Di Matilde Sponzilli. “C’è una buona notizia, vuoi saperla? Hanno arrestato il figlio di M.”. Per un attimo mi si gela il sangue. Com’è possibile che questa sia una buona notizia, com’è possibile che una madre desideri vedere il proprio figlio allontanato e incarcerato, perché? Eppure quello di M. è stato un atto di coraggio, M. a differenza di tante donne ha avuto il coraggio di denunciare la violenza domestica subita da parte del figlio. M. si è messa da sola contro tutti: il marito che non ne voleva saperne niente, perchè tanto “è tuo figlio e sono affari tuoi”; i vicini che hanno chiuso gli occhi; la polizia, che l’ha accusata di non essere una buona madre, l’ha sbeffeggiata e derisa senza prendere sul serio le sue richieste; la giustizia che si è fatta gioco di lei, donna analfabeta, spingendola in un turbinio burocratico durato mesi che sembrava non avere né capo né coda. M. è andata avanti a volte con determinazione, altre per puro spirito di sopravvivenza, ma alla fine ce l’ha fatta, dimostrando che una donna non è costretta ad accettare la violenza.
M. è una donna di Nueva Vida, barrio ai confini di Ciudad Sandino alla periferia di Managua, la sua storia non è diversa da quella di molte altre donne. In Nicaragua esiste, o forse sarebbe il caso di dire esisteva, una legge, la “Ley 779”, la legge integrale contro la violenza sulle donne. Approvata nel Gennaio del 2012, la “779” è il risultato di più di trent’anni di movimento delle donne e in particolare del movimento femminista nicaraguese.
Si tratta di un movimento che ha le sue origini negli anni della Rivoluzione Sandinista, quando le donne, in prima linea nella lotta per la liberazione, rendendosi conto di come le proprie rivendicazioni fossero subordinate ad altre esigenze, sia durante gli anni della guerriglia, sia in particolar modo negli anni del governo Sandinista che seguì, diedero vita a un movimento femminista autonomo radicale.
La “779” è una legge estremamente completa e dettagliata, in quanto risultato di un percorso di lotte lungo e travagliato che ha visto come protagoniste assolute le donne di questo piccolo Paese centroamericano e che nulla ha a che vedere con una presunta origine straniera funzionale ad un dominio neo-imperialista, come è piaciuto dire ai suoi più strenui oppositori.
La legge prevede la difesa di donne, bambine, bambini e adolescenti contro ogni tipo di abuso, esplicitando che tale violenza può avvenire tanto in ambito privato quanto in ambito pubblico; definisce i doveri dello Stato nel prevenire, sanzionare e sradicare la violenza, Stato che deve mobilitarsi per distruggere i modelli socioculturali e patriarcali che sostengono tale relazione di potere.
La violenza viene riconosciuta in uno spettro ampio, che non lascia margini a dubbi nel condannare come violenza di genere la misoginia, la violenza fisica, psicologica, sessuale, tanto quella sul lavoro (inclusi disparità di salario e mobbing) e la violenza nell’esercizio della funzione pubblica contro le donne.
Altro aspetto centrale della legge sta nell’esplicitazione dei modi e degli strumenti atti a rendere effettiva la stessa, imponendo che le donne possano esercitare i propri diritti. A tal fine, strumento importante, di cui la legge prevede un rafforzamento, sono le “Comisarías de la Mujer”, istituzioni attive fin da metà degli anni novanta (tanto in Nicaragua, come in Brasile e in Argentina), dotate di un personale femminile, formato e sensibilizzato alla ricezione di casi di violenza di genere.
Tanto lunga e determinata è stata la lotta delle donne per ottenere questa legge, quanto immediato il suo indebolimento da parte del governo e delle istituzioni. L’anestetizzazione della “779” è stato un processo in tre tempi, di cui il primo è cominciato a ridosso della sua approvazione.
