[di Marco Dalla Stella e Simone Scaffidi, da Repubblica] Quella del Meta è una regione fondamentale per l’organizzazione rivoluzionaria nata nel 1964. Qui infatti agiva il Blocco Orientale, che poteva contare almeno un migliaio di combattenti. E qui è stata creata la zona veredale di transizione e normalizzazione piú grande del Paese, dove piú di 500 combattenti si sono riversati per consegnare le armi e iniziare una nuova vita nella legalità
MESETAS (Colombia) – Qui una volta era tutta coca. Mariana Páez è stata una delle piú importanti ed influenti guerrigliere delle Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane. È caduta in combattimento ad aprile del 2009, vent’anni dopo essere entrata nelle file della guerriglia. A lei è intitolata la zona di transizione e normalizzazione “Mariana Páez” di Mesetas, nella regione del Meta, 250 chilometri a sud di Bogotá. Per raggiungerla partiamo prima dell’alba, ma arriviamo soltanto a mattinata ormai conclusa, al termine di un dissestato percorso in motocicletta fra sterminati allevamenti di zebú. «Qui, una volta erano tutti campi di coca, poi il governo ha iniziato a spargere il diserbante e la gente se n’è dovuta andare». Lo scoppiettare del motore di una vecchia moto Kawasaki quasi copre le parole di John, uno dei nostri autisti, mentre con ampi gesti della mano ci indica i campi circostanti.
Lo spazio territoriale più grande del Paese. Quella del Meta è storicamente una regione fondamentale per l’organizzazione rivoluzionaria nata nel 1964. Qui infatti agiva il Blocco Orientale, anche conosciuto come Blocco Comandante Jorge Birceño, che poteva contare almeno un migliaio di combattenti agli ordini del famoso “Mono” Jojoy. Non stupisce, quindi, che proprio nella regione del Meta sia stata creata la zona veredale di transizione e normalizzazione piú grande del Paese, dove piú di 500 combattenti si sono riversati per consegnare le armi e iniziare una nuova vita nella legalità, come previsto dagli Accordi di Pace firmati a fine 2016.
La diaspora degli ex guerriglieri. Quando lo raggiungiamo, però, il grande accampamento sembra semi-abbandonato. Poche persone si aggirano furtive, altre ci scrutano dalle finestre delle case prefabbricate. Secondo quanto stabilito dagli accordi, le venti zone veredali (ZVTN) e i sette punti transitori di normalizzazione (PN) si sono trasformati il 31 maggio 2017, 180 giorni dopo l’implementazione degli accordi, in spazi territoriali di formazione e reincorporazione (ETCR). Con il passaggio da ZVTN a ETCR è venuto meno l’obbligo per gli ex-guerriglieri di risiedere all’interno di queste zone e sono tanti quelli che hanno deciso di fare ritorno alle proprie famiglie, andare a cercare lavoro e, in alcuni ma significativi casi, arruolarsi in altri eserciti irregolari. Oggi ad essere rimasti nello spazio territoriale di Mesetas non sono piú che un centinaio di persone.
Nuove comunità sorgono attorno agli spazi territoriali. Johnier Montaños, presidente della Giunta Direttiva dello Spazio Territoriale di Icononzo, è però convinto che, nonostante la diaspora, all’interno degli spazi si stiano creando vere e proprie comunità. «È necessario agevolare l’acquisto da parte dello Stato dei terreni. Qui c’è la volontà di creare una comunità, di andare avanti. Abbiamo già in mente di smontare tuttoe costruire case vere». Mauricio Fulano, responsabile per la Presidenza della Repubblica degli Spazi Territoriali della regione del Meta, non è della stessa opinione e a Bogotà ci racconta la sua versione : «Per noi gli accampamenti dovevano essere qualcosa di transitorio. Le Farc invece pensavano agli accampamenti come agglomerati di case. Ci siamo quindi accordati e siamo arrivati a un compromesso: non sarebbero state case, ma neppure tende. La disputa che abbiamo avuto con le Farc è che loro fin dal principio hanno voluto qualcosa di più robusto e di più permanente».
La minaccia dei paramilitari. Ma a preoccupare sono soprattutto le condizioni di sicurezza, dato che dal dicembre 2016 – quando gli Accordi di L’Avana sono entrati in vigore – almeno 40 ex-combattenti sono stati assassinati da paramilitari o guerriglie antagoniste. Soltanto un mese prima della nostra visita allo spazio territoriale di Mesetas due persone sono state ammazzate a pochi chilometri dall’accampamento. Un avvenimento che ha ulteriormente messo in allarme gli ex combattenti, che ora che hanno consegnato le armi non si sentono protetti dal governo. «Vorrei mandare a scuola i miei figli, ma non posso. Lí fuori è pieno di paramilitari che aspettano solo di vederci uscire per ammazzarci». Yesenia, una ex-combattente che ha appena scontato una condanna per omicidio, ha due figli di dodici e sedici anni e – come ci confessa – sta imparando soltanto ora il difficile mestiere di madre in un contesto incredibilmente complicato.
Il timore è che si possa ripetere un massacro. La memoria torna alla metà degli anni Ottanta, quando settori della guerriglia si accordarono col governo per la nascita di un partito politico in grado di farsi carico di proposte politiche radicali, veicolare il movimento marxista-leninista fuori dalla clandestinità e incorporarlo al confronto elettorale con il nome di Unión Patriótica. Fu un bagno di sangue. Negli anni che seguirono oltre cinquemila suoi militanti – inclusi i candidati presidenziali Jaime Pardo Leal e Bernardo Jaramillo Ossa – persero la vita a seguito di attacchi da parte di gruppi paramilitari, esercito e narcotrafficanti.
Trovare nuove armi non sarebbe un problema. Quando le si chiede come faranno le FARC a difendersi, oggi che hanno consegnato le armi, sul volto di Yesenia compare un sorriso sarcastico e la dolcezza che fino a poco prima abitava i suoi occhi lascia il posto alla severità. «Davvero credi che sarebbe un problema trovare nuove armi? Noi abbiamo consegnato i fucili, non certo i nostri amici. Gli amici delle FARC sono in tutto il mondo e, se dovesse essere necessario, trovare nuovi armi non rappresenterà un problema».