Il risveglio del Messico contro la violenza

[Questo articolo è uscito sul quotidiano L’Unità del 2 novembre 2011] Lo studio reso noto il 27 ottobre nell’ambito della Dichiarazione di Ginevra, un’iniziativa diplomatica della Svizzera e dell’Onu sul problema della violenza, conferma che la maggior parte degli omicidi nel mondo sono imputabili alla criminalità e avvengono in paesi che non sono formalmente in guerra. Dal 2007 la lotta al crimine organizzato in Messico si basa sulla militarizzazione del territorio e ha prodotto un inasprimento dello scontro tra i cartelli della droga. Tra gli “effetti collaterali” della strategia del Presidente Felipe Calderón ci sono 50.000 morti e 16.000 desaparecidos in 5 anni e un tasso d’impunità dei delitti del 97%.

Il Messico, però, non rimane a guardare. 7 mesi fa in un sobborgo di Cuernavaca, 90 km a sud di Città del Messico, sono stati trovati in un’auto i corpi senza vita di 6 uomini e una donna, assassinati dai narcos del cartello del Pacífico Sur. Tra questi c’era il ventiquattrenne Juan Sicilia, figlio del poeta e giornalista messicano Javier Sicilia (Link a intervista completa).

Lo scoppio del caso sui media messicani e la reazione solidale di migliaia di persone, stanche della violenza imperante nel paese, hanno fatto sì che in poche settimane il poeta diventasse il portavoce delle “vittime invisibili” della guerra al narcotraffico.

Per reagire di fronte a questa situazione drammatica in aprile nasce il Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità che, spiega Sicilia, “ha saputo dare visibilità alle vittime e creare una coscienza negli organi dello Stato sul fatto che non siamo statistiche ma esseri umani”. Ciononostante “abbiamo uno Stato fratturato e cooptato, in cui una parte della delinquenza sta negli apparati, nei partiti, nella polizia e nell’esercito”, continua il poeta.

L’8 maggio un’imponente manifestazione a Città del Messico si conclude con un comizio di numerose associazioni di vittime della violenza e rappresentanti della società civile e il 10 giugno la prima carovana del Movimento punta a Nord e arriva a Ciudad Juárez che, secondo la ricerca svizzera, è la città più violenta del mondo con 170 omicidi per 100.000 abitanti. La condanna di Sicilia è perentoria: “è irresponsabile che USA e Messico lascino così la situazione: con il commercio di armi e il consumo di droghe in aumento, gli affari alla frontiera continuano e proliferano imprese che riciclano il denaro dei narcos”.

I loghi contro la violenza con la frase “basta sangue”, che un gruppo di vignettisti messicani aveva diffuso per mesi sui social network e nelle strade di mezzo Messico, sono stati subito affiancati dalla frase rabbiosa indirizzata da Javier Sicilia alla classe politica: “estamos hasta la madre”, ne abbiamo pieni i coglioni. “Abbiamo un compromesso etico che mira a riempire di contenuti una politica che di etica non sa parlare”, dice lo scrittore in riferimento ai principali partiti.

In giugno la pressione delle piazze spinge il Presidente Calderón a intavolare un dialogo sulle proposte del Movimento, centrate sulla ricostruzione del tessuto sociale, l’approvazione di norme per proteggere le vittime e la creazione di una Commissione per la Verità che chiarisca le responsabilità, anche politiche, di tanti crimini irrisolti. Infatti, afferma Sicilia, “una parte della delinquenza sta negli apparati, nei partiti, nella polizia e nell’esercito”. L’idea di ripartire dal tessuto sociale nei quartieri e nelle città è, nelle parole dello scrittore, “affine all’esperienza delle comunità rurali zapatiste, i caracoles, che nello stato meridionale del Chiapas sono un grande esempio di autonomia e protezione della popolazione”.

Il 14 ottobre, durante il secondo e, probabilmente, l’ultimo incontro con il Presidente, “forse s’è visto uno spiraglio di luce e comprensione in lui” anche se, ammette Sicilia, “non siamo riusciti a convincerlo della necessità di una Legge sulla Sicurezza più umana e civile, orientata alla pace e non alla militarizzazione”. Per ora, quindi, la strategia non cambia. Mentre Sicilia era a Washington per parlare al Congresso americano e alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani, nelle festività dell’1 e 2 novembre, decine di cortei organizzati dal Movimento, armati di ceri e candele, hanno sfilato in varie città del Messico e del mondo in memoria dei morti e i desaparecidos della guerra al narcotraffico.

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