Pubblichiamo in traduzione italiana un testo dell’antropologa Fatima Portorreal Liriano scritto in risposta alla polemica che – anche quest’anno, in occasione della Pasqua – ha investito la tradizionale celebrazione del Gagà in Repubblica Dominicana.
Come il Carnevale e molte feste di origine pagana, il Gagà è un rituale di rovesciamento e sospensione dell’ordine stabilito. Durante la sua celebrazione, che si protrae spesso fino alle prime luci dell’alba, i partecipanti sfilano danzando al ritmo ossessivo di strumenti a percussione e a fiato.
Si tratta di una tradizione sincretica, portata in Repubblica Dominicana dai migranti haitiani e mutuata dal vudù, con elementi messianici e cristiani, ma che affonda le sue radici in culti africani.
Per tali ragioni, il Gagà, come tutta la diaspora haitiana, è oggetto di discriminazione e intolleranza da parte di un Paese come la Repubblica Dominicana che ancora non ha fatto i conti con il suo passato meticcio e che sempre più spesso trova nella “linea del colore” una frontiera ideologica di scontro.
A tal punto che le autorità dominicane hanno ritenuto opportuno vietare le celebrazioni del Gagà in alcune province del Paese, ufficialmente per evitare problemi di sicurezza, riducendo così la cultura a questione di ordine pubblico.
Le foto sono di Raùl Zecca Castel.
Gagà ed altri deliri
di Fatima Portorreal Liriano*
Assenze e ricordi scivolano nel Panóias dei senz’anima. Gli Altri non sono riconosciuti. Si consuma un soggetto che conosce e gode con la consapevole chiarezza della sua tragedia, quella di convivere con quell’Altro razzializzato considerato un/a mendicante, un negro/a, e che per ordine del padrone, resta escluso dal cogito e dalla luce.
Egli è soggetto/specchio di quattro secoli. Colui che non vuole vedere/sentire, ma riflette. Qui balla con le sue gonnelline colorate e quei sudori che spargono spermi sognanti. Tu e lui, insondabili misteri dei tempi, brodo lattiginoso di moribondi tramonti che consumano un santo giovedì. Io e te, fiamma di stracci che strappa la pelle. Ma ecco quei corpi a bramare le strade. È il Gagà, fonte d’ormeggi, il cui metallo fuso attraversa pelle, ossa e budella.
Una piazza non vuota. Un fuoco che non è straniero, né perso. Protagonista di storie senz’innocenza. È l’Altro, che con i suoi ritmi, i suoi movimenti e le sue buffe danze consuma ricordi, resistenze e significanti.
Gagà: è una storia di carne, fertilità e corporeità, compendio di negritudine. Non è la fiaba del bianco, né la delirante mimesi di una sostituzione. È la differenza tra pensare e sentire. È l’oggi sgualcito dai dolori, un balbettio di bave corrotte dallo spirito del tempo.
Gagà è memoria di corpi che resistono e feriscono. Embrioni maledetti dalla fede dei vinti e che con rabbia assalta i colonizzati. Un padrone creolo, rosso di rabbia, con i peli stirati e il burro di cacao a sbiancar la pelle. Un essere schiavizzato che non può Essere né Fare. È quell’uomo moribondo, che senza luci o canti, si riflette e chiede urlando “non chiamarmi” Negro/a.
*Antropologa, docente presso l’Università INTEC di Santo Domingo, Fatima Portorreal Liriano è un’attivista per i diritti civili e per la difesa delle donne e degli uomini che lavorano la terra.
[Qui il testo originale apparso sul quotidiano on-line Acento]
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