuovo record di letalità.[36]

Alla fine, la paura che aveva portato il Congresso a difendere un sussidio d’emergenza superiore e più diffuso di qualsiasi altro programma del genere nel paese non era più giustificata: la capacità della popolazione “di arrangiarsi in situazioni di crisi”[37] trasformò lo scenario devastato in una “nuova normalità”, nonostante i redditi da lavoro in caduta libera, l’inflazione in crescita e il vertiginoso aumento della fame[38]. In tale contesto, il pagamento del sussidio sarebbe ripreso solo dopo mesi di indefinizione, a livelli più “realistici” – con portata ridotta e valori più bassi – e infine sostituito da una riformulazione del programma Bolsa Familia e da linee speciali di credito[39]. Ricalibrata, la politica del bonus in denaro continua a funzionare come “capitale circolante” della viração (là dove è per definizione impossibile separare ciò che è denaro “per investire e per sopravvivere”[40]) nell’arsenale di questa mobilitazione totale per il lavoro.

Anche se più al sicuro dai rischi della prima linea, l’esperienza di essere confinati a casa propria – in regime di telelavoro, frequentando lezioni a distanza, senza un impiego o addirittura monetizzando le proprie prestazioni nei games – non è sfuggita allo sforzo bellico. Da un lato, l’isolamento sociale ha approfondito il divario storico tra lavoratori qualificati e non qualificati, poiché la sicurezza dello smartworking non era un’opzione per più dell’80% della popolazione occupata.[41] Dall’altro, l’improvvisazione dell’ufficio o della lezione dentro casa, sostenendo costi che un tempo sarebbero ricaduti sui datori di lavoro, indica che le caratteristiche dell’informalità hanno invaso tutti gli strati della forza lavoro. Dalle resistenze silenziose al regime di sorveglianza e sovraccarico della didattica a distanza[42] agli insoliti scioperi degli streamer[43], le tensioni di questo telelavoro informe tra quattro mura hanno prodotto anche conflitti durante tutta la pandemia. Dilatando il confine tra gli spazi di lavoro e di riposo, la vita in quarantena è pressata da un’incessante richiesta di rimanere produttivi – tra corsi online per migliorare il curriculum ed esercizi fisici per mantenersi in forma – “in un mix di ritmi da mattatoio con lives sulle sfide della paternità e insegnamenti su ‘come vivere da soli e rimanere felici’”[44].

Nelle strade o in casa, coloro che vivono la vita come una guerra, “lavorando al ritmo della morte” – soccombendo un po’ ogni giorno – sono già mezzi morti. E “non esiste lockdown per i morti-vivi: essi attraversano le barriere, non si preoccupano di morire di nuovo”.[45] Ma l’apocalisse zombie, nella cosmologia di Hollywood, è anche l’immagine dell’insurrezione.[46]


[1] Amazônia Real, “População de Macapá se revolta com apagão”, YouTube, 8 novembre 2020. Per un resoconto delle mobilitazioni durante il blackout, vedi Transe, “SOS Amapá – O apagão e as lutas”, YouTube, 19 novembre 2020.

[2] “Decreto Nº 3915 de 17/11/2020”, Diário Oficial do Estado do Amapá, 17 nov. 2020.

[3] La catastrofe che ha colpito Amapá può anticipare, su scala minore, lo scenario di collassi energetici a venire – vedi il falso allarme per nuovi blackout in cinque stati brasiliani nella seconda metà del 2021, a causa della siccità (Alexa Salomão, “Governo emite alerta de emergência hídrica em 5 estados e vai criar comité para acompanhar setor elétrico”, Folha de S. Paulo, 27 maggio 2021). In un contesto di emergenza climatica, di cui la crisi idrica è solo una delle componenti, non sorprende che i costi e i rischi siano a carico della popolazione – a questo convergono sia la malattia ambientale che i rimedi prescritti da governi e organizzazioni internazionali, come la “carbon tax: una tassa aggiuntiva specifica per i prodotti inquinanti (…) altamente regressiva” (Antonio Celso, “Dirigindo pelo retrovisor”, Passa Palavra, 15 agosto 2021). Vale la pena ricordare che la creazione di un’imposta di questo tipo è stata la causa scatenante del movimento dei “gilet gialli” in Francia nel 2019.

[4] Agência France Press, “A busca desesperada por oxigênio em Manaus para salvar pacientes em casa”, Estado de Minas, 18 jan 2021.

[5] Ludmila C. Abílio, “Breque no despotismo algorítmico: uberização, trabalho sob demanda e insubordinação”, Blog da Boitempo, 30 jul. 2020.

