Leggilo anche su: http://www.reportonline.it/2009082828764/cronaca/il-cinese-non-e-in-vendita-a-citta-del-messico.html
Nessun prodotto cinese in vendita nei negozi del centro di Città del Messico? Lo dubito, ma è comunque curioso il cartello affisso da questo negoziante di sedie per l’ufficio sui suoi preziosi prodotti per sottolinearne probabilmente l’innato valore qualitativo rispetto alla tipica “merce cinese” di cianfrusaglie e plasticaccia. Che poi è anche questo un luogo comune, come dire che dal Brasile arrivano solo caffè e banane come cent’anni fa, dato che tra automobili, motociclette, beni durevoli, elettrodomestici, nucleare, acciaio e computer la Cina ormai produce di tutto e a tutti i livelli.
Basta farsi un giro nelle viette a nord del Zocalo della capitale messicana per capire come questo timido cartellino giallo sia ridicolo e si perda insignificante nel marasma di negozi, grandi magazzini, avventurieri del commercio e ambulanti (sempre più nascosti dopo che ampie zone del centro sono state “ripulite” un paio d’anni fa) che popolano le strade e confondono i cinque sensi e l’equilibrio psicofisico del potenziale acquirente. Quindi il cartellino sembra restare lì appiccicato per errore o per una burla con il suo disegnino stilizzato di una faccetta del messenger al posto della lettera O.
Ad ogni modo, il Messico ha avuto un suo passato razzista e tende a mantenere la tradizione anti cinese anche oggi. Lo Stato settentrionale di Sonora, patria di grandi rivoluzionari della epoca del ‘17 come Venustiano Carranza, Plutarco Elias Calles, Adolfo de la Huerta e il Generale Alvaro Obregon, espulse tutti i cinesi nel 1916 e ne vietò l’immigrazione, anche se già da prima gli occhi a mandorla non erano di certo un tratto gradito nella zona… Non trattiamo qui chiaramente il caso di tutte le discriminazioni contro i guatemalatechi, gli honduregni e in generale i centroamericani, spesso presenti in Messico temporaneamente nel tentativo di raggiungere gli States, oltre a quelle contro i propri cittadini di etnie indigene e quindi diversi dalla razza cosmica e meticcia che caraterizza “il Messicano” secondo l’ideologia nazionale post-revoluzionaria.
Tornando al sodo, già da anni l’invasione delle manifatture provenienti dalla Cina, secondo partner commerciale dell’America Latina e primo esportatore verso gli Stati Uniti (una volta era proprio il Messico al primo posto) sembra inarrestabile e, anche se il flusso di persone, come spesso accade, è più limitato rispetto alle merci, la presenza cinese dal Pacifico all’Atlantico, dalle Ande alla Sierra Madre Occidentale, è un elemento culturale e commerciale dirompente.
Navigando su e giù per la costa pacifica americana, da San Francisco a Mazatlan e Guaymas fino a Buenaventura in Colombia o a Lima, ci si accorge dell’incredibile somiglianza di tutti i prodotti e anche di tutti i loro rispettivi prezzi che si possono trovare nelle bancarelle degli ambulanti e dei mercati di quartiere. Chiaramente il processo non riguarda solo quest’area della terra, anzi, ma è comunque curioso osservare la millimetrica continuità e la linearità costiera di cineserie, sempre più precise e raffinate nel loro affanno imitatore, a dir la verità.
In economia ci spiegano come comprendere il concetto dell’inflazione e del livello dei prezzi con l’esempio infelice ma efficace del McDonald e dell’hamburger standard che costa, diciamo, un euro in Italia, uno e venti a Parigi, due a Tokio e così via. Qui invece ci sono le forbicine pieghevoli da 5 cm che trovi ovunque e comunque, impacchettati in una tenera scatolina di plastica, ora a mezzo dollaro, ora a 5 pesos messicani o a 350 colombiani che è quasi lo stesso. Globalizzazione o cinesizzazione? Viene da chiedersi. Un po’ di tutte e due, viene da rispondersi.
Anche nella periferia nord-ovest di Milano, in via Jacopino e in Piazza Prealpi, dove hanno appena chiuso “per spaccio” il celebre Fabri Bar (traduco: borsette di cocaina nascoste nei servizi igienici e flussi di giovani incontinenti che, senza nemmeno prndersi un caffé o un’acqua, si fiondavano alla toilette continuamente) gestito da italiani e cinesi, i segnali della presenza cinese sono inequivocabili.
Ed ecco apparire il camioncino incomprensibile ma bello che apprezzerete nella fotografia a pié di post. Inoltre il negozio di cineserie che segnalo su Viale Monteceneri angolo Via Bartolini è una perla del kitsch low cost in cui un biglietto da 5 euro recupera tutto il valore che aveva prima del 2002, quando appena lo vedevamo in televisione e ne aspettavamo l’avvento presso le nostre tasche nella speranza di annate prospere e di fratellanza tra i popoli. Ottimi i prodotti con tecnologia led per l’illuminazione come la penna multifunzione con 3 luci diverse, le lampadine ad azionamento manuale da attaccare alle pareti per quando va via la luce ed esotici mouse pad con protezione al silicone per salvaguardare il polso dalla durezza di tavoli e spigoli. Il dettaglio è che il mouse pad ha stampata su la foto di un’avvenente orientale che ammicca e i cuscinetti di silicone corrispondono a parti soffici e impronunciabili.
Devo dire, infine, che la convivenza è spesso pacifica e per esempio la mia famiglia, che vive sotto a un piccolo esercito di 7-8 cinesi stipati nell’appartamento di sopra (di proprietà di una coppia asiatica), riceve periodicamente dei regalini esotici e gode di un relativo stato di calma per il silenzio imposto dal padrone alla sua disciplinata e disagiata troupe di inquilini e compatrioti. Altro caso è invece quello degli abitanti al secondo piano della scala di fronte, una rumorosa famiglia di 3 o 4 componenti (e chi lo sa?) con un marito tanto violento e intrattabile che ha fatto scendere il prezzo di mercato degli appartamenti adiacenti e spero si sia beccato almeno qualche denuncia. Un’ultima foto in chiusura della Piazza Prealpi e della Bovisa che furono: un camioncino hip hop old school parcheggiato su di un marciapiede non asfaltato, quale camioncino vi piace di più?
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