Quando apparse la legge, i suoi oppositori si espressero immediatamente sostenendo la sua incostituzionalità; si sostenne che non veniva rispettato il principio di uguaglianza di fronte alla legge e che, per essere valida, avrebbe dovuto prevedere un corrispettivo a difesa delle violenze sugli uomini. Inoltre, forte fu l’opposizione delle Chiese Evangeliche e della Conferenza Episcopale, realtà con cui il Governo Ortega ha da tempo stabilito una fondamentale alleanza e che vedevano nella legge una minaccia al mantenimento e alla salvaguardia della famiglia. Di fronte a tali reazioni si giunse a un compromesso fortemente al ribasso, che vedeva la mediazione come possibile alternativa per i delitti di violenza “meno gravi”, sebbene già fosse stata dimostrata in passato la non efficacia di tale mezzo e i potenziali rischi che poneva.
Nel 2014, un decreto Presidenziale, per molti aspetti illegittimo, cambiò l’oggetto della “779”. Il nuovo regolamento stabilì come fine della legge il rafforzamento della famiglia e non più l’eliminazione di ogni tipo di violenza contro le donne; oltre a ciò ridusse l’applicabilità della legge al solo ambito privato, cancellando la formulazione giuridica di violenza di genere in ambito pubblico.
L’ultimo colpo sferrato alla “Ley” è del gennaio di quest’anno, quando è stato stabilito da un istruttivo della Commissione Nazionale Interistituzionale della Giustizia Penale il divieto di dettare una sentenza di arresto contro uomini processati per la violazione del dovere di provvedere agli alimenti per i figlie e le figlie.
Contemporaneamente le “Comisarías de la Mujer” sono state chiuse e da allora coloro che subiscono violenza sono tenute a rivolgersi al “Auxilio Judicial de la Policía Nacional”, come per tutti i casi di violenza generica; si tratta di un’istituzione il cui personale è a maggioranza di sesso maschile, senza nessuna formazione specifica rispetto a casi di violenza di genere.
A questo quadro si unisce l’antecedente processo di penalizzazione dell’aborto, sempre ad opera del governo Ortega, che ha portato già dal 2007 ad una totale impossibilità per le donne Nicaraguensi di disporre di un aborto terapeutico, mettendo a rischio così la vita di moltissime di loro. In un Paese che ha il primato in tutta l’America Latina per il numero di gravidanze precoci e in cui la possibilità che tali gravidanze siano frutto di un abuso è una realtà, il tema dell’interruzione di gravidanza volontaria non viene nemmeno contemplato.
L’attuale governo o, come è stato definito, “l’attuale dinastia monarchica familiare”, si è progressivamente stinto dei colori della Rivoluzione, per rivestirsi di colori cangianti che impazzano ad ogni angolo sui cartelloni elettorali, insieme alle nuove parole d’ordine per un Nicaragua “cristiano, socialista e solidale”, a cui senza indugi si potrebbe aggiungere neo liberale. Adesso, nell’apparente silenzio generale, sta mettendo in atto una guerra senza precedenti contro le conquiste di anni di lotta delle donne, il cui campo di battaglia è stato, ancora una volta, il loro corpo. Non solo l’attuale governo sta eliminando ogni traccia di libertà di autodeterminazione e libera scelta delle donne sui propri corpi, ma ha anche l’arroganza di puntare il dito contro coloro che si schierano contro tale sistema, tacciandole molto ipocritamente di fungere da braccio armato di un dominio neo-imperialista e di attitudini “piccole borghesi”.
Per questo il 25 Novembre le donne, le femministe, i gruppi LGTBQ, scendono in piazza qui, come in tante altre città dell’America Latina e del mondo, per denunciare il machismo incistato nella società e nelle istituzioni e la realtà dei femminicidi, che proprio nel continente latinoamericano è negli ultimi anni diventato un dramma di proporzioni spaventose, per condannare la violenza di genere in ogni sua forma e per urlare qui come altrove “Ni una Menos”.