[6] Sulla forza politica del non governo come modalità di governo, una sorta di “governo della sospensione” inaugurato da Bolsonaro nel suo “tentativo rivoluzionario”, si veda Miguel Lago, “‘Batalhadores do Brasil…’”, Piauí, mai. 2021.

[7] Tom Slee, Uberização: a nova onda do trabalho precarizado, São Paulo, Elefante, 2017

[8] Raquel Azevedo, “Qual a origem de uma renda sem contrapartida?”, Passa Palavra, 14 set. 2020 e Nelson Barbosa, “Renda básica universal”, Folha de S. Paulo, 27 ago, 2022.

[9] Si può dunque capire che, durante il blackout in Amapá in novembre, il pagamento del sussidio – ridotto in quel momento a 300 reais – sia stato straordinariamente mantenuto a 600 reais per decisione del Tribunale Supremo Federale. Vedi José Antonio Abrahão Castillero, “Amapá: le proteste garantiscono un aiuto di emergenza di 600 real”, A Comuna, 15 novembre 2020.

[10] Organizzati in “reti di quartiere in edifici, movimenti di baraccopoli, reti di solidarietà tra occupazioni urbane” ecc. (Victor Hugo Viegas Silva, “Quem fez e faz a quarentena no Brasil? Os trabalhadores!”, Crônicas do Titanic, 21 ago. 2020).

[11] Il termine è, ancora una volta, di Ludmila Abílio (“Uberização: Do empreendedorismo para o autogerenciamento subordinado”, Psicoperspectivas, v. 18, n. 3, nov. 2019).   

[12] Vedi Alfredo Lima, “Barreira sanitária é vida, flexibilização é morte!”, Passa Palavra, 21 giugno 2020 e Renato Santana e Tiago Miotto, “Povos indígenas reforçam barreiras sanitárias e cobram poder público enquanto covid-19 avança para aldeias”, Conselho Missionário Indigenista, 29 maggio 2020. Per un’intervista ai residenti che hanno partecipato a uno di questi blocchi nella regione di Trindade, vedi Invisíveis, “Paraty: barreira sanitária e retomada territorial”, Passa Palavra, 27 settembre 2020.

[13] Anche prima che il coronavirus sbarcasse in Brasile, l’immagine di una “bricolage quarantine” era già stata usata per analizzare come le “scarse connessioni tra tutti i livelli di governo” hanno portato a sforzi contrastanti per affrontare il focolaio iniziale del virus in Cina, dalla “repressione dei medici ‘denuncianti’ da parte delle autorità locali” alle misure sanitarie applicate in modo apparentemente casuale da ogni località, fuori dal controllo del potere centrale. (Chuang, “Contagio sociale”, Centro de Estudos Victor Meyer (CVM), 17 marzo 2020). La mancanza di fiducia “che lo stato avrebbe avuto la capacità di contenere efficacemente il virus” ha portato a una “mobilitazione massiccia in risposta alla pandemia, con gruppi di volontari che fornivano tutti i tipi di servizi, sia per contenere il contagio che per aiutare la gente a sopravvivere”, così come i blocchi da parte dei residenti all’ingresso dei villaggi dell’interno (vedi l’intervista con Chuang di Aminda Smith e Fabio Lanza, “The State of the Plague”, Brooklyn Rail, settembre 2021).

[14] Vedi Paulo Arantes, “Sale boulot”, in O novo tempo do mundo, cit. Nei contorni mal definiti della “zona grigia” della gestione privata della sofferenza, c’è anche lo specialista in malattie infettive che ratifica – al servizio della “consulenza” firmata in grandi contratti con questo o quel rinomato ospedale – il cinico “selezionamento” delle scuole private che, anche al culmine della pandemia, “trovavano il modo” di riempire di studenti le loro aule mal ventilate; c’è l’insegnante, rassegnato al ritorno in presenza e costretto a chiudere un occhio sull’inevitabile violazione dei protocolli sanitari tra gli studenti per garantire, precariamente, il proseguimento delle lezioni; c’è l’autista autonomo del pulmino scolastico che, senza bambini da portare e senza soldi, ha trovato una fonte di reddito temporaneo nel trasporto dei defunti nel mezzo dell’aumento di di morti nella città di San Paolo. (Vedi Roberto Acê Machado, “Esse ano não tem bandeirinha”, Le Monde Diplomatique Brasil, 10 febbraio 2021; Aline Mazzo, “Vans escolares vão transportar mortos por Covid até cemitérios de SP”, Folha de S. Paulo, 29 marzo 2021; e anche Carolina Catini, “O brutalismo vai à escola”, Blog da Boitempo, 13 settembre 2020).

[15] Il ruolo della viração nel riprodurre questo collasso infinito è evidente per il presidente di un istituto di ricerca, uno studioso della cosiddetta “nuova classe media brasiliana”, secondo il quale, “è la favela che ha impedito al Brasile di paralizzarsi nella pandemia. ‘La persona che raccoglie la spazzatura, l’assistente infermieristico, il collettore e l’autista dell’autobus sono abitanti della favela. Le classi A e B hanno potuto in quarantena solo perché gli abitanti della favela continuano a lavorare” (Henrique Santiago, “Favela S/A”, UOL, 13 dicembre 2020).

[16] Victor Hugo Viegas Silva, “O Auxílio Emergencial não acabou em janeiro. Foi acabando aos poucos – e sem chance de defesa”, Crônicas do Titanic, 28 jan. 2021.

[17] Per un’osservazione sul ruolo dele nuove tecnologie, da Airbnb all’internet banking, nella viração di spiaggia durante questo “periodo de ultravalorizzazione temporanea dei terreni”, vedere Três trabalhadores de férias, “Uma tarde na praia”, Passa Palavra, 28 jan. 2019.

[18] Victor Hugo Viegas Silva,, “A revolta de Búzios contra o lockdown e a conexão evangélica x #AglomeraBrasil (2)”, Crônicas do Titanic, 4 jan. 2021.

[19] “Decreto N.°43.234, de 23 de dezembro de 2020”, Diário Oficial do Estado do Amazonas, 23 dez. 2020.

[20] Victor Hugo Viegas Silva, “A revolta popular de Manaus e os dilemas do lockdown (3)”, Crônicas do Titanic, 6 jan. 2021.

[21] Serafim Oliveira, “Movimento Todos pelo Amazonas e a Covid-19 – O risco da suspensão das atividades causar perdas econômicas e a ascensão dos movimentos populares”, O Conservador, 4 jan. 2021.

[22] Secondo un sondaggio dell’Associazione brasiliana dei medici, il 34,7% dei medici credeva ancora in una certa efficacia della clorochina nel giugno 2021, e il 41,4% aveva fiducia nell’uso dell’ivermectina per il trattamento o la prevenzione del covid-19. (Paula Felix, “Pesquisa diz que 1/3 dos médicos ainda acredita na clorochina, comprovadamente ineficaz contra covid”, O Estado de S. Paulo, 2 fev. 2021).

[23] Victor Hugo Viegas Silva, “‘A culpa não é nossa’ e ‘precisamos fazer alguma coisa agora’: Entre a luta do lockdown e o tratamento precoce há um fio tênue”, Crônicas do Titanic, 12 abr. 2021.

[24] Victor Silva, “O que dizem no WhatsApp médicos a favor da cloroquina”, Folha de S. Paulo, 19 jun. 2021.

[25] “Automedicação é um hábito comum a 77% dos brasileiros”, G1, 13 mai. 2019.

[26] Nella pandemia, gli autobus sono, più che mai, veicoli di morte: a San Paolo, quelli che muoiono di più sono “quelli che andavano al lavoro e facevano lunghi viaggi con i mezzi pubblici” come mostrato da Raquel Rolnik e outros, “Circulação para trabalho explica concentração de casos de Covid-19”, LabCidade, 30 jun. 2020.

[27] Ver Christophe Dejours, A banalização da injustiça social, São Paulo, FGV, 2000.

[28] Il discorso cosiddetto “negazionista” e le sue panacee sono in sintonia con un mondo in cui “la disuguaglianza rende la quarantena un lusso insostenibile per i più poveri”, come ha osservato Rodrigo Nunes. “Se in altri tempi il sacrificio era presentato come un modo per migliorare la vita, ora è un fine in sé. (…) c’è un senso in cui è possibile affermare che le fantasie dell’estrema destra offrono, anche se in modo irrazionale, una risposta ragionevole alla follia che stiamo costruendo. Ridurre il potere che queste fantasie hanno di parlare alla gente alla stregua di semplici fake news è un tentativo di negare questo fatto fondamentale”. (“O presente de uma ilusão: estamos em negação sobre o negacionismo?”, Piauí, marzo 2021).

[29] Paulo Arantes, “Sale boulot”, cit. Nella seconda metà del 2021, i lavoratori di Prevent Senior hanno denunciato pubblicamente una serie di pratiche irregolari che sono stati costretti ad adottare nel trattamento dei pazienti con covid-19. La compagnia occupa una nicchia di mercato formata dagli anziani che non possono permettersi i valori esorbitanti delle assicurazioni sanitarie per la loro fascia d’età, ma riservano come possono le loro risorse per assicurarsi un’assistenza medica privata. Con tariffe ridotte e un pubblico di riferimento che richiede servizi ospedalieri più frequentemente, l’azienda ha sempre fatto ricorso a “modi” per evitare o posticipare procedure costose per mantenere la redditività. Durante la pandemia, che ha colpito più duramente gli anziani, queste pratiche hanno assunto contorni ancora più macabri. Anche altri operatori, come HapVida e alcune unità di UniMed, sono stati denunciati. Oltre ai reportage dell’epoca, si veda il podcast “Prevent Senior não deveria ter sido aberta, diz especialista”, con intervista a Ligia Bahia di Maurício Meireles e Magê Flores, Café da manhã, Folha de São Paulo, 11 ottobre 2021.

[30] Arthur Rodrigues, “Direção da Prevent cobrava ‘altas celestiais’ para liberar leitos a pacientes VIP, diz advogada em CPI”, Folha de S. Paulo, 21 out. 2021.

[31] Il “Male” si rappresenterebbe oggi come un sistema di gestione, come un principio organizzativo: delle imprese, dei governi, di tutte le istituzioni e attività, insomma, che, organizzate secondo questo stesso principio, si sono convertite in centri diffusori di una nuova violenza e incubatori dei suoi agenti, i cosiddetti collaboratori del nostro tempo.” (Paulo Arantes, “Sale Boulot”, cit. p. 102).

[32] Exército Brasileiro, “Mensagem do Comandante do Exército – COVID-19”, YouTube, 24 mar. 2020.

[33] Lisandra Paraguassu, “Em ofício, Exército defendeu sobrepreço de 167% em insumos da cloroquina por necessidade de ‘produzir esperança’”, Reuters, 22 dez. 2020.

[34] Alessandro Visacro, Guerra Irregular, São Paulo, Contexto, 2009. Con l’esperienza sul campo ad Haiti e nelle favelas brasiliane, l’ufficiale ha aggiornato la sua riflessione in A guerra na Era da Informação, São Paulo, Contexto, 2019.

[35] Prima di tornare alla ribalta con l’escalation del conflitto in Ucraina, il termine ‘guerra ibrida’ si è diffuso in occasione dell’ondata di proteste nei paesi arabi, a partire dal 2011, ed è diventato ampiamente utilizzato da governanti e analisti per ridurre i sempre più frequenti sconvolgimenti sociali in tutto il pianeta a oscure trame geopolitiche (vedi Jonas Medeiros, “‘Guerras Híbridas’, um panfleto pró-Putin e demofóbico”, Passa Palavra, 28 jan. 2020). Se il discorso su una “guerra ibrida” condotta dalle agenzie dell’imperialismo yankee ha alimentato la fantasia ufficiale della sinistra sul processo politico brasiliano post-2013, l’antropologo Piero Leirner ha osservato come la stessa nozione corra con un segno invertito all’interno delle Forze Armate – interessate a un presunto progetto occulto di egemonia culturale condotto dalla sinistra “gramscista” fin dagli anni ‘80 nel paese. Il ricercatore sostiene che negli ultimi anni lo stesso esercito brasiliano è arrivato a farsi guidare dai principi del conflitto ibrido per condurre una campagna interna, in cui le elezioni del 2018 rappresenterebbero un episodio chiave (O Brasil no espectro de uma guerra híbrida, São Paulo, Alameda, 2019).

[36] La polizia brasiliana ha ucciso 6.416 persone nel 2020. Tra le vittime, il 78,9% era nero. Il 2021 è iniziato con il secondo più grande massacro nella storia di Rio de Janeiro, compiuto dalla polizia civile nella favela Jacarezinho. Vedi Fórum Brasileiro de Segurança Pública, 15º Anuário Brasileiro de Segurança Pública, 2021.

[37] Come lo stesso presidente di un istituto di ricerca descrive lo “slancio imprenditoriale” della favela (Henrique Santiago, “Favela S/A”, cit.).

[38] Leonardo Vieceli, “Pandemia empurra 4,3 milhões para renda muito baixa nas metrópoles brasileiras”, Folha de S. Paulo, 6 jul. 2021.

[39] Wellton Máximo, “Beneficiários do Auxílio Brasil terão acesso a crédito especial”, Agência Brasil EBC, 12 ago. 2021.

[40] “Non ha senso dire al favelado di separare ciò che è (denaro) di risparmio e ciò che è per la sopravvivenza famigliare. Se hai intenzione di risparmiare per avviare un’impresa, non risparmierai mai”, spiega Celso Athayde, CEO da Favela Holding (Henrique Santiago, “Favela S/A”, cit.).

[41] Tra maggio e novembre 2020, il numero medio di persone che lavorano a distanza o lontano a causa a causa della quarantena corrispose al 17,6% della popolazione occupata in Brasile (circa 14,5 milioni di persone). I lavoratori che hanno potuto di svolgere le loro attività lavorative a distanza “erano per lo più composti da persone con un’istruzione superiore completa. Con meno intensità, ma comunque responsabili della maggioranza delle persone in smartworking, si ha il genere femminile, il colore/razza bianco, la fascia d’età da 30 a 39 anni e la relazione lavorativa nel settore privato”. Inoltre “si osserva, sia per il settore privato che per quello pubblico, una forte partecipazione di insegnanti” (Geraldo Sandoval Goés e outros, “Trabalho remoto no Brasil em 2020 sob a pandemia do Covid-19: quem, quantos e onde estão?”, Carta de Conjuntura, n. 52, IPEA, 2021).

[42] L’implementazione emergenziale della didattica a distanza ha incontrato seri ostacoli materiali e sociali, come la mancanza di strutture e attrezzature nelle case degli alunni (“Ensino remoto na pandemia: os alunos ainda sem internet ou celular após um ano de aulas à distância”, BBC Brazil, 3 mai. 2020). Allo stesso tempo, ha accelerato un processo di ristrutturazione del lavoro docente che era già in corso, esacerbando le tensioni, come registrato nelle testimonianze di insegnanti di reti private e pubbliche raccolte nel bollettino A Voz Rouca durante i primi mesi della pandemia (“Diários de Quarentena”, Passa Palavra, 25 mai. 2020 e Professores Autoconvocados, “Pequeno manual de resistência no EaD”, Passa Palavra, 28 apr. 2020, sulla ristrutturazione produttiva nel mondo dell’istruzione e dell’università si veda, per esempio, Carolina Catini, “O trabalho de educar numa sociedade sem futuro”, Blog da Boitempo, 6 jun. 2020). Dall’altra parte della videochiamata, gli studenti riuscivano a connettersi testavano anche il loro margine d’azione in un ambiente trasformato, creando “nuove forme di sabotaggio scolastico nella DAD” (per una raccolta di alcune di queste tattiche da parte di “alcuni maleducati”, vedi Boletim do GMARX-USP, n. 22, 14 mai. 2020). È stato anche attraverso gli strumenti online che gli insegnanti delle scuole pubbliche hanno organizzato degli scioperi, già nel 2021, per boicottare il ritorno in classe di persona prima della vaccinazione. Durante la seconda ondata della pandemia, cortei in macchina di insegnanti in sciopero e manifestazioni di riders si sono persino riuniti a San Paolo – nonostante il divario di realtà sociale e di linguaggio, gli striscioni di entrambe le categorie convergevano nella richiesta del vaccino (João de Mari, “Professores e entregadores de app se unem em greve contra retorno presencial e pedem vacina contra a Covid”, Yahoo! Notícias, 16 abr. 2021).

[43] Nell’agosto 2021, gli streamer e viewer della piattaforma Twitch, acquisita nel 2014 da Amazon e ampiamente utilizzata per lo streaming in diretta di partite e campionati di games, si sono uniti per una giornata di “blackout” del servizio, contro la riduzione del 66% del valore dei subs (cioè dei pagamenti) dei canali brasiliani. Come nei movimenti dei rider, le rivendicazioni di questi produttori di contenuti uberizzati evitano la grammatica lavorista della sinistra, criticando i progetti di regolamentazione e la pressione fiscale (vedi Nell’agosto 2021, gli streamer e gli spettatori della piattaforma Twitch, acquisita nel 2014 da Amazon e ampiamente utilizzata per lo streaming in diretta di partite e campionati, si sono uniti per una giornata di “blackout” del servizio, contro la riduzione del 66% del valore dei subs (cioè dei pagamenti) dei canali brasiliani. Come nei movimenti di consegna delle app, le rivendicazioni di questi produttori di contenuti uber-organizzati evitano la grammatica del lavoro di sinistra, criticando i progetti di regolamentazione e la pressione fiscale (vedi Alexandre Orrico e Victor Silva, “Por dentro da greve de streamers da Twitch no Brasil”, Núcleo, 23 ago. 2021).

[44] Vladmir Safatle, “Não falar”, El País, 10 ago. 2020.

[45] Isadora Guerreiro, “Lockdown: o problema e o falso problema”, Passa Palavra, 15 mar. 2021.

[46] Comitê Invisível, Aos nossos amigos: crise e insurreição, São Paulo, N-1, 2016.